Efficienza energetica e salubrità negli edifici: due facce della stessa medaglia

Quando parliamo di edifici ecoefficienti l’associazione diretta che si fa è quella legata ai benefici di risparmio energetico, non considerando invece aspetti fondamentali legati anche alla salubrità degli edifici stessi.

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Ad esplorare nel loro insieme i benefici dell’edilizia a basso impatto ambientale, si sono cimentati i ricercatori dell’Harvard University, i quali hanno attentamente valutato una serie di co-benefici che si affiancano al risparmio energetico nei nuovi edifici ecoefficienti. Una sintesi del recente studio, pubblicato sul Journal of Exposure Science & Environmental Epidemiology, dal titolo “Energy savings, emission reductions, and health co-benefits of the green building movement“, è scaricabile in calce all’articolo.

Il team di ricerca della Harvard University, nell’ambito del programma Healty Buildings, ha monitorato il rendimento energetico delle costruzioni certificate LEED (Leadership in Energy and Environmental Design, lo standard di regole e standard sviluppato negli Usa per misurare la “sostenibilità” degli immobili) in sei nazioni diverse come Cina, India, Brasile, Germania e Turchia, oltre agli Stati Uniti dal 2000 al 2016.
Il percorso di analisi ha previsto l’acquisizione dei dati sui consumi di elettricità e calore per le migliaia di edifici LEED inclusi nello studio, potendo così elaborare il risparmio energetico complessivo in sedici anni nei paesi considerati, che è stato corrispondente a circa 7,5 miliardi di dollari di forniture energetiche.

Lo step successivo ha visto i ricercatori impegnati nella stima del “costo sociale della CO2” applicando il modello Co-BE (Cobenefits of the Bulit Environment), messo a punto dalla stessa università statunitense per valutare i vantaggi per la salute e il clima conseguenti alla riduzione delle emissioni inquinanti.

Secondo i ricercatori di Harvard, la maggiore efficienza delle costruzioni certificate LEED ha evitato l’emissione in atmosfera di una serie di sostanze inquinanti, e, a livello climalterante, l’emissione di 33 milioni di tonnellate di anidride carbonica.
Una riduzione delle emissioni di CO2 e di altri gas-serra, che si traduce in quasi 6 miliardi di $ in termini di co-benefici sanitari e ambientali.
Come si afferma nella ricerca, ad esempio il minore consumo energetico negli edifici ed uffici ecoefficienti ha comportato un miglioramento della qualità dell’aria che, a sua volta, avrebbe permesso di evitare fino a 400 morti premature, oltre 170 ricoveri ospedalieri, 54.000 sintomi dovuti a difficoltà respiratorie, 21.000 giorni di lavoro persi e 16.000 giorni di scuola persi, sempre a causa di malattie collegate in diversa misura all’inquinamento atmosferico urbano.
In sostanza, secondo le conclusioni della ricerca, per ogni dollaro di risparmio energetico, bisognerebbe aggiungere 0,77 $ di vantaggi indiretti, correlati prevalentemente alla riduzione delle spese sanitarie nazionali.
Si tratta di un tema atavico e di grande complessità, legato proprio alle cosiddette “esternalità negative” o extra costi sanitari-ambientali, dovuti alla produzione e all’utilizzo di combustibili fossili, da sempre occultati nella valutazione dei costi di queste fonti (vedi post “Carbone e impatto su salute e ambiente: quella estrazione sempre “occultata” dalle valutazioni sui costi“). Si tratta di ingenti denari che sarebbero necessari per la bonifica degli ecosistemi compromessi dalle attività minerarie, per i costi sanitari legati alla cura delle patologie legate al degrado della qualità dell’aria, per la ricostruzione di aree colpite dai disastri naturali imputabili ai cambiamenti climatici, etc..
Il punto di convergenza di questa tipologia di ricerche è la comprensione dell’ammontare del valore aggiunto delle tecnologie pulite rispetto ai combustibili fossili come petrolio, gas e carbone, sistematicamente occultato in tutti i grandi ambiti emissivi legati a edilizia, trasporti e produzione di energia elettrica.
Dati importanti quelli prodotti, con i quali si rende possibile una pianificazione più precisa degli investimenti in ambito energetico, prevenendo nel contempo il rischio connesso alla gestione futura dei cosiddetti “stranded assets”, introdotti dalla ONG CTI (Carbon Tracker Initiative) e riferiti alle riserve fossili che potrebbero diventare inutilizzabili a fronte di leggi restrittive per frenare le emissioni di anidride carbonica e connessi per esempio con l’estrazione di combustibili dagli elevati costi di estrazione e gli ancor più elevati costi ambientali di petrolio e gas per esempio da sabbie bituminose e rocce di scisto, praticate negli Usa ed in Canada. Dati quindi che possono indirizzare meglio la finalizzazione degli investimenti dirottandole da infrastrutture vecchie e non più remunerative, oltre che foriere di spese aggiuntive per la loro dismissione, verso la definitiva transizione energetica già in atto (vedi post “Transizione energetica: in Europa le energie rinnovabili stanno per sostituire il carbone“).

Sauro Secci

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