La bottiglia-borraccia: la nuova frontiera dell’acqua confezionata

La scelta di una  start-up italiana apre un capitolo nuovo sul valore ambientale e sociale dell’acqua in bottiglia, crea un impianto nuovo e ci spiega perché.

Acquainbrick™ start up nata appena a luglio 2019 con il progetto di confezionare acqua da bere in un materiale più ecologico e più performante del pet, costruisce un nuovo stabilimento di imbottigliamento a Marradi, in alta Toscana, al confine con la Romagna, con l’obiettivo di impegno verso l’ambiente e il sociale e contribuire a creare lavoro per 20 famiglie in una area a vocazione prevalentemente agro-forestale.

Dietro la notizia di cronaca c’è molto più: un mercato italiano al consumo di difficile stima per l’enorme varietà dei prezzi ma sicuramente non inferiore 3 miliardi di €, 11-15 miliardi di pezzi prodotti ogni anno di cui l’80% in plastica e solo il 10-15% rigenerata e la scelta di puntare ad una sostenibilità comprovabile.

Un business consolidato quello italiano sulla cui percezione in termini di impatto ambientale, siamo  poco più oltre del nastro di partenza.

Si tratta dunque solo di un nuovo brand come tanti o è l’occasione per affrontare il tema da una angolazione diversa?. Il dato di fatto è che il  consumo italiano di acqua minerale in bottiglia  è un business unico in EU dai contorni sorprendenti e per niente scontati. Anche se una recente ricerca di Legambiente ha dimostrato che molti intervistati non hanno saputo riconoscere, per gusto e odore,  l’acqua confezionata da quella del rubinetto delle nostre città, da noi  lo scetticismo la fa ancora padrone. In Italia ogni anno si comprano bottiglie piene d’acqua industrialmente lavorata, tali da coprire con un serpentone astrale la distanza Terra-Luna  (384.400 km) praticamente in 1 anno; in poco più di 2 anni costruiremmo un cordolo lungo gli 830.000 km delle sistema  stradale  italiano, occuperanno una superficie di oltre 4000 km2 pari alla 3 volte la superficie di Roma.

Se la Natura ci ha messo a disposizione un Paese  geologicamente fantastico, ricco di montagne e di abbondanti di acque sorgive, come nessuna in Europa,  noi italiani ne abbiamo indubbiamente approfittato, costruendoci attorno un business con 300 marchi commerciali, 40.000 occupati; consegnando ovunque l’acqua del Nord al Sud e viceversa, inviandola nella EU,  nelle Americhe, fino nella Cina più rurale; per il turismo di lusso e per quello degli amanti del trek, dello sport o del dolce far niente.  Un mercato annuale da 11 miliardi di bottiglie (fonte Corriere Sera ) o forse  15 miliardi   (fonte: Sole24ore) ma di cui l’80% è in pet, il resto vetro e quasi nulla di multimateriali, come appunto il ben noto Tetra-pack™  o similari.

Questo significa che solo per dissetarci oltre ai succhi di frutta, vino e bibite gasate, consumiamo 350.000.000  kg di pet (40 gr a bottiglia da 1 lt –  fonte: Corriere della sera) ovvero l’11% dell’intera produzione europea di questo tipo di plastica (fonte: www.statista.com). Una ricerca del Politecnico di Milano ha calcolato il GWP (global warming potential) ovvero l’impronta sull’ambiente, del pet: dalla estrazione del petrolio fino alla produzione del polimero lavorabile,  pari a  5,1 kg di CO2 (gas serra) per  1 kg di pet, ovvero 25 bottiglie di acqua da 1 lt o forse meno considerando gli scarti di lavorazione. Una conferma di questa impronta viene anche dai calcoli della certificazione Nordik Ecolabel che lo stima invece in  6,5 kg/1kg incluso anche il costo di trasformazione in prodotto finale. Per fare un confronto: il biopolimero di origine vegetale (amido) pla di Natureworks™, è dato da Nordik Ecolabel a 2,6 Kg/1kg, quindi circa 2,5 volte meno del pet.

– tuttavia una LCA eseguita su biopolimero Ingeo™ di Natureworks  nel 2015 https://www.natureworksllc.com/What-is-Ingeo/Why-it-Matters/Eco-Profile, ci conferma che il suo impatto è sceso a 0,62  kgCo2/1kg pla (2015). In Italia ci beviamo – scrive il Corriere Sera – oltre 220 litri a testa di acqua imbottigliata nel Pet. Poco più che 0 nel biopolimero Pla, anche per l’ancora difficile riconoscimento con la attuale tecnologia presente negli impianti di selezione della raccolta differenziata e del riciclo del pet che potrebbe essere compromesso; inoltre la domanda mondiale di pla è così elevata da suggerire di concentrarsi maggiormente negli imballaggi mono e multistrato alimentari a più alto valore aggiunto. In termini di emissioni di Co2 si può dire che gli Italiani amanti dell’acqua in bottiglia di pet contribuiscono al riscaldamento globale per almeno        1,5 miliardi di kg ogni anno pari a 4,6 volte il peso del Duomo di Milano, 4 Empire State Building e 6 Colosseo. La domanda sarebbe se sia davvero necessario questo volume di business o se è se  una abitudine di cui prendere coscienza. Ma toccherebbe alla politica preoccuparsene.

Oggi va di moda il Green Pet (Rpet) dove  una parte del polimero che forma la bottiglie proviene da post consumo. L’impronta ambientale migliora del 20% come si legge in una analisi LCA eseguita per conto della  Parmalat (https://www.parmalat.it/media/Report-finale-LCA-Parmalat-rev-fin-04.05.2020.pdf) confrontando una bottiglia di pet vergine con una di pet al 50% rigenerato (pag.17), anche se poi molti brands  in commercio che pubblicizzano l’uso del Rpet, non ne superano il 30%. Resta però il fatto della sorprendente distanza in termini ambientali con il multistrato in cartone come si evince dai dati qui sotto esposti.

L’alternativa alle bottiglie di pet, per i più, resta il vetro. Ma questo a sua volta non scherza in termini di  emissioni Co2  anche se molto più salutare nella gestione del contenuto.

L’imballaggio proposto dalla su citata  Acquainbrick, start-up con cui abbiamo aperto l’articolo,  apre invece all’uso esclusivo del multistrato tipo tetrapack. Questo è piuttosto complesso come struttura ma ognuno dei 6 strati gioca un ruolo tecnicamente rilevante, per es il sottile strato di alluminio. Giusto una curiosità: Tetra dal greco, significa 4 che erano gli strati originali della  invenzione svedese e l’ultimo, il più rivoluzionario, fu aggiunto in seguito proprio per preservare i valori nutrizionali e organolettici dei liquidi contenuti: l’alluminio. Questo è nascosto da un corposo strato di cellulosa che costituisce l’armatura del flacone, interamente riciclabile e assai efficace. Chi lo tiene insieme sono due micro-strati di polietilene (LDPE), in totale 4 che è una plastica generalmente di sintesi, particolarmente adatta al contatto alimentare e priva di ftalati (una famiglia di plasticizzanti oggetto di discussioni infinite sui rischi verso la salute) che invece si trovano principalmente nel Pet. Lo scopo dell’alluminio è proteggere il contenuto dai raggi UV e infrarossi della luce (>90%), che passano appieno nella bottiglia trasparente e che possono alterare la struttura organica e inorganica del contenuto, acqua incluso. Questo è anche il motivo per cui materiali multistrati come il Tetra-pak™ sono usati oggi soprattutto per proteggere bevande complesse e costose come succhi, latte, creme ecc, ricche di altri materiali facilmente ossidabili da i raggi solari e della luce. Ma per proteggere l’acqua da bere ne varrà la pena?. In Acquainbrick evidentemente ci scommettono. Ma è sulla tutela dell’ambiente che si gioca la partita più complessa.

A pelle, una struttura così complessa, dovrebbe avere un impatto ambientale  assai superiore al mono-strato della popolare bottiglia di plastica (bianca, verde o blu, non fa differenza).

Invece le ricerche dicono il contrario.

Una LCA eseguita da FKN, associazione tedesca produttori di imballaggi (https://assets.tetrapak.com/static/documents/fkn_lcas_publication_2007.pdf) dimostra che la differenza in termini ambientali tra una bottiglia in multistrato tipo tetrapak e una bottiglia di pet  sono rispettivamente: da 1 litro + 167% e quella da 0,5 litri +162% a favore del multistrato.

Una LCA invece eseguita negli USA nel 2014 ha messo in confronto un  imballaggio in multistrato tipo tetrapack con un flowpack in plastica per uso alimentare, entrambi da 500 ml. In questo caso per metterci dentro una zuppa liquida. Lo studio dimostra che il tipo tetrapak produce 0.9 kgCO2, mentre il sacchetto PET+PE da 500 ml produce 1,83 Kg/kg ovvero il 200% in più di gas inquinanti (www.fal.com). Questo nonostante la rilevante differenza di peso:  20 gr di tetrapack contro  il sacchetto floscio   da 10,4 gr. Il doppio.

Tetra-pak™ sul suo sito internet (www.tetrapak.com) afferma che il 70% della composizione del suo materiale muiltistrato proviene da fonte rinnovabile; nella bottiglia di Acquainbrick™  da 330 ml e a breve anche sul 500 ml, anche tappo e ghiera  sono in plastica (pe) da fonte vegetale. Questi componenti pur non essendo biodegradabili sono comunque considerati una bioplastica e sono oltretutto riciclabili come tutti i materiali plastici e il gwp è più basso di quello 100% di sintesi (petrolio). Sono il necessario compromesso per mantenere l’efficienza dell’imballaggio e  la sua  possibilità di  riutilizzo più volte, grazie alla sua robustezza e flessibilità.

Dove e come si ricicla il multistrato di questo tipo?.

La carta, che è il peso maggiore del multistrato, in Italia è tutta riciclata in una cartiera leader europeo nel distretto toscano della carta, in Lucchesia. Gli altri componenti: polietilene e alluminio sono entrambi riciclabili ma l’obiettivo ora è valorizzarne le proprietà fisico/meccaniche e su questo Acquainbrick ha un progetto specifico.  Intanto una azienda piemontese sta proponendo coperture per edifici in questo mix.

Dall’altro lato i dati della rigenerazione del pet delle popolari bottiglie non sono incoraggianti. Tutto il Pet è rigenerabile ma  Il Corriere della sera in una sua inchiesta, ci conferma che delle “miliardate” di bottiglie di pet italiane, oggi si rigenerano solo il 10-15% mentre tutto il resto finisce negli inceneritori o termovalorizzatori, nelle ancestrali discariche e, come vediamo tutti, ovunque per terra nei mari e purtroppo anche nella fauna marina sotto forma di microplastiche, frammentate dall’azione del mare e degli uv emessi dal sole.  La termovalorizzazione del pet è apparentemente una alternativa al bruciare petrolio – come sostengono per es gli efficienti popoli nordici – in realtà viene bruciato un valore aggiunto dato da tutti passaggi industriali necessari per arrivare non solo a produrre l’oggetto ma per arrivare al consumatore e al suo necessario recupero come rifiuto.

Ad oggi, in Italia, l’acqua nel brick multistrato è confezionata solo da un paio di aziende che producono però anche nelle tradizionali bottiglie in pet, quindi più una scelta commerciale che strategica, peraltro giustificabile. Solo nel trasporto, un brick rettangolare riduce per oltre il 20% gli spazi vuoti lasciati dalle bottiglie  tonde e quindi consente una ripartizione migliore nel trasporto e stoccaggio della Co2 prodotta, contribuendo così a ridurre l’emissione di inquinanti a parità di litri trasportati.

Acquainbrick  si propone  vari obiettivi tra cui anche quelli sociali come vedremo sotto.

Abbiamo intervistato in esclusiva il CeO della azienda Acquainbrick Christian Creati e Alice Garau Aroffu, CoO responsabile R&D.

D  – la notizia che sarà aperto un nuovo stabilimento per imbottigliare acqua in un panorama italiano affollato con oltre 300 marchi e 700 sorgenti attive, è già di per sé interessante. Quali le motivazioni industriali (tecniche e commerciali) per aprire il vostro nuovo  impianto?

R – con la nostra scelta –  acqua rigorosamente in confezione tipo tetrapack – noi rappresentiamola soluzione alternativa, tecnologica, sociale e ad alto valore rinnovabile, per l’acqua cosiddetta da passeggio (ndr: le bottiglie per lo più di pet che compriamo in bar, supermercati, stazioni ferroviarie ecc e che usiamo come una “borraccia”). Crediamo fermamente che l’innovazione e l’evoluzione dei packaging alimentari possa essere uno dei punti di forza dello status sociale ora come in futuro. Avere la possibilità di contribuire a questo cambiamento è la principale motivazione che ci spinge sul mercato, con una offerta decisa e ragionata e non solo commerciale.

D –  Quanto conta dunque la scelta del tipo di imballaggio nel vostro progetto? Il contenuto è e sarà  ovviamente di alta qualità ma in questo caso dal punto di vista industriale, conta più il contenitore del contenuto?

R – Ovviamente la scelta del pack è ciò che contraddistingue noi dagli altri, il nuovo dal vecchio, il fossile dal vegetale.  Servirà comunicarlo bene ma vogliamo dare anche il giusto peso al contenuto: la nostra acqua sarà “PREMIUM”, con un bassissimo residuo fisso, un PH bilanciato e ZERO % di impurità.

Nella foto gli imprenditori intervistati e i tecnici durante il sopralluogo all’area situata nell’Appennino Tosco-Emiliano su cui sorgerà il nuovo stabilimento. Il rispetto dell’ambiente al centro delle attenzioni della start-up

D –  Quindi la comunicazione del brand più del contenuto costituirà il vero valore aggiunto?

R – Dire che è più un rapporto interconnesso , noi vestiremo il nostro prodotto con il brand partner e questo di per sé ci lusinga molto anche dopo oltre 100 client, da quando ci siamo affacciati sul mercato 2 anni fa. Il il nostro cliente sarà più un partner  commerciale vanterà una comunicazione diretta, una immagine personalizzata, con un prodotto di largo consumo che genera ancora quello che definiamo l’effetto “WOW” nel cliente finale – crediamo il valore aggiunto sia incontrarsi

D –  Che obiettivo industriale vi siete posti in termini di numeri?

R – Ci è stato passato un testimone molto importante, i nostri soci spagnoli hanno avuto un trend di crescita negli ultimi 4 anni stupefacente e il mercato acqua Italia vale almeno un 20% in più di quello spagnolo: abbiamo tanto lavoro davanti a noi . L’obiettivo è di 50 milioni di pezzi entro il 2025.

D –  Tornando al contenitore. Avete sottoscritto un accordo preciso con Tetra-pak™ che sarà il fornitore del cartone. Questo tipo di imballaggio cosa aggiunge al prodotto o  non toglie al prodotto che è semplice acqua da bere?

R – Nel corso dell’ultimo anno abbiamo incontrato diverse realtà nella ricerca del sito produttivo per la nostra fabbrica;  una di queste è stata la Fonte Cintoia, il cui proprietario imbottigliava in Tetra-pak™ già negli anni ’70;  nonostante la sua fabbrica sia chiusa ormai da qualche anno ci ha detto “ io la bevo ancora, ed è perfetta; prova a fare lo stesso con una bottiglia di acqua in PET se sei capace, ma soprattutto coraggioso “  Il pack ci permetterà di preservare  le caratteristiche organolettiche dell’acqua molto più a lungo e senza rischi.

D – Come indicherete al consumatore il metodo di smaltimento, i valori di recupero, l’impatto ambientale?

R – non è sostenibile chi ricicla di più , bensì chi impatta di meno: questo è ciò è in cui crediamo e per cui lavoreremo, tanta cultura sul consumo responsabile.  Forniamo indicazioni rispetto alle filiere di smaltimento e riciclo già attive attraverso un sito dedicato, pubblicando regolarmente dossier tecnici e promuovendo la nostra attività di R&D per una filiera circolare di riciclo dei brick esausti. Ricordiamo che non si tratta di contenitori solo usa&getta, ma riutilizzabili anche più volte per un uso personale; il tappo a vite garantisce la protezione e la tenuta, il resto lo fa la struttura flessibile ma robusta.

D – Cosa vuol dire per voi impegno sociale?

R – Per esempio che siamo anche partner della ONG “pozzi-senza-frontiere” (www.pozossinfronteras.org) per cui una % del valore di vendita viene dedicato alla costruzioni di pozzi in aree del Pianeta con alta criticità idrica.

Infine alla domanda dove si buttano oggi i contenitori vuoti di tetrapack, la risposta è per lo meno interlocutoria. Sicuramente a seconda della tecnica di separazione dei centri di raccolta municipali:  chi la vuole nella carta chi nella plastica, a dimostrazione comunque della incapacità anche della stessa ass. dei Comuni di Italia di fare fronte comune, a favore dei cittadini. E’ forse anche per questo che Acquainbrick impiegherà  risorse proprie nella valorizzazione dello scarto per dare nuova vita a materiali tecnologici e garantire il riuso dei materiali della sua produzione.

Marco Benedetti
m.benedetticonsulting@gmail.com

Redazione

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