Cosa serve per scrivere una Energiewende per l’Italia
Pubblichiamo di seguito l’articolo di Francesco Ferrante Vice Presidente di Kyoto Club, pubblicato sul numero di dicembre 2016 di Qualenergia
Fissare i target al 2030 per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, per migliorare l’efficienza energetica, per aumentare il ricorso alle rinnovabili nella produzione di energia nel nostro Paese non è una questione di numeri.
Sembra un paradosso ma non lo è. Si dovrebbe uscire da una discussione – stanca, ripetitiva e sterile – su il singolo numeretto, se il target sull’efficienza che ci indica l’Europa sia o meno sostenibile per il nostro sistema economico come ha (incredibilmente) discettato di recente il nostro Parlamento arrivando alla stupefacente conclusione che “no, il 33% sarebbe troppo ambizioso” (sic!), o se l’obiettivo sulle rinnovabili (al 2020) sia stato già raggiunto o meno. Purtroppo nel nostro Paese sul tema – che coinvolgerebbe l’intera politica industriale, dalle questioni energetiche, alla manifattura, ai trasporti – la nostra classe dirigente non ha mai voluto usare lo sguardo lungo che sarebbe necessario.
L’ultimo Piano Energetico con un ambizione “generale” risale a 30 anni fa! Peccato che fu sostanzialmente dettato dall’allora monopolista gonfiando le previsioni sui consumi per giustificare la scelta – bocciata fortunatamente l’anno successivo con un referendum popolare – di ricorrere al nucleare. E rimase inascoltato chi allora, non solo invitava a maggior realismo – “I conti sbagliati del PEN” un bel rapporto dell’allora Lega per l’Ambiente – ma correttamente indicava nelle centrali a ciclo combinato la tecnologia più promettente che avrebbe potuto agevolmente sostituire olio combustibile (allora molto usato anche per produrre energia elettrica e carbone senza ricorrere al costoso e pericoloso nucleare. Perso il referendum del 1987 l’establishment ben si guardò di aggiornare previsioni e programmi, e in un settore in cui in tutto il mondo giustamente si pianifica si procedette alla cieca, continuando a delegare la “politica energetica” ai grandi attori Enel ed Eni (una malattia da cui sembra non si riesca a guarire). A seguito della sacrosanta liberalizzazione voluta dieci anni dopo nella produzione di energia elettrica, la situazione è persino peggiorata. I governi che si succedevano continuavano a non programmare alcunché, perdevano l’occasione delle rinnovabili (all’inizio degli anni 90 eravamo leader europei di eolico e fotovoltaico, poi quando quei settori uscivano dalla nicchia e diventavano profittevoli noi eravamo spariti dalla produzione di pale e pannelli) e inseguivano solo le emergenze. Quando a casa del black out ci si rese conto che la potenza istallata non era sufficiente a coprire le punte con il Decreto Marzano si semplificarono le procedure di realizzazione di nuove centrali. Risultato la “bolla” in cui viviamo oggi con il paradosso di centrali a ciclo combinato nuove ed efficienti (il parco centrali tra i migliori in Europa) che non girano, perché non sanno a chi vendere energia, spiazzate dal calo di consumi (non tutto attribuibile alla crisi) e al boom delle rinnovabili. Due fenomeni ampiamente prevedibili 10 anni fa e che infatti alcuni, sempre quelli dei “conti sbagliati” del 1986, avevano previsto.
La prova migliore di questa incapacità della nostra classe dirigente di esercitarsi in una politica industriale che consenta al mercato di svilupparsi in una cornice che valorizzi l’innovazione è la Strategia Energetica Nazionale (SEN) approvata nel 2012, Ministro Passera, nella cui prima versione addirittura ci si fermava a indicazioni al 2020. Come se 8 anni fosse un tempo congruo per qualsiasi azienda per programmare investimenti in una direzione o in un’altra. Nella versione fina si riuscì ad arrivare al 2030 ma tutta quella strategia era segnata da un driver fondamentale: conservare il più possibile l’esistente e difendere quindi i fossili.
Non sarà un caso se invece la Germania dell’Energiewende si proietta al 2050, calcolando come il ricorso all’80% di rinnovabili (quello il target che si è dato il Paese più manifatturiero d’Europa) possa essere compatibile con la rete, cosa fare di conseguenza con gli accumuli, ecc.
Di recente il neo-ministro Calenda ha annunciato che si sta lavorando a una Nuova Strategia Energetica che vedrà la luce nei primi mesi del 2017. Bene. E questa nuova strategia, ha detto il Ministro, avrà a che fare con politica industriale, geopolitica …. Più che bene. “Finalmente” si potrebbe dire se le dichiarazioni immediatamente successive non facessero temere che i realtà quello che preme sia soltanto trovare qualche maniera per fare sconti sulle tariffe agli “energivori” e introdurre il “capacity market”. Due obiettivi che ritengo anche accettabili se inseriti in una politica più generale, ma che sarebbero devastanti – lo diciamo sin da adesso – se fossero presi a sé stante o come assi cardinali su cui fondare la nuova strategia.
Cosa serve per scrivere una Energiewende all’italiana al cui interno troverebbero adeguato valore i target al 2030?
Quattro premesse innanzitutto:
Non considerare i target fissati dalla UE come un “balzello” ma piuttosto come “base” per scegliere obiettivi anche più sfidanti.
Essere consapevoli che prossimamente al livello internazionale – come peraltro previsto dagli accordio di Parigi – si riverificheranno quegli obiettivi e che è molto probabile che verranno adeguati e resi più stringenti in mopdo da poter davvero rimanere entro l’aumento di temperatura di 1,5 gradi raccomandato da IPCC.
Invece di farsi cogliere impreparati dalle richieste internazionali, provare a giocare d’anticipo e schierarsi con i leader della trasformazione. Ciò significa che in Europa ad esempio bisogna fare asse con la Germania e non con la Polonia come troppo spesso capita ai nostri governi, di destra, di sinistra o tecnici che siano.
Piuttosto del solito piagnisteo sul peso degli incentivi per le rinnovabili in bolletta (che, non ci stancheremo di ripeterlo, sono analoghi a quelli della Germania), rivendicare orgogliosamente i nostri primati (35/40% di rinnovabili nella produzione di energia elettrica, record mondiale nel fotovoltaico – 8% -, una normativa fiscale sulle ristrutturazioni in edilizia che, seppur ancora migliorabile, può fare da scuola in Europa.
Su questa base puntare su:
Aumentare il ricorso alle rinnovabili nel mix elettrico favorendo generazione diffusa e autoproduzione affrontando la questione degli oneri di rete e della distribuzione del loro peso non come si sta facendo adesso (ideologicvamente penalizzando le rinnovabili) ma piuttosto copiando schemi più moderni ed equilibrati come quello californiano.
Completare ottimo lavoro su bonus fiscale in edilizia rendendolo stabile e prendendolo come modello efficace per incentivare efficienza anche nella produzione industriale. Verificare se il nuovo conto termico inizia davvero a funzionare e fare comunque una grande campagna di comunicazione sulla convenienza delle nuove e rinnovabili forme di riscaldamento e raffrescamento.
Spingere sula rivoluzione nei trasporti accompagnando le misure di rafforzamento del trasportio pubblico e di nuove forme di mobilità (bici, sharing, ecc.) con e attenzione alle innovazioni tecnologiche positive e potenzialmente disruptive come il biometano (fattobene) da rifiuti e agricoltura e l’elettrico.
Una strategia che si basasse su queste scelte fondamentali sarebbe in grado di far svolgere al nostro Paese e al nostro sistema economico, che è già pronto, a svolgere un ruolo di leadership in Europa e nel Mondo. Altrimenti saremo tagliati fuori dai benefici industriali che la inevitabile rivoluzione energetica mondiale porterà con sé, Un’occasione che non possiamo e non dobbiamo perdere. Ma servono scelte, non discorsi in sede Onu sui cambiamenti climatici che poi non sono seguiti da fatti concreti.
Francesco Ferrante Vice Presidente Kyoto Club