Regolamento UE sui gas refrigeranti. Davide contro Golia

Dal blog “Ce lo chiede l’Europa” di Davide Sabbadin su vez.news, un importante approfondimento sulla revisione del Regolamento europeo sugli FGas. (I gas fluorurati ad effetto serra, noti anche come FGas, sono sostanze chimiche artificiali utilizzate in numerosi settori ed applicazioni e la maggior parte di loro contribuiscono al riscaldamento globale. Si tratta in particolare di HFC – idrofluorocarburi, PFC – perfluorocarburi e SF6 – esafluoruro di zolfo).

Il freddo che scalda gli animi

C’è un ponte invisibile che in questi mesi unisce Bruxelles e le nebbiose, o forse ex nebbiose, campagne venete. È un ponte fatto di telefonate, e-mail, allegati, grafici che girano attorno alla revisione di un’oscura norma tecnica, di cui nessuno ha mai sentito parlare, ma che vale molti miliardi di euro. E di questi soldi, molti nascono e finiscono in Veneto.

È una storia che non esce mai dai circuiti degli iniziati, dove i protagonisti sono ingegneri padovani, espertissimi tecnici frigoristi dall’italiano claudicante (i più vecchi tra i lettori forse ricorderanno la ditta “Barcaro, manutenzione celle frigorifere”, protagonista di grasse risate adolescenziali). E che sui social arriva ad avere forse qualche post, di quelli quasi senza like.

È la storia del regolamento sui gas refrigeranti. Una classica storia da Davide contro Golia. Mettetevi comodi, perché non è breve.

Tutto nasce molti anni fa quando, all’epoca del buco dell’ozono, grazie all’aiuto di un’azienda innovatrice, Greenpeace riesce a dimostrare che i frigoriferi potevano fare a meno dei gas refrigeranti che stavano bucando lo strato di ozono. E nel giro di dieci anni, ciò che prima sembrava impossibile diviene normalità. Oggi tutti i frigoriferi di casa funzionano con una piccola carica di gas idrocarburi (isobutano, per lo più) ozone-friendly.

E via via, grazie al protocollo internazionale di Montreal, anche nelle schiume, nelle bombolette spray, nei frigoriferi industriali e commerciali, nei condizionatori domestici e delle auto spariscono i CHFC, i gas ozonolesivi. Vengono sostituiti, però, non da idrocarburi come volevano gli ambientalisti, bensì da una nuova generazione di gas prodotti dalla stessa manciata di multinazionali che producevano anche quelli di prima. I nuovi gas si chiamano HFC. Hanno di buono che sono inerti e non bucano l’ozono. Sembrano la soluzione. Per una ventina d’anni tutti li considerano tali, mentre festeggiano la progressiva guarigione del famigerato buco.

Tuttavia, qualcuno dopo un po’ nota che questi HFC provocano l’effetto serra. Pesantemente. Viene fuori che, complessivamente, gli HFC sono responsabili da soli per l’aumento globale di quasi mezzo grado della temperatura del pianeta.

Ecco, quindi, che alcuni scienziati già negli anni ’90 cominciano ad incaponirsi sul fatto che allora potremmo tornare ai primissimi gas utilizzati per fare freddo. L’ammoniaca, l’anidride carbonica, gli idrocarburi semplici. Tutti gas presenti in natura, che non sono brevettati (a differenza degli altri). Tutti gas che costano poco. E soprattutto tutti gas che hanno un impatto minimale sul clima. Niente buchi, niente febbre del pianeta, niente oligopolio internazionale, niente importazioni per miliardi nelle bilance dei pagamenti dei paesi europei. Tutto facile, quindi? Mica tanto.

Perché nel frattempo le multinazionali chimiche che producono i gas refrigeranti hanno pronta la terza generazione di gas fluorurati. Si chiamano HFO. E, per la terza volta, le stesse aziende che hanno creato il problema si candidano a risolverlo con un ennesimo loro brevetto. Mia nonna avrebbe detto che sembra la “storia del sior intento”, ovvero una storia infinita. Ovviamente anche con questo cambio di gas, ci guadagnerebbero in maniera esponenziale. E infatti per imporre queste nuove miscele di gas, sono pronte a tutto.

Peccato che stavolta qualcuno si sia posto la domanda sul nascere: “E se poi scopriamo che pure questa generazione ha delle controindicazioni?”

E infatti, ce le ha. Sempre più studi internazionali collegano gli HFO alla presenza in atmosfera, e poi negli ambienti acquatici per effetto della pioggia, dei PFAS. Molte di queste molecole, infatti, sono esse stesse dei “forever chemicals” come si definiscono oggi i PFAS, o li producono decomponendosi in atmosfera.

Che c’entra il Veneto in tutto questo? Sono i PFAS il legame? No. Almeno non quello principale.
Il Veneto c’entra perché è qui che si trova la più alta concentrazione europea di aziende del settore. La Saccisica, il Bellunese, il Trevigiano, sono aree ad alta concentrazione di imprese che sono tra i leader mondiali nei loro mercati. Decine di altre aziende manifatturiere producono componenti. Centinaia di aziende si occupano di servizi e manutenzione. A Badia Polesine c’è poi un impianto di produzione di idrocarburi per refrigerazione tra i più grandi d’Europa. E, ciliegina sulla torta, l’Università di Padova è uno degli atenei più importanti al mondo in questo settore. Ce n’è abbastanza per dire che il Veneto è un po’ la Silicon Valley europea della catena del freddo. Lo sapevate? Probabilmente no. Non è una filiera produttiva visibile come quella dell’auto, che fa molto più rumore sulla stampa.

Ecco che quindi la discussione in corso in questi mesi sulla revisione del regolamento Fgas, che si occupa dei gas refrigeranti, assume un valore fondamentale per il futuro dell’economia italiana e regionale.

La battaglia infervora dietro le porte chiuse a Bruxelles, protetta dal fatto che interessi per miliardi si nascondono dietro tecnicismi difficili da comprendere, in un tema che è estraneo al grande pubblico che pure fa i conti con questi gas tutti i giorni, molte volte al giorno. La pressione delle grandi multinazionali per non perdere un lucroso mercato è fortissima. Perdere la battaglia in Europa significherebbe quasi sicuramente perderla poi anche a livello mondiale, in sede di revisione del protocollo di Montreal. È la battaglia per il mercato mondiale del freddo, quello da cui dipende la produzione globale del cibo e di medicinali. Ma è anche la battaglia per le centinaia di milioni di condizionatori, frigoriferi e pompe di calore che si venderanno nei prossimi anni, alle classi medie del global south che gradualmente esce dalla povertà. Parliamo di tanti, tantissimi soldi.

Non sorprende, quindi, che gli argomenti siano ingegnosi e ben costruiti, frutto del lavoro di decine di società di consulenza. I lobbisti non si limitano a mettere in discussione la scientificità delle accuse che legano HFO e PFAS, ma lanciano anche l’allarme “climatico” sulle pompe di calore. Senza gli HFO potremmo non essere in grado di installarne a sufficienza e continueremo a dipendere dalle caldaie a gas. E che dire di tutte le persone che soffrono di asma e che senza HFC o HFO nei loro spray medicali potrebbero morire? (spoiler: non è vero). E siamo certi, continuano, che se togliamo il potentissimo SF6 (il gas con più alto effetto serra al mondo, 24mila volte la CO2) dai trasformatori degli elettrodotti non rallenteremo il loro sviluppo, sabotando così l’espansione delle energie rinnovabili?

A contrastare queste fintamente nobili argomentazioni a Bruxelles ci sono una manciata di associazioni ambientaliste (non più di quattro o cinque persone) e in Italia c’è Legambiente, che è riuscita a coalizzare una buona parte delle aziende del freddo “green” e far prendere loro delle posizioni politiche che hanno portato per una volta a un ruolo positivo del nostro paese nella discussione.

La battaglia è apparentemente impari, perché dall’altra parte a difendere gli interessi dei produttori di HFO c’è la potente rappresentanza dell’industria chimica, CEFIC, che vanta maggiore presenza di lobbisti in Europa.

Ma questa volta, complice l’abile relatore al parlamento europeo, il verde Bas Eickhout, Davide potrebbe avere la meglio su Golia. Tenete d’occhio nei prossimi mesi le pagine dei giornali perché, se tutto procede come previsto, la norma potrebbe vedere la luce entro luglio e divenire operativa nel 2024.

Fate attenzione, però: non ci saranno i titoloni che il tema meriterebbe. E la notizia finirà in terza o quarta pagina, se va bene, dove vanno a morire le cose noiose, quelle poco importanti o quelle scomode. Ma se la leggerete, sarà una splendida notizia per il pianeta e per l’economia veneta. E magari pure per la nebbia delle nostre campagne, che prima o poi potrebbe pure decidersi a ritornare.

Davide Sabbadin Deputy policy manager per il clima e l’energia presso lo European Environmental Bureau, la più grande federazione ambientalista europea. Si occupa da anni delle politiche di prodotto, della decarbonizzazione dei consumi domestici e della revisione della normativa f-gas (Fluorinated Refrigerant Gas). In passato ha lavorato a lungo in Legambiente, nei settori dell’efficienza energetica, dell’agricoltura e dell’economia circolare. È laureato in Scienze Politiche all’Università di Padova.

Leggi anche Gas fluorurati: eliminazione completa entro il 2050. La Proposta del Parlamento UEPFAS: scoperto in USA un metodo per distruggerli

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