Riconversione del suolo: una grande opportunità per l’Italia

Il tema dell’uso del suolo, per sua stessa natura una risorsa limitata su cui dovrebbero coesistere armoniosamente attività differenti assume una grande centralità per affrontare tante piaghe del nostro paese, a cominciare dal dissesto idrogeologico, che ci vede estremamente vulnerabili per la morfologia del paese.

{tweetme} #Italiasicura #usosuolo “Riconversione del suolo: una grande opportunità per l’Italia”{/tweetme}   

Urbanizzazione, infrastrutture, agricoltura, boschi e foreste si ripartiscono lo spazio disponibile secondo equilibri molto complessi, variabili da zona a zona, tuttavia svolgendo ognuno di questi ambiti un suo ruolo ben preciso, può essere compressa solo entro certi limiti. Un argomento di grande rilevanza se solo pensiamo che le nostre aree urbane sono costellate di siti abbandonati o in disuso, spesso da bonificare perché inquinati, che in passato hanno ospitato attività economiche o industriali e che ora potrebbero seguire un percorso virtuoso di riconversione suolo. Si tratta di un tema analizzato nella sua dimensione europea, da un nuovo rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) denominato “Land recycling in Europe” che fa il punto su dimensione e impatto del fenomeno e scaricabile in calce al post. Una importanza ancora più rilevante è la riconversione della parte inquinata di questi siti, i cosiddetti “brownfields”, siti inquinati nei quali gli interventi di riutilizzo o trasformazione d’uso, valorizzandone le caratteristiche e collocazione geografica, sono in grado di produrre benefici economici uguali o superiori ai costi relativi alle opere di trasformazione e alle opere di bonifica o messa in sicurezza.

Si tratta, spesso, di siti inquinati compresi in ambito urbano o di immediata periferia, già dotati di tutte le opere di urbanizzazione (luce, acqua, gas, rete fognaria ecc.) e prossimi a linee e raccordi di trasporto. Aree, quindi, degradate ed impattanti, sia sulle matrici ambientali che sul tessuto antropico circostante, ma che presentano caratteristiche tali da poter essere utilmente trasformate e valorizzate, e che sono in grado di produrre, se adeguatamente gestite, benefici finanziari ed economici e nuove opportunità di sviluppo sostenibile per la collettività invece che andare a “divorare” nuovo suolo vergine.
Si tratta di una problematica di grande rilevanza in molti paesi europei, dove esiste un serio problema di consumo del suolo inteso come porzione del territorio modificato dall’azione dell’uomo. In Italia il fenomeno è stato ben fotografato dall’ISPRA che in un documento del 2015 ha mostrato come il suolo consumato in Italia sia passato dal 2,7% degli anni ’50 al 7% del 2014 (vedi post “Consumo di suolo: Italia sempre più “affogata” nel cemento secondo ISPRA”). Contestualmente a questo fenomeno è progressivamente cresciuta anche l’estensione della aree in disuso che contribuiscono a mantenere elevati gli indici di uso del suolo, perdendo però nel contempo stesso ogni utilità o beneficio alla collettività.

Nel rapporto di AEA viene ben chiarito il concetto di riconversione o recupero del suolo, in inglese “land recycling”, inteso come quell’insieme di operazioni che permettono di recuperare un sito dismesso o abbandonato attribuendogli una nuova funzione nel tessuto urbano. Rientrano nella riconversione di suolo sia le operazioni bonifica e ripristino dello stato naturale dei terreni sia anche il riutilizzo del suolo a scopo edificatorio.
Proprio al riguardo nel rapporto di distinguono due diversi processi di riconversione:

  • Grey land recycling: inteso come riutilizzo dell’area secondo la sua destinazione d’uso esistente o secondo una nuova destinazione d’uso.
  • Green land recycling: inteso come recupero del suolo per la creazione di un’area verde o di un’area urbana aperta.

E’ soprattutto la seconda tipologia di interventi, quelli di “green land recycling” ad apportare i maggiori benefici alla qualità della vita in ambito urbano, con gli interventi di “grey land recycling”, importanti per contribuire a miglioramento della qualità ambientale e della vivibilità del territorio e dell’ambiente urbano.
Un rapporto, quello redatto dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, basato su rilevazioni dei satelliti europei Copernico che mette in evidenza come la riconversione del suolo sia in aumento in Europa anche se rimanendo su valori complessivamente ancora limitati. Infatti tra il 1990 ed il 2000 tale buona pratica ha rappresentato il 2,23% del consumo totale di terreno nei paesi esaminati. Si tratta di una quota che, su base europea, è scesa al 2,10% tra il 2000 ed il 2006 per poi risalire al 2,93% tra il 2006 ed il 2012. Andando a disgregare su base territoriale tali dati, si registrano andamenti molto diversi a livello dei singoli paesi. Tra il 2006 ed il 2012 ad esempio, il più ampio tasso di ricorso alla riconversione del suolo si è registrato in un piccolo paese dell’area balcanica come il Montenegro, dove tale tasso ha raggiunto il 15,64%. In questa classifica un altro paese a far registrare un dato a doppia cifra è il Lussemburgo con l’11,91%. Dall’altra parte della classifica si evidenziano invece paesi completamente “al palo” da questo punto di vista, come Malta ed Albania, i quali hanno registrato nello stesso periodo un ricorso alla riconversione del suolo praticamente nullo.
In tutti e tre gli intervalli temporali presi in considerazione dal rapporto, l’Italia si è mossa al di sotto della media europea, pur con una tendenza in continua crescita, facendo registrare il seguente quadro evolutivo:

  • 0,19% tra il 1990 ed il 2000;
  • 1,03% tra il 2000 ed il 2006;
  • 1,54% tra il 2006 ed il 2012.

Una tendenza quella italiana, che evidenzia comunque il segno di una maggiore attenzione generale all’uso della risorsa “suolo”, con un approccio che si ritrova anche in sede normativa con la discussione della nuova legge sull’uso del suolo, con il primo sì della Camera dei deputati alle azioni per l’obiettivo consumo di suolo zero entro il 2050, con il recepimento di principi e misure che vanno nella direzione di incentivare la riconversione del suolo. Tra queste figurano per esempio le nuove norma per la riqualificazione delle aree già edificate e limiti più stringenti sul cambio di destinazione d’uso per i terreni agricoli.
Le elaborazioni contenute del rapporto di AEA dal 2012 al 2016, oltre mille chilometri quadrati di suolo sono stati utilizzati ogni anno in Europa per lo sviluppo delle attività umane. Si tratta di un fenomeno che non si limita alla sottrazione di superficie a boschi, pascoli e foreste ma da inquadrare anche in funzione del suo impatto complessivo e che si determina spesso con modifiche alla destinazione d’uso dei terreni agricoli, creando in questo modo una serie di gravi problemi di produttività del comporto agricolo. L’uso del suolo inoltre è generalmente accompagna ad impermeabilizzazione dei terreni, che perdono in questo modo la capacità di moderazione delle acque meteoriche anche a fronte di periodi sempre più caratterizzati da precipitazioni intense e temporalmente più concentrate, che fanno emergere un aumento del rischio idrogeologico che mette a rischio milioni di persone. Un aspetto di grande criticità proprio per il nostro paese , dove secondo il già menzionato rapporto ISPRA 2015, si stima che solo in Italia, fino a 9 milioni di persone sono a rischio per rischio idraulico, con molti di questi casi dove tale rischio è strettamente associato alle modalità con cui è stata gestita nel tempo l’urbanizzazione del territorio e l’uso del suolo (vedi post “Alluvioni e dissesto idrogeologico: online la Mappa nazionale sul nuovo portale “#Italiasicura”“).

Si tratta davvero di una grande occasione per il nostro paese, di intervento su fattori di rischio idrogeologico migliorando la sicurezza del territorio.

Sauro Secci

Articoli correlati