Antartide laboratorio perenne: alla ricerca dell’evoluzione dei virus

L’Antartide rappresenta davvero un perenne laboratorio nell’ambito dei cambiamenti climatici ma anche sulle origini dell’evoluzione della vita sul pianeta.

A cercare di approfondire proprio quest’ultimo tema, uno studio condotto dai ricercatori dell’Università australiana del South Wales nelle acque salmastre dei laghi dell’Antartide, scaricabile in calce al post, che ha documentato l’esistenza di un plasmide, una piccola sequenza di DNA, il quale per infettare nuovi microbi è dotato di una vescicola proteica di protezione, il quale, secondo gli autori dello studio, potrebbe costituire il preludio evolutivo al capside che protegge il materiale genetico dei virus. Lo studio si è basato su campionamenti delle acqua in remote località antartiche, anche durante il freddissimo inverno antartico protrattisi per 18 mesi.

Un metodo finora sconosciuto quello di condividere il DNA, quello utilizzato per la crescita e la sopravvivenza, quello utilizzato da questi microbi in ambienti così altamente salini, che costituisce un passaggio fondamentale nello studio dell’evoluzione dei virus

Si tratta dei microbi Archea, annoverati tra gli organismi con il livello di organizzazione cellulare più elementare tra tutti gli esseri viventi, il cui studio ha permesso di ricostruire molti meccanismi fondamentali per l’origine e l’evoluzione della vita negli ultimi decenni.

La inaspettata scoperta del tema di ricerca australiano è stata proprio che i microbi Archea, attraverso i plasmidi di cui dispongono, possono replicarsi indipendentemente in una cellula ospite contenendo spesso geni utili a un organismo.

Il coordinatore del team di ricerca Ricardo Cavicchioli, spiega che “Mentre i virus hanno una struttura protettiva di natura proteica chiamata capside, i plasmidi sono pezzi di DNA ‘nudi’, e generalmente si muovono da cellula a cellula per contatto, o almeno questo è ciò che si credeva finora. Ma i plasmidi che abbiamo trovato nei microbi antartici, denominati pR1SE, si proteggono come i virus grazie a una vescicola, costituita dalle stesse proteine che si trovano nella membrana dell’ospite. Una volta rilasciata dagli Archea, la vescicola permette al plasmide di infettare microbi della stessa specie, in cui non siano già presenti altri plasmidi, e quindi di replicarsi nei nuovi ospiti”.

E’ poi la principale autrice dello studio Susanne Erdmann, ha sottolineare che “Questa è la prima volta che questo meccanismo è stato documentato. E potrebbe essere un precursore evolutivo di alcuni degli involucri  protettivi più strutturati che i virus hanno sviluppato per aiutarli a diffondersi e diventare degli invasori di successo. Questa constatazione suggerisce che alcuni virus potrebbero essersi evoluti dai plasmidi”.

Peculiarità fondamentali dei microbi antartici chiamati haloarchaea oggetto di studio da parte dei ricercatori sono la loro promiscuità, dal momento che si scambiano rapidamente il DNA tra di loro e le loro incredibili capacità di sopravvivenza messe alla prova dal Deep Lake antartico, un lago profondo 36 metri, salato a tal punto da rimanere allo stato liquido fino a una temperatura di -20°C, formatosi circa 3500 anni fa e collocato ad appena 5 chilometri dalla stazione antartica australiana Davis.

Microbi haloarchaea contenenti i plasmidi erano già stati isolati da campioni di acqua molto rari raccolti alle isole Rauer,  circa 35 km dal Deep Lake.

Lo stesso tema leader Cavicchioli sottolinea infine che i plasmidi studiati  potrebbero prendere un po’di DNA dal microbo ospitante, integrarlo nel proprio DNA, produrre vescicole a membrana intorno a se stessi e poi mandarle a infettare altre cellule. In sostanza si tratta davvero di risultati di grande rilevanza per la scienza antartica e per il più complessivo scenario della biologia.

Sauro Secci

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