Microplastiche: un pericolo per l’ambiente marino

Negli ultimi anni, l’emergenza legata alle microplastiche è diventata sempre più preoccupante. Secondo un rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite del 2017, i mari contengono ben 51 trilioni di particelle di microplastiche. Sono 500 volte più numerose di tutte le stelle presenti nella nostra galassia. Numerosi studi hanno indagato la presenza di queste microparticelle anche nelle acque protette del santuario dei cetacei, situato tra Toscana, Liguria e Sardegna. Inoltre, sono stati condotti approfondimenti per verificare se le microplastiche possono essere ingerite dai pesci e, attraverso la catena alimentare, finire direttamente nel nostro cibo. Alcuni studi internazionali hanno persino riscontrato la presenza di microplastiche in tessuti umani.

Analisi dell’impatto delle microplastiche

È innegabile che le microplastiche abbiano fatto ingresso nella catena alimentare. Uno studio condotto dall’Enea-Cnr e pubblicato sulla rivista internazionale “Water” ha descritto parte del percorso che queste microplastiche compiono “dall’acqua al piatto”. Vi è dimostrato come questi inquinanti si trasferiscano dalle acque dolci alle radici delle piante acquatiche e successivamente ai crostacei che si nutrono di esse. Ciò comporta danni al patrimonio genetico di questi ultimi e, a lungo termine, all’intero ecosistema marino. I crostacei, infatti, costituiscono un alimento per i pesci, favorendo il trasferimento delle microplastiche fino alle nostre tavole.

Il team di ricerca dell’Enea, insieme agli esperti dell’Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri del Cnr, coordinati da Massimo Zacchini, ha valutato gli effetti delle microparticelle di polietilene (PE), una delle materie plastiche più comuni presenti nell’ambiente, su organismi acquatici, vegetali e animali in laboratorio.

In particolare, sono state utilizzate la Spirodela polyrhiza, una piccola pianta acquatica galleggiante nota come lenticchia d’acqua, e l’Echinogammarus veneris, un crostaceo d’acqua dolce simile a un gamberetto che rappresenta il principale alimento per pesci come le trote. Le piante sono state immerse in acqua contaminata da microplastiche con dimensioni di circa 50 micrometri, più piccole del diametro di un capello. Dopo 24 ore, le piante sono state trasferite nella vasca dei gamberetti. I risultati hanno evidenziato che, durante l’esposizione, le piante hanno accumulato un elevato quantitativo di microplastiche sulle radici. Mentre i crostacei ne hanno ingerite in media circa 8 particelle per individuo. È stato anche dimostrato che una volta ingerite dai crostacei, le microplastiche vengono frammentate e restituite all’ambiente sotto forma di escrementi. Potenzialmente reintroducendosi nella catena alimentare in una forma ancora più pericolosa rispetto a quella iniziale.

Valentina Iannilli, ricercatrice dell’Enea nel Laboratorio Biodiversità e servizi ecosistemici, sottolinea che questo studio dimostra chiaramente, all’interno di un ambiente controllato in laboratorio, i meccanismi con cui le microplastiche entrano e si diffondono lungo la catena alimentare. Le piante hanno svolto il ruolo di “raccoglitrici” e “trasportatrici” di queste particelle verso i crostacei, che costituiscono il cibo per i pesci, i quali accumulano a loro volta microplastiche nei muscoli, che rappresentano la parte che noi consumiamo.

Gli effetti diretti delle microplastiche sul DNA dei crostacei sono stati valutati per comprendere se queste particelle possano causare danni al materiale genetico. Dopo soli 24 ore, è stato osservato che gli individui esposti alle microplastiche presentavano un livello significativamente maggiore di frammentazione del DNA rispetto a quelli non esposti. E’ dimostrato quindi che queste particelle sono in grado di causare danni al DNA nelle cellule degli organismi studiati.

Conclusioni

Questo studio evidenzia che le microplastiche non sono, come spesso si crede, materiali inerti che non interagiscono con le funzioni degli organismi. Al contrario, si diffondono lungo la catena alimentare e hanno effetti diretti sull’integrità del patrimonio genetico. Con potenziali conseguenze a lungo termine sulle popolazioni, le comunità e gli interi ecosistemi. Questo risultato dovrebbe far riflettere sulla pericolosità del rilascio di queste particelle microscopiche nell’ambiente a causa delle attività umane, considerando la loro diffusione in tutte le matrici ambientali, come acqua, suolo, aria, ghiacci dell’Artico e sistemi agricoli.

Inoltre, un’analisi quantitativa condotta dal gruppo di ricerca dell‘Aten Center – Advanced Technologies Network Center presso l’Università degli Studi di Palermo ha rivelato un aumento dell’80% delle microplastiche in alcuni siti del Mediterraneo in poco più di due anni e mezzo. Durante il periodo compreso tra settembre 2019 e maggio 2022, la presenza di microplastiche per litro d’acqua al largo delle coste spagnole nel Mar Mediterraneo è aumentata da 1.180 a 2.180 unità. Mentre lungo la rotta da Palermo a Gibilterra il valore medio è salito da 803 a 1.440 unità, corrispondente a un aumento superiore all’80%. Questi dati si riferiscono solo allo strato superficiale dell’acqua, fino a una profondità massima di un metro.

Fonte: Studio Enea-Cnr pubblicato sulla rivista internazionale ‘Water’

Leggi anche: Dalla Corea del Sud un super filtro contro le microplastiche

Redazione

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