Soia come “ingrediente nascosto” nella nostra dieta: uno studio del WWF

Da sempre tutti gli ambiti ad alta densità in termini di resa sono facile oggetto delle deformazioni umane più deteriori, esaltando proprio una delle caratteristiche più negative dell’essere umano come la cupidigia.


Un ambito che non sfugge a questa regola è indubbiamente quello dell’agricoltura e delle diverse pratiche colturali, come per esempio gli scempi ambientali legati allo sfruttamento dell’olio di palma che tanti danni sta apportando al patrimonio delle foreste (vedi post “Biocarburanti e cambiamenti climatici: il virus olio di palma“).

Rimanendo in ambito agroforestale sta assumendo caratteri di grande impatto anche la coltura della soia, leguminosa che, grazie al suo elevato contenuto proteico è divenuta negli ultimi 50 anni una delle principali colture della filiera alimentare mondiale ed uno dei prodotti sugli scudi di vegani e vegetariani e che, come vedremo viene largamente consumata, in forma indiretta ed inconsapevole, soprattutto riguardo alla tracciabilità, da di consuma carni. Si tratta di un boom che ha innescato una serie di meccanismi di sfruttamento da parte di realtà che hanno visto in questa risorsa una miniera d’oro, determinando che ad oggi la quantità di soia prodotta con pratiche non sostenibili con grave danno per l’ambiente, ha superato di gran lunga quella prodotta in modo sostenibile. Come è noto una risorsa agricola può avere tre diverse destinazioni di uso ed in particolare:

  • “Food”: legate alla alimentazione umana;
  • “Feed”: legate alla alimentazione animale (mangimi);
  • “No Food”: non destinate alla alimentazione in genere.

Ritornando alla produzione della soia, risulta davvero molto difficile controllarne l’acquisto indiretto, dal momento che dei 61 kg di consumo procapite all’anno, anche inconsapevole che noi abbiamo, ben il 93%, pari a 57 kg, sono attribuibili alla soia utilizzata proprio per la produzione di mangimi per l’allevamento degli animali. Una situazione che inserisce la soia all’inizio della filiera alimentare, andando ad interessare sia la produzione di carne e pesce che dei loro derivati.
I dati derivano dal rapporto del WWF appena uscito, dal titolo “Mapping the soy supply chain in Europe” (link sito), sono confluiti in un’infografica interattivadella quale è scaricabile una sunto grafico in calce al post.

Il sistema messo apunto da WWF prevede addirittura che per alcuni Paesi vi sia la possibilità di contattare, tramite tweet, la catena appartenente alla grande distribuzione dalla quale ci si rifornisce di solito chiedendo che vengano rapidamente assunti precisi impegni per rifornirsi esclusivamente di soia coltivata responsabilmente. Una scelta quest’ultima, che renderebbe chiaro ai produttori in Sud America, area dalla quale arriva la gran parte della produzione mondiale (vedi mappa a destra con le aree a rischio), che i consumatori europei vogliono esclusivamente quella soia che non sia stata prodotta a spese della natura, dei lavoratori o delle comunità locali.
E’ la stessa Sandra Mulderresponsabile del gruppo di lavoro sulla soia del WWF a dare un segno di speranza in questo senso, spiegando come “le aziende leader nella distribuzione e nella produzione lattiero-casearia stanno già dando prova del fatto che rifornirsi di soia prodotta in maniera responsabile è tanto possibile quanto praticabile”.


Nella classifica del consumo di soia nella filiera delle produzioni animali di carni o derivati che consumiamo quotidianamente, troviamo in testa i petti pollo con 109 gr di soia per 100 gr di prodotto, seguiti dalle uova con 35 gr ogni 55 g, dai tranci di salmone(59 gr ogni 100 gr), a seguire poi le braciole di maiale (51 gr di soia ogni 100 gr di carne) e, più indietro, gli hamburger con 46 gr per ogni 100 gr. In coda troviamo poi ilformaggio con 5 gr di soia per 100 gr di prodotto.


Tutte queste informazioni sono state pubblicizzate in occasione della “Tavola Rotonda per la Soia Responsabile” (RTRS, Round Table on Responsible Soy) che si èsvolta a Bruxelles gli scorsi 18 e 19 maggio. Un evento nel quale si è parleto di soia prodotta in modo responsabile e dove sono stati discussi gli standard definiti proprio dalla stessa RTRS, che definiscono quali sono le pratiche da seguire per rientrare nel novero delle aziende che si dicono sostenibili da questo punto di vista.
A tal proposito già nel 2014 il WWF ha pubblicato la “Soy Report Card”,scaricabile in calce al post, che rende conto del reale impegno profuso per promuovere una produzione responsabile di questo prodotto, da parte di 88 aziende europee. Un rapporto che vedrà l’uscita della nuova edizione aggiornata il prossimo anno, 2016, sperando di individuare in quella circostanza, una serie di segnali di inversione di tendenza, che possa rendere evidente lo sforzo profuso per rendere questo settore più sano per l’ambiente, ad oggi ancora non palesi.

poster

A seguire un significativo ed eloquente filmato realizzato da CIWE Italia, che ci porta proprio in uno dei paesi del Sud America come l’Argentina, nel quale sono più evidenti i segni di una pratica colturale insostenibile di soia, con grande utilizzo di pesticidi, tema davvero inquietante che ho affrontato anche recentemente nel post “Pesticidi killer: Italia triste leader che continua ad investirci nell’anno di EXPO“.

Sauro Secci

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