La cura delle ferrovie a base di biometano

Un approfondimento di Sergio Ferraris, pubblicato su Peopleforplanet, sul metano, il più “pulito” dei combustibili fossili che è indicato come un carburante di transizione. Però ha dei problemi.

Il primo è rappresentato dalle sua formula: CH4. Una molecola di carbonio e quattro d’idrogeno. Quindi quando lo bruciamo per estrarre energia usiamo le quattro molecole d’idrogeno e “buttiamo” quella singola di carbonio – che in precedenza era sotto terra – creando gas serra. Ma non basta: il nostro CH4, infatti, ha anche un altro vizio. Se immesso direttamente nell’atmosfera ha un fattore di riscaldamento globale (GWP) pari a 28 su una scala di cento anni. Tradotto: un grammo di metano immesso nell’atmosfera senza essere utilizzato riscalda il Pianeta quanto 28 grammi di CO2. Quindi se valutiamo la filiera del metano fossile considerando sia la combustione sia le perdite potremmo arrivare alla conclusione, dati alla mano, che il risparmio sotto al profilo del riscaldamento globale non sia grande.

Tutto dipende dalla fonte

Se al posto del metano fossile parliamo di biometano le cose cambiano radicalmente. La formula è sempre la stessa, CH4, ma il bilancio molto diverso. La molecola di carbonio che ci avanza e che immettiamo nell’ambiente, infatti, era già presente nell’atmosfera ed è stata sequestrata dalla vegetazione che è alla base della filiera del biometano grazie al processo di fotosintesi, mentre le perdite sono molto inferiori visto che il nostro CH4 bio si sviluppa al chiuso in processi anaerobici – privi d’aria – e compie una strada molto meno lunga rispetto ai gasdotti del metano fossile che misurano spesso migliaia di chilometri. Il CH4 bio, infatti, è a filiera corta, viene prodotto vicino alle fattorie o alle fabbriche dove si lavorano gli scarti alimentari ed è distribuito spesso a poche decine di chilometri di distanza anche se si stanno realizzando compressori che consentono la distribuzione negli autoveicoli a ridosso della produzione. In un prossimo futuro, per esempio, potrebbe essere normale fare il pieno di biometano a ridosso del digestore e nei pressi dell’azienda agricola, andando a realizzare così una filiera di pochi metri.

Elettroni di riserva

Già, e della trazione elettrica cosa ci facciamo? La useremo di sicuro, ma come tutto ciò che ha a che fare con le sfide ambientali e climatiche la soluzione non sarà una sola. Se l’elettrico già oggi è maturo per la micro mobilità, dal monopattino allo scooter passando per la bicicletta elettrica, lo sarà a breve per le autovetture. Quando pensiamo alla mobilità pesante, come quella delle merci legata agli autocarri e a quella navale l’utilizzo dell’elettrico si allontana di molto. La fisica infatti è severa maestra. Per spostare mezzi di quella portata sarebbero necessarie grandi quantità di batterie che a loro volta pesano e consumano energia per essere messe in movimento. In pratica la densità energetica degli accumulatori è ben distante dal nostro CH4 che se impiegato nella sua versione bio permette a questi mezzi di muoversi in maniera rinnovabile con le stesse performance dei combustibili fossili.

Treno gasato

Ma c’è un altro mezzo che a sorpresa impiegherà il biometano: il treno. Il gas sostituirà gli elettroni? No, non è così. Un recente accordo tra Ferrovie dello StatoSnam e Hitachi Rail, porterà in Italia la sperimentazione che punta alla conversione della flotta di motrici non elettriche che ora sono alimentate a gasolio. La sperimentazione partirà con la conversione di due motrici, successivamente saranno individuati altri mezzi. L’alimentazione potrà essere a metano liquefatto (LNG) oppure compresso (CNG). Si tratta di due tipi diversi di immagazzinamento della nostra molecola di CH4, la prima consente una maggiore autonomia visto che il gas ha una “densità” maggiore e quindi contiene più energia. E i vantaggi ci saranno già utilizzando la versione fossile del CH4 visto che saranno azzerate le polveri sottili e ridotte del 20% le emissioni di CO2. Il tutto considerando la parte finale della filiera del metano come abbiamo specificato. Successivamente, quando sarà pronta la filiera esclusiva del biometano le emissioni climalteranti saranno ridotte a zero. Senza contare l’aspetto economico. L’applicazione su larga scala di questa pratica consentirebbe alle Ferrovie dello Stato di risparmiare circa 2,5 milioni di euro sull’acquisto del carburante. La conversione delle motrici, intervento che non è particolarmente aggressivo, ne allunga anche il ciclo di vita diminuendo i costi ambientali che si dovrebbero sostenere nella realizzazione di nuove motrici. E in Norvegia puntano alle grandi distanze. C’è il progetto di biometanizzare la ferrovia più lunga della Norvegia, la Nordlandsbanen, che conta ben 700 chilometri, in zone non esattamente ospitali, mentre treni alimentati a bio CH4 stanno arrivando negli Stati Uniti e in Russia. Il motivo è semplice: per elettrificare queste linee bisogna sia creare l’infrastruttura aerea, sia quella di distribuzione dell’elettricità e in alcuni casi anche le centrali di produzione.

H2 in arrivo

Ma l’impiego del metano, anche bio, potrebbe aprire la porta anche ad altre soluzioni. Motrici elettriche potrebbero essere convertite a CH4 con la conversione delle nostre molecole di gas in elettricità attraverso delle celle a combustibile. Ciò consentirebbe ai mezzi ferroviari alimentati dagli elettroni “catturati” dalle linee aeree di muoversi con disinvoltura anche sulle linee non elettrificate, risparmiando le risorse economiche e ambientali che dovrebbero essere impiegate nella realizzazione delle linee elettriche aeree. Il tutto realizzando una sperimentazione per utilizzare idrogeno puro che altro non è che una molecola di CH4 divisa in due e senza il carbonio. L’H2. Fantascienza. Non esattamente.
Sulle linee ferroviarie tedesche, infatti, circola il primo treno esclusivamente a idrogeno dal cui scarico esce solo vapore acqueo. Certo, allo stato attuale l’utilizzo dell’idrogeno è ancora poco pulito, visto che oggi questo gas è al 99% prodotto da fonti fossili. In futuro sarà possibile usare, per la produzione dell’H2, energia elettrica da fonti rinnovabili che non viene utilizzata all’istante o stoccata nei sistemi d’accumulo.

Sergio Ferraris

Link articolo originale Peopleforplanet

Redazione

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