L’energia democratica di una transizione giusta

L’energia democratica di una transizione giusta, ecco il recente intervento del prof. Livio de Santoli pubblicato dal Fatto Quotidiano.

transizione

È arrivata l’ora, al cospetto delle devastazioni dovute al cambiamento climatico e dei ricatti della Russia e del gas, di prendere una posizione decisa. Il tema della transizione ecologica è il tema urgente del nostro futuro, che più di altri oggi può rappresentare sviluppo, crescita e democrazia di una società.

Per affrontare questa sfida occorre inserirsi nell’ambito della ecologia integrale, cioè quell’approccio che affronta contestualmente la crisi economica, sociale e ambientale, secondo quanto proposto dall’Europa e dalla Nazioni Unite. Un approccio che dà la misura di una impostazione progressista e innovatrice, in contrasto con la pericolosa e passatista opposizione ideologica da parte di una certa deriva autoritaria che sta costituendosi in Europa, a partire dall’Italia.

Sulle questioni energetiche è facile capire il perché della necessità di un cambiamento radicale con il passato. Non può esserci sovranità e libertà se si dipende da forniture estere di energia usate come strumenti di limitazione della democrazia e della pace. E’ sempre più evidente assicurare il più ampio accesso all’energia pulita, perché l’energia è diritto umano inalienabile e senso e misura della libertà dell’uomo, come perfettamente definito dall’ONU nella Agenda 2030. Ed infine perché non è più procrastinabile il ricorso alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica.

Sono aspetti di un modello energetico distribuito, autonomo, locale capace di negare e ribaltare il modello fondato sulle fonti fossili, sulla centralizzazione delle produzioni e sorretto da un quadro geopolitico. In definitiva, lo spartiacque tra chi vuole accelerare la transizione energetica e chi la vuole rallentare è l’adesione o meno agli obiettivi fissati dal Green Deal europeo, con la riduzione delle emissioni al 2030 del 55% (come definito dal pacchetto FitFor55 in seguito modificato al rialzo con il programma REPowerEU), con quote di fonte rinnovabile al 45% e penetrazione elettrica delle rinnovabili all’85%.

Se proprio volessimo indicare gli obiettivi minimi di una strategia nazionale sull’energia, ecco i numeri:

  • al 2030 una potenza complessiva di fotovoltaico di 85 GW, di eolico di 35 GW, un aumento della produzione complessiva di biometano fino a circa 5-7 miliardi di metricubi/anno, la diffusione di pompe di calore al fine coprire il 45% della domanda termica del settore civile (circa 4 milioni di pompe di calore)
  • l’elettrificazione del trasporto leggero per almeno il 20% di veicoli elettrici in riferimento al parco italiano circolante al 2030 di 30 milioni di auto
  • il programma di efficienza energetica con una riduzione del 40% della domanda complessiva di riscaldamento del patrimonio edilizio.

Tutto questo comporta modifiche strutturali al nostro sistema energetico in termini di adeguatezza della rete elettrica, di localizzazione territorialmente equilibrata degli impianti tra nord e sud del Paese, di attenta e rispettosa inclusione nella transizione energetica degli aspetti sociali. Oltre che un robusto piano industriale a supporto degli investimenti e una rinnovata azione sul piano della formazione. Infatti, è previsto un impatto occupazionale associato ai nuovi impianti rinnovabili in Italia quantificabile al 2030 in circa 1,5 milioni in termini di posti di lavoro confutando la narrazione che vuole un costo sociale elevato per la transizione. E’ stimata una creazione di green jobs potenzialmente maggiore dei posti di lavoro persi nel settore fossile, approssimativamente di un fattore 3.

I detrattori di questa impostazione sono figli di una visione obsoleta. Infatti, deregolamentazione, delocalizzazione, liberalizzazioni appartengono al passato. L’economia e la finanza speculativa, il carattere geopolitico di un bene come quello dell’energia, la depredazione delle risorse naturali ci hanno presentato il conto, con un mercato globale che nella sua crescita senza limiti ha avuto effetti negativi sulle relazioni innate dell’uomo.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: ecosistemi distrutti, diseguaglianze in aumento, democrazia in pericolo. Globalizzazione e postmodernità, imponendo sostanzialmente una mancanza di visione sistemica della realtà, hanno alimentato incertezza e paura. Ed hanno evidenziato la necessità urgente di recuperare un ruolo dell’uomo nella società.

Il tema dell’energia è la metafora di tutto questo, se si vuole superare un modello che ha negato aspetti fondamentali ed irrinunciabili della vita dell’uomo come accessibilità, indipendenza e quindi libertà e, nel contempo, recuperare il valore della natura e dei suoi cicli naturali, ma anche dei rapporti sociali ed etici, occorre urgentemente fare qualcosa, perché la perdita di equità sociale è anche degrado ambientale.

Cambiare allora il paradigma: condivisione, collaborazione, senso di comunità, diretta conseguenza di una partecipazione attiva dell’individuo prosumer anche nel processo energetico.

Con l’avvento delle fonti rinnovabili questo cambiamento risponde a canoni certi. Nel nuovo modello l’abbondanza rende inapplicabile la proprietà privata per i bisogni primari dell’uomo e il passaggio da un sistema lineare ad una struttura a rete elimina e sostituisce l’intermediazione nella catena del valore, e le relazioni è tra individui e non con entità astratte e lontane, quotate sui mercati internazionali. Ad esempio, il concetto di comunità dell’energia è incentrato sulla responsabilità di ogni suo membro nei confronti degli altri. Infatti, con una metodologia attiva e partecipativa che prevede la co-progettazione fra ente locale, cittadini e territorio, è possibile costruire un processo ambientale, sociale e educativo che parte dal singolo individuo, chiamandolo ad azioni dirette e condivise.

Inoltre, l’ambito territoriale di riferimento riguarda direttamente programmi di coesione sociale, nelle zone suburbane delle città, nelle attività agricole e in quelle delle PMI. Ciò perché l’energia, all’interno di un programma strutturato ed articolato, diventa il punto di riferimento di obiettivi comuni, partecipati, collaborativi.

Più che di indipendenza energetica occorrerebbe parlare di democrazia energetica che ricomprende la prima. Anche qui l’esempio dell’energia e del suo nuovo modo di essere generata (gratuitamente mediante le fonti rinnovabili) e utilizzata (in modo efficiente e senza sprechi, in chiave territoriale e non geopolitica) fornisce le leve per una giustizia distributiva sostenibile.

Le tecnologie per realizzare questa transizione verso un nuovo modello esistono già. Tra queste, oltre alle comunità energetiche rinnovabili, che integrano la valorizzazione dell’autoconsumo con il contrasto alla povertà energetica, l’agrivoltaico, che combina l’aspetto energetico con quello della produzione agricola, l’eolico off-shore, capace di fornire un’occasione importante di sviluppo della industria nazionale.

Ecco, questa transizione è soprattutto un’occasione imperdibile di rilancio industriale e culturale del nostro Paese.

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Redazione

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