BEI: finanzierà solo energia verde eppure ci sono membri EU ai quali non interessa, anzi

Sono passate poche settimane da quando sul nostro sito avevamo dato conto della possibilità che finalmente la BEI (Banca Europea degli Investimenti) ponesse fine agli incentivi alle fonti fossili (vedi post “Sussidi alle fonti fossili: per la BEI stop dal 2020 ma..“). In questi giorni finalmente questa notizia si sta davvero concretizzando, con la stessa BEI che non finanzierà più alcun progetto riguardante la produzione di energia da fonti fossili, gas incluso, a partire dal 2021. Su questo tema l’approfondimento del nostro Marco Benedetti (logo copertina: fonte Alamy Stock Photo).

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La BEI infatti metterà a disposizione mille miliardi euro per investimenti in cui la parola guida è “sostenibilità” fino al 2030, con deroghe previste solo per le centrali esistenti con emissioni specifiche inferiori a 250 gr di Co2 per kwh di energia generata.

Tutti d’accordo nella EU? Tutti no: 2 astenuti, Austria e Olanda, e 3 Paesi dell’Europa Est contro: Polonia, Ungheria e Romania. Una notizia che a molti non sembrerà da prendere in seria considerazione. Ma è un errore visto che inquinare l’aria non è un’attività che si ferma alla frontiera ma coinvolge tutti. Come se quei venti che da est, specialmente in inverno (quando si produce più smog), spazzano Trieste e il Nord Italia, fossero una naturale casualità; come se ci fossero  basi scientifiche del negazionismo del cambiamento climatico (a parte chi usa i media per i suoi interessi speculativi  secondo la scuola trumpiana).  La lezione di di Chernobyl, geograficamente ancora più distante, non è bastata evidentemente.

Eloquente il grafico seguente, dove si può visualizzare la situazione sinottica a livello europeo relativa alla giornata del 30 gennaio 2017 alle ore 12:53, con il dettaglio dell’intensità di carbonio per la generazione elettrica, espressa in gCO2eq/kWh, visualizzato attraverso diversi colori e gradazioni con i quali sono rappresentati i singoli paesi, individuando già a colpo d’occhio nazioni decisamente a bassa intensità di carbonio come la Norvegia con 32 gCO2eq/kWh o la Svezia per la generazione elettrica, con la loro elevata produzione da idroelettrico e la Francia, grazie al nucleare e la macchia nera della Polonia, ancora fortemente dipendente dal carbone.

Mappa EU intensità di carbonio da prosuzione di energia elettrica – Fonte Entsoe.eu

Come è possibile che a tre Stati legati mani e piedi commercialmente all’Europa  occidentale non interessino le politiche di sostenibilità ambientale in campo energetico? E perché  altri 2 ad essi molto legati, influenti e occidentali, si astengono?

Forse per questi ultimi 2 la risposta sta solo nell’equilibrio politico: l’Olanda vede un centrodestra, al governo da quest’anno, che strizza l’occhio al populismo sovranista, ma ha però nei GroenLinks, i verdi locali, una presenza in parlamento assai ingombrante che con 14 seggi ha quasi quadruplicato il risultato delle precedenti elezioni; mentre in Austria, porta storica verso l’Est Europa, nelle elezioni 2019 i popolari conservatori sovranisti di Kurz, seppur al 34%, non riescono ancora a formare un governo perché devono avere a che fare ancora con i verdi, che sono il vero anello forte delle elezioni. Detto questo l’astensionismo sembra più codardia da poltrona che traballa, che senso di equilibrio da carboni ardenti.

Per i 3 Paesi evidentemente allergici allo sviluppo energetico sostenibile, le risposte sembrano le più varie.

Per la Polonia non è solo questione economico-finanziaria. Con un occhio strizzato al populismo in Patria e con l’altro impegnato a osservare come si muovono i grandi clienti dell’Europa occidentale, la Polonia è  un Paese la cui energia è ottenuta principalmente dal carbone – energia a costo contenuto – utile per far sopravvivere le  grandi acciaierie che alimentano il settore auto europeo con il suo indotto (varie sono le aziende italiane fornitrici dell’auto, con stabilimenti sopratutto concentrati nel sud della Polonia), quindi fonte di occupazione per la popolazione e garanzia di prezzi bassi per i clienti limitrofi.  

Più difficile la posizione della Romania che naviga evidentemente a corto raggio e sull’ambiguità politica dopo che già nel 2008 veniva ritenuta tra i principali promotori europei di energia da fonti alternative (fonte: Qualenergia), ma che oggi rappresentano solo il 12% (Wikipedia). Anche se  dipende da carbone, gas e petrolio russi, le statistiche confermano una diminuzione del 14% di emissione gas serra, che sa di miglioramento della efficienza degli impianti o diversificazione con l’aggiunta del nucleare (2007).

Infine l’Ungheria che non primeggia in nessun campo industriale tranne in quello politico sovranista, nazionalista, populista dal suo presidente Orban. In questo Paese  la Co2 emessa a carico di ogni abitante è di 3,9 kg, dato già peggiore di Polonia e Romania e di molti altri membri EU. Questo a conferma ancora una volta di  una dipendenza strutturale dalle fonti energetiche basate da fonte fossile, principalmente gas, carbone e petrolio e con forte dipendenza dalla Russia (fonte: geni.org). Nel 2004 il governo aveva dichiarato di volgere lo sguardo verso fonti energetiche provenienti dalla Comunità Europea, ma poi è arrivato Orban (2010) ed ha fatto come i gamberi: la politica  energetica  sostenibile evidentemente non piace a prescindere, con buona pace – e le tasche piene – degli oligarchi russi.

Tuttavia l’Europa Unita dei 28 Paesi si muove tra luci e ombre, qualche  illusoria frontiera di troppo e qualche certezza: il cammino verso le energie rinnovabili e sostenibili è irreversibile.

Ma per i non addetti ai lavori, districarsi tra i vari sistemi di calcolo statistico per capire come siamo messi anche in Italia non è facile: ci sono quelli che indicano la Co2 prodotta pro capite per kw/h, altri i kg di Co2 per abitante ecc, altri il consumo elettrico pro capite. Il dato certo è, come si vede nelle tabelle 2 e 3, che nella EU l’81% della Co2 è dovuta alla produzione di energia elettrica, che è a sua volta è responsabile dell’80,7% di tutte le emissioni di gas serra.

Possibile dunque che gli insegnamenti positivi di Paesi della stessa comunità EU come Svezia e Francia, inseriti tra i primi 3 Paesi Europei virtuosi in termini i di CO2 per abitante, non facciano scuola?

La Polonia abitata da 38 milioni di persone (circa 7% popolazione EU) produce 764 gr di CO2 per kwh, dato che è 24 volte superiore alla Norvegia che ne produce solo 31 gr CO2/kwh, grazie al fatto che il 97% delle energia prodotta deriva da fonte rinnovabile – con larga prevalenza di quella idraulica (fonte: Eurostat Greenhouse gas emissions intensity of energy consumption). Dopo la Norvegia vengono 2 paesi della EU: Svezia con 73 g e Francia con 100 gCO2eq/kWh, quest’ultima aiutata abbondantemente dalla produzione di energia nucleare. 

In questa analisi si scopre anche che l’Italia non è poi così virtuosa: 404 gCO2eq/kWh (14 febbraio 2017; 13 volte peggio della Norvegia), non solo a causa di certe  cattive abitudine di abitanti e istituzioni, tipo spreco energico per riscaldare abitazioni, scuole e uffici pubblici, ma anche dalla intensa attività manifatturiera molto frammentata ma concentrata per il 70% in 1/3 della superficie del Paese che è la Pianura Padana (e i risultati si vedono salendo sulle vette delle Alpi e guardando in basso).

Il nostro mix energetico di produzione è basato principalmente su gas metano (quasi il 30% della potenza elettrica totale), eolico, fotovoltaico e idroelettrico. Non è indicato il dato sulla produzione di energia elettrica proveniente da carbone che è sempre presente per 6/11, sopratutto laddove non dovrebbe essere, ovvero nella Pianura Padana e Liguria (fonte: Lifegate). Ma l‘Italia importa elettricità anche dai paesi confinanti, in particolare da Francia, Svizzera e Slovenia (questi ultimi due importanti produttori di energia idraulica).

Infine un’altro dato incrociandolo con quelli sopra indicati fornisce risultati interessanti, v. Statistica 4.

Secondo quanto riportato dal sito americano Statista il Paese Europeo che sembra meno virtuoso nei consumi di energia nel nostro continente risulterebbe sorprendentemente essere la Norvegia che ne consuma comunque la metà della altrettanto virtuosissima Islanda. Mentre per questa isola, situata ai confini del circolo polare artico in cui le luci restano accese per gran parte dell’anno, avendo estati brevi e notti lunghi e profonde, l’energia è pressoché a impatto 0 grazie a geotermica e idraulica, la Norvegia invece non ci fornisce la stessa impressione, sapendola tra i maggiori estrattori mondiali di petrolio. Questo però lo esportano a meno virtuosi paesi del globo, essendo anche il paese che sta puntando moltissimo sulla trazione elettrica per le sue strade.

Ancora più sorpresa destano Finlandia e Svezia, in 6 e 9 posizione, ma anche qui è dato ingannatorio perché produttori di energia verde soprattutto idraulica.

Il Canada si inserisce tra i gran di consumatori di energia per abitante, ma, guarda caso assieme ai paesi europei menzionati, ha territori tutti oltre il circolo polare artico con grande produzione di energia verde. 

Gli altri campioni della classifica sono tutti produttori di petrolio, ricchi di raffinerie energivore e di senso di ricchezza che pervade anche i bagni pubblici.

Resta il caso del Lussemburgo, potente e ricco staterello di 600.000 abitanti, con un territorio 39 volte più piccolo della islanda, incastrato nel cuore dell’Europa da cui dipende al 95% per le forniture energiche. Apparentemente non  alimenta grandi industrie, non ha una raffineria ma è presente l’industria dell’acciaio che fornisce da sola il 13% del prodotto interno lordo e usa energia  prodotta nella vicina Germania della Ruhr carbonifera. La fattura energetica del paesello è comunque  pari a 4,2 milioni di tons equivalenti di petrolio, 1/276°delle 1122 consumate dai  28 paesi EU. (fonte Eurostat). Quando si dice che l’esempio non è proprio buono, nonostante che il Segretariato Generale della EU – una delle 3 grandi istituzioni delle EU – abbia sede proprio in Lussemburgo e che abbia approvato il piano della Banca Europea degli investimenti.

Marco Benedetti
m.benedetticonsulting@gmail.com 

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