Il primo land grabbing della storia: l’olio d’oliva

Tre anni fa in vacanza nel Salento grazie alla insistenza del mio amico Luigi Vincenti, storico produttore/inventore di microeolico e di fotovoltaico,  ebbi il piacere di seguire una visita guidata ad un frantoio sotterraneo a Specchia, un bellissimo comune con un centro storico mozzafiato da grande città, come spesso avviene da quelle parti.

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Mano a mano che la visita procedeva guidata da una guida-attore che recitava la storia che raccontava, scoprivo il perché della ricchezza dei monumenti di tutto il Salento e della Puglia e il motivo di un paesaggio votato per gran parte all’olivicoltura con piante secolari, capaci di affascinare ogni viaggiatore.

La Puglia ma più precisamente il Salento, ha visto lo svilupparsi del primo “land grabbing energetico” della storia, il primo Dubai anche in ricchezze accumulate.

Sotto il termine di “land grabbing” si individuano le forme di accaparramento del suolo per coltivare una monocoltura in quel momento particolarmente remunerativa. La terra accaparrata per una sola coltura perde la sua biodiversità, il paesaggio muta in un monocolore e le popolazioni, invece di avere i vari prodotti della terra per alimentarsi, si legano alle sorti di una produzione.

Oggi intere estensioni del mondo sono coltivate ad olio di palma che è usato sia per l’alimentazione che per la produzione di energia. Il continuo ampliamento con il cambiamento delle terre interessate è devastante per l’uomo, gli animali, la biodiversità e il pianeta intero. Grandi problemi per l’uomo, dal momento che le monocolture alimentano la fame dato che la terra agricola che produceva i vari prodotti per la sussistenza adesso produce solo olio di palma che, come affermano tutti gli studi internazionali, non è propriamente un toccasana alimentare, con gli altri prodotti vanno acquistati sul mercato e per i poveri, costretti a cambiamento forzato da una agricoltura di sussistenza a quella di mercato, che si traduce nella privazione per mancanza di denaro. Grandi problemi per la biodiversità e gli altri animali perché un monopaesaggio e una monocoltura ospitano solo alcune specie, escludo le altre, oltre a rivoluzionare, stravolgendoli, l’immagine e il vissuto dei luoghi. Grandi problemi infine anche per il clima, visto che oggi i territori interessati sono spesso foreste tropicali in cui la canaglia umana, intenta alla deforestazione, usa l’incendio, con ben un settimo di tutte le emissioni climalteranti a livello planetario, che derivano oggi proprio dagli incendi per deforestazione .

Tutto questo avvenne nella nostra Puglia a partire dal 1500 a Gallipoli, in provincia di Lecce, dal XVI al XIX secolo e per 350 anni della nostra storia ci sono stati giovani che morivano per fare dieci bottiglie d’olio lampante prima della scoperta dell’energia elettrica.

L’olio lampante era semplicemente olio di oliva che serviva per illuminare prima della scoperta del petrolio le lampade di tutta Europa. La qualità dell’olio pugliese, salentino e barese, aggiunta alla pietra leccese che dentro i frantoi ipogei purificava l’olio depositato fino a renderlo capace di non affumicare i luoghi illuminati, divenne leggendaria e il prezzo a cui veniva venduto scatenò il cambiamento che ancora parzialmente vediamo in Puglia: un paesaggio fatto tutto di olivi.

L’olio di oliva, pur se molto migliore dell’olio di palma e ottimo per l’alimentazione, non poteva certo sostituire l’agricoltura di sussistenza, con le foreste e i boschi che scomparvero per essere sostituiti da infinite distese di olivi, solo olivi, un vero e proprio land grabbing di dimensioni enormi per quel tempo.

Nella sola Gallipoli si contavano trenta frantoi ipogei attivi che lavoravano da ottobre a maggio con migliaia di lavoratori che restavano dentro anche per l’intero periodo, al punto che due papi dovettero fare due indulgenze plenarie per chi lavorava nei frantoi e non poteva andare a messa. Partivano fino a 100 navi da carico per tutta Europa sempre solo da Gallipoli ma anche gli altri porti pugliesi non erano da meno. 

Le icone delle chiese ortodosse venivano illuminate solo dall’olio lampante pugliese e, a parte qualche crisi dovuta a guerre varie, per quattro secoli alcune regioni italiane furono stravolte in nome di una agricoltura industriale energetica: “il primo petrolio”.

Ecco perché concordo certo sulla difesa degli ulivi multicentenari della Puglia, non comprendendo nel contempo l’assoluta difesa di un paesaggio a monocoltura olivicola, che, come tutti i paesaggi monoculturali, non sono una benedizione per la natura e sarebbe meglio, molto meglio, se rinascessero in parte anche aree riforestate e colture differenti intercalando il paesaggio fatto tutto di olivi.

Come spesso accade nella storia del paesaggio tutto quello che vediamo e proteggiamo è frutto delle scelte dell’uomo e in questo caso, come in molti altri, della trasformazione del suolo agricolo da produttore di alimenti per la sussistenza a strumento di scelte speculative che vedono invece come vittima sacrificale proprio il destino del coltivatore, degli animali, della biodiversità..

Mi piacerebbe che questo pezzo potesse aprire una discussione per un ecologismo più consapevole.

Fabio Roggiolani

Vice Presidente Associazione Giga e coorganizzatore di Ecofuturo Festival

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