Cosa ci insegna la tragedia della Marmolada

Marmolada. Un contributo dell’Onorevole Rossella Muroni. Per riflettere e decidere dopo la tragedia di domenica scorsa.

Le montagne diventeranno sempre più fragili, vulnerabili e instabili a causa della crisi climatica. L’unico modo per proteggerle è realizzare davvero la transizione ecologica.

Un boato fortissimo poi il crollo repentino, velocissimo, che non ha lasciato scampo al suo passaggio.

Domenica sulla Marmolada, la montagna più alta delle Dolomiti, il distacco di un seracco sotto Punta Rocca – per un fronte di ghiaccio di 200 metri con un’altezza di 60 metri e una profondità di 80 metri – ha provocato una valanga di ghiaccio e roccia precipitata a 300 chilometri all’ora.

Marmolada

Un fenomeno di tale entità non si era mai visto. E mentre ancora si cercano i dispersi ci costringe a parlare della più grave tragedia della nostra montagna in epoca moderna. Un dramma doloroso per il quale vorrei esprimere vicinanza alle famiglie delle vittime e alle comunità colpite. E un sincero ringraziamento ai soccorritori.

Un disastro che con le sue vittime ci ha ricordato quanto i mutamenti climatici siano un’emergenza, una priorità, un rischio enorme. Perché non ci sono dubbi sulle cause

In vetta in cima agli oltre 3340 metri della montagna questo fine settimana si sono registrati 10 gradi. Contro i 7 consueti della stagione. E tre gradi in più, specie in quota, sono davvero troppi. Ma non solo.

Come ha spiegato il glaciologo del Cnr Renato Colucci, è da maggio che ci sono temperature anomale in quota. Per le scarse precipitazioni dello scorso inverno i ghiacciai sono arrivati all’estate senza la protezione della neve. E a complicare ulteriormente le cose nell’ultima settimana è arrivata un’ondata di caldo africano.

C’è tutto questo dietro il dramma che si è consumato ieri sulla Marmolada. Ed è un dramma che deve essere un campanello d’allarme per tutte le Alpi. E, in generale, per il Paese. Il cambiamento climatico sta accelerando tanto che il ghiacciaio della Marmolada, stimava sempre Colucci, potrebbe scomparire entro il 2042.

E intanto, come segnalava a dicembre Legambiente, insieme al Comitato Glaciologico Italiano (CGI), le montagne sono diventate e diventeranno sempre più fragili, vulnerabili e instabili a causa della crisi climatica. Tra ritmo sempre più accelerato della fusione dei ghiacciai, che stanno perdendo superficie, e aumento di frane, valanghe di roccia e di ghiaccio e colate detritiche da aree deglaciate.

Tra il 1850 e il 1975 i ghiacciai delle Alpi europee hanno perso circa la metà del loro volume. Il 25% della restante quantità si è perso tra il 1975 e il 2000. Mentre il 10-15% nei primi 5 anni del nostro secolo

Ecco perché il modo più efficace che abbiamo di proteggere noi stessi e le nostre amate montagne, come il resto del Paese, è realizzare davvero la transizione ecologica. Senza tatticismi e rinvii. Ma anzi con rapidità e urgenza.

Chissà se oggi, potendo tornare indietro al Consiglio Ue della scorsa settimana, il governo continuerebbe nel tentativo portato avanti con Portogallo, Bulgaria, Romania e Slovacchia di rinviare dal 2035 al 2040 lo stop alla vendita di auto a diesel e benzina. O se si schiererebbe dalla parte delle auto a emissioni zero a tutela di salute e ambiente.

Un tentativo uscito perdente nel Consiglio Ue, ma che ci ha collocato fuori dal gruppo di Paesi europei avanguardia nella lotta ai mutamenti climatici. Tutto in nome di un’idea di sviluppo vecchia e che guarda al passato.

Se ci ostineremo a difendere il passato anziché prepararci al futuro, tutelando come è giusto le fasce di popolazione e le attività che maggiormente saranno investite da questa trasformazione, il bagno di sangue sarà assicurato. Ma non quello più volte evocato dal ministro Cingolani legato, nella sua testa, ai costi della transizione ecologica. Quello molto più concreto, purtroppo, delle vittime degli eventi estremi causati dai mutamenti climatici.

Quindi se davvero vogliamo fare qualcosa per mettere in sicurezza i nostri concittadini e il Paese non ci sono altre vie se non quella di tagliare le emissioni climalteranti e decarbonizzare la nostra economia. Puntando con decisione su rinnovabili, efficienza e risparmio energetico, innovazione amica dell’ambiente e su un rigoroso piano di adattamento alla crisi climatica

Ed è quanto provo a fare nel mio impegno parlamentare. Ma è evidente che il Governo e le Camere devono fare molto di più. Questa è l’unica strada possibile. E, nonostante Cingolani, può creare anche nuova occupazione di qualità.

Uno studio di EStà – Economia e Sostenibilità e Italian Climate Network evidenzia come per raggiungere gli obiettivi climatici al 2050 l’Italia debba quasi raddoppiare gli investimenti e aumentare di molto gli sforzi pubblici. A partire dai prossimi dieci anni.

Sforzi che se portassero a investimenti per almeno 1780 miliardi entro il 2030 e venissero utilizzati nei settori strategici delle rinnovabili, dell’edilizia e dei trasporti, si tradurrebbero in maggiore crescita del Pil. E in un aumento di 600.000 unità lavorative stabili nel decennio.

A proposito transizione e piani per uscire dall’emergenza, nonostante le molte sollecitazioni, all’Italia manca ancora un aggiornamento del Piano nazionale energia e clima che lo adegui ai nuovi e più ambiziosi target europei. E dal MiTe non è uscito neanche il Piano nazionale di adattamento ai Cambiamenti Climatici (Pnacc). Cioè esiste un vecchio piano sottoposto a revisione e rimasto dal 2018 in attesa di approvazione della Valutazione ambientale strategica.

Anche in questo ci distinguiamo in negativo in Europa. Siamo il solo grande Paese che ancora non ha adottato un piano per preparare i suoi territori a eventi sempre più intensi e frequenti e a impatti via via più violenti.

Spero davvero che dal MiTe arrivi presto questo Piano. Perché siamo colpevolmente in ritardo. Ma ulteriori indugi ora rischierebbero di essere criminali.

Rossella Muroni

Link articolo originale lasvolta.itLeggi anche Siccità ed energia. Bisogna scegliere le Rinnovabili

Redazione

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