Contratti Smart Working: la rinascita dei territori nell’Italia delle mille patrie
Pubblichiamo con grande piacere a seguire, un interessante articolo di approfondimento dell’ Ingegner Samuele Larzeni, esperto di politica energetica e regolamentazione tecnico/economica di infrastrutture e servizi pubblici, sul tema di grande attualità dello smart working.
{tweetme} #smartworking “Contratti Smart Working: la rinascita dei territori nell’Italia delle mille patrie” {/tweetme}
Mi unisco alle esortazioni che vengono da più parti a non perdere l’occasione di forte rottura della vecchia normalità per spostarsi verso modelli di sviluppo sostenibile che traguardano più da vicino gli obiettivi indicati dall’ONU[1]. Nel solco della sostenibilità ambientale, che comprende la transizione energetica dai combustibili fossili alle energie rinnovabili (SDG7) e al cambiamento climatico (SDG13), non si può perdere l’opportunità di consolidare le migliori pratiche che sono emerse in questo contesto inusuale legato al COVID19.
L’abitudine (culturale) è forse infatti la componente più inerziale che blocca il passaggio ad un nuovo modo di vivere la nostra quotidianità, già perfettamente realizzabile in molti contesti lavorativi a tecnologie vigenti (grazie alla digitalizzazione e al lavoro da remoto). In particolare, in questi mesi è emersa una situazione per certi versi di congestione digitale e penetrazione dell’informatica nella vita relazionale dei cittadini e lavoratori che sarebbe stata irraggiungibile in condizioni normali. Ed è così che molti lavoratori e imprese si sono accorte solo ora – meglio tardi che mai – della coltre di pregiudizio verso il telelavoro ovvero lavoro da remoto, nelle sue varie forme, che per sua natura abbraccia digitalizzazione e sostenibilità ambientale e sociale, con il bilanciamento vita-lavoro.
In un’era in cui il lavoro diventa comunicazione, lo sblocco dell’innovazione tecnologica è tuttavia un auspicio non recente, sia nel settore pubblico come in quello privato, con la promozione dei concetti “zero carta” e smaterializzazione dei documenti. Come insegna la teoria, il valore non sta infatti nel veicolo dell’informazione, ma nell’informazione stessa, che è il vero motivo per cui una comunicazione dovrebbe esistere. L’innovazione tecnologica non può limitarsi, ovviamente, all’eliminazione del documento cartaceo, ma dovrebbe migliorare il funzionamento delle amministrazioni e delle imprese e, al contempo, la vita dei lavoratori, conciliando le esigenze di vita con quelle lavorative.
A fianco dell’efficientamento nella produzione desiderata, è necessaria l’evoluzione comportamentale. In sostanza, il passo naturale dato dall’innovazione è la smaterializzazione del posto di lavoro, per entrare nell’era digitale del terzo millennio e lasciare spazio esclusivamente al lavoro stesso e a chi questo lavoro lo svolge.
Ovviamente questo passo presuppone uno sviluppo virtuoso dell’organizzazione del lavoro, che pone obiettivi, professionalità e tempistica nell’ottica meritocratica, mettendo alla prova e a nudo anche le attitudini e la formazione manageriale. Risulta evidente che si contrappongono agli estremi situazioni in cui prevale il raggiungimento e stazionamento al posto di lavoro e una situazione al contrario che guarda alla funzione svolta nei confronti di un fruitore (cliente o cittadino). A tal riguardo, il lavoro da remoto può fungere sicuramente da leva per scardinare le incrostazioni abitudinarie e spingersi in termini pratici verso la fornitura di prodotti e servici efficienti ed efficaci. Una logica auspicabile non solo nel privato, ma anche nel settore pubblico, per traghettare le amministrazioni fuori da logiche anacronistiche di ammortizzatore sociale che pesano nel numero di personale attribuito la competenza manageriale.
La figura dei telelavoratori non è nuova e mi piace richiamare una definizione del 1997: i telelavoratori possono essere collaboratori ideali per capi capaci di garantire che la situazione non presenti problemi, che si possa lavorare in modo fluido, facile e, se possibile, allegro[2]. Esistono sempre più aziende e amministrazioni che hanno condiviso questo approccio e hanno già capito che se si lascia al dipendente la modalità con cui svolgere il lavoro farà il possibile per rendere un prodotto migliore, in un tempo minore e utilizzando anche mezzi propri.
Vi sono ovviamente diverse tipologie di lavoro da remoto e mi limito ad indicare due macro-tipologie. Un telelavoro di tipo più stabile, che a tendere può diventare anche legato ad un contratto di telelavoro indipendente dalla sede aziendale, in cui possono essere previsti rientri periodici in sede spesso per questioni più di socialità e relazioni, che per esigenze legate alla tipologia di lavoro. Tale tipologia di lavoro è analoga a quella di un professionista autonomo e presuppone spesso un’organizzazione dell’attività presso il domicilio del lavoratore molto simile a quella in ufficio, anche per ordine mentale del lavoratore stesso.
Vi è poi un secondo tipo di telelavoro, chiamato agile, che si affianca ai classici strumenti di flessibilità dando la possibilità di lavorare da remoto e non necessariamente da un luogo specifico. Tale strumento si adatta particolarmente a situazioni in cui è necessaria una maggior concentrazione (ad es. scrittura), ma anche a casi di difficoltà nel raggiungere il posto di lavoro (si pensi a scioperi dei mezzi). Inoltre, anche se non proprio sovrapposti, si potrebbe avere come effetto positivo la riduzione dei giorni di malattia (lieve): il dipendente potrebbe evitare di uscire da casa e peggiorare la propria situazione o portare l’influenza in ufficio.
La classe politica, in modo bipartisan, riprende e condivide periodicamente il tema, riallacciandolo anche alla revisione della spesa pubblica, grazie alla miglior gestione del patrimonio immobiliare e all’efficienza nell’uso degli spazi, l’utilizzo migliore degli edifici, non più vuoti per gran parte del tempo nella giornata, nonché alla tematica della mobilità sostenibile, che poi si massimizza nell’annullamento dello spostamento (“lavoro a km zero”).
Guardando all’attualità politica e agli Stati Generali, per essere molto concreti, l’adeguamento della legislazione al fine di permettere un utilizzo sistemico e stabile del lavoro da remoto su base volontaria – dove conciliabile anche attraverso una verifica progressiva della produttività – e di seguito il recepimento nei contratti di lavoro sono chiavi imprescindibili affinché ciò che è già possibile non sia inficiato dal contesto obsoleto, dove una legge non chiara può tradursi – per evitare danno erariale o responsabilità varie – in conservazione. La stagnazione legislativa in questo settore è altrettanto pericolosa perché tende a far ricadere obblighi e prassi valide per contesti di ufficio in situazioni dove hanno meno senso, come ad esempio l’obbligo a carico dell’imprenditore di consegnare annualmente alla persona interessata e al responsabile per la sicurezza di un documento contenente l’indicazione dei rischi generici e specifici connessi con questa forma di organizzazione del lavoro[3]. Sia il DL Cura Italia che il DL Rilancio hanno ampliato la platea di chi può vantare un diritto o una priorità al lavoro agile durante il periodo di emergenza. Tuttavia, per disegnare il lavoro del domani si dovrebbe fare il passaggio culturale, che sta emergendo in alcuni contesti più avanzati, che va oltre alle visioni ormai superate di lavoro da casa per gestire problematiche temporanee: lo slogan “volontarietà nella conciliabilità” lancia verso il “lavoro agile 2.0” e guarda al lavoro da remoto in chiave di vantaggio reciproco su tutti i fronti, laddove ben impostato.
Conciliare il nuovo rapporto fra città e territori è un’altra sfida importante che non va sottaciuta; il telelavoro da una parte aumenta la vivibilità della città, riducendo l’inquinamento e la congestione del traffico, tuttavia, come sta emergendo nel dibattito di questi giorni[4], si pone in conflitto con gli interessi economici cittadini dove una postazione di lavoro in coworking può valere dai 300 ai 500 euro al mese[5], oltre all’indotto legato al lavoro in ufficio. La stabilità raggiungibile attraverso contratti di telelavoro porta con sé scelte di vita che inducono a non concentrarsi nelle città metropolitane (SDG11) inducendo minor cementificazione, maggior redistribuzione dei redditi e dei saperi nei territori, e infne rafforzando le aree rurali. In sostanza un auspicio a rivitalizzare l’Italia delle mille patrie in ottica reticolare. Una rete resiliente fatta da mille e mille nodi di interazione virtuale che favorisce la collaborazione e la partnership tra i diversi attori sociali, economici, culturali e istituzionali. Nella nazione delle mille specificità e identità caratteristiche e dei distretti, la decentralizzazione amministrativa e aziendale ramificata sul territorio italiano porterebbe ad una fertilizzazione e ad uno sviluppo del tessuto produttivo locale e di un’imprenditoria moderna e innovativa fondata su la collaborazione e le reti di impresa, in linea con le tendenze di industria 4.0 e le nuove possibilità sull’onda della manifattura diffusa e la stampa 3D.
Il tutto per uno sviluppo e valorizzazione del personale che, sostenendo la crescita professionale continua, non può che portare ad una crescita motivazionale, una maggior efficacia dell’azione e, in ultima istanza, non certo meno importante, ad un mondo più sostenibile e umano.
[1] https://sustainabledevelopment.un.org/?menu=1300
[2] Cristina Volpi, “C’era una volta il capo”, 1997 https://www.libreriauniversitaria.it/era-volta-capo-capire-coordinare/libro/9788886260077
[3] Pietro Ichino, “LUCI E QUALCHE OMBRA NELLE PROPOSTE DEL COMITATO GUIDATO DA COLAO”, https://www.pietroichino.it/?p=55942#more-55942
[4] Ripartenza a Milano, Sala: “Basta smart working, torniamo al lavoro”. Ma arrivano critiche anche dalla sua maggioranza https://milano.repubblica.it/cronaca/2020/06/19/news/sala_smart_working_milano-259640234
[5] “Smart working, adesso si fa sul serio ma a chi conviene tra capi, dipendenti e aziende?”, Rita Querzè, Corriere della Sera, CSette, 12 giugno 2020, https://www-corriere-it.cdn.ampproject.org/c/s/www.corriere.it/sette/attualita/20_giugno_12/smart-working-adesso-si-fa-serio-ma-chi-conviene-capi-dipendenti-aziende-5fd07e08-abe8-11ea-822f-b27e74f859d1_amp.html
Ing. Samuele Larzeni – Esperto di politica energetica e regolamentazione tecnico/economica di infrastrutture e servizi pubblici.