Biodiesel: una “biosoluzione” vecchia e dannosa per il clima

Alcune riflessioni sul Biodiesel a cura di Fabio Roggiolani, cofondatore di Ecofuturo Festival.

Di seguito alcuni lanci stampa che sono comparsi con quasi unanime plauso e quasi nessun se, ma o perché.

“Si chiama HVOlution, il primo diesel di Eni Sustainable Mobility prodotto con 100% di materie prime rinnovabili (ai sensi della Direttiva (UE) 2018/2001 “REDII”). E’ in vendita in 50 stazioni di servizio Eni e sarà disponibile a breve, entro marzo 2023, in 150 punti vendita in Italia. HVOlution è un biocarburante che viene prodotto da materie prime di scarto e residui vegetali, e da olii generati da colture non in competizione con la filiera alimentare”.. “Eni è in grado di offrire ai propri clienti questo innovativo biocarburante grazie all’investimento realizzato sin dal 2014 con la trasformazione delle raffinerie di Venezia e Gela in bioraffinerie, che dalla fine del 2022 sono palm oil free“. *

“Recentemente, dal Kenya è arrivato nella bioraffineria di Gela il primo carico di olio vegetale prodotto nell’agri-hub di Makueni. Mentre a Venezia è arrivato il primo carico di olii di frittura esausti. L’obiettivo è di coprire il 35% dell’approvvigionamento delle bioraffinerie Eni entro il 2025”. **

L’OLIO DI FRITTURA RIUTILIZZATO

Ovviamente un carburante che ritrasforma l’olio di frittura non è tutta questa rivoluzione. Nella terza edizione di Ecofuturo a Rimini abbiamo esposto un trasformatore casalingo o quasi di olio di frittura in biodiesel con recupero delle paraffine prodotto dalla Università della Tuscia. Ed erano oltre 8 anni fa, ma ovviamente il suo utilizzo è stato combattuto in ogni modo. Aisa Tivoli, con il suo direttore Francesco Girardi, hanno aspettato anni per avere un’autorizzazione che anche noi abbiamo deciso di dare per morta. Segno che le patatine fritte avevano ben più ghiotte prospettive e l’autotrasformazione locale era davvero troppo per i petrolieri per essere accettata.

L’olio di frittura serve ad aprire il cuore ed il cervello ad innovazioni….quasi rivoluzionarie con cui si veicolano biodiesel fatti con le più mirabolanti matrici, più o meno naturali o naturalizzate naturali.

Quindi siamo partiti dal recupero degli oli di frittura per giungere a materie cosiddette di scarto e residui vegetali e sperare che tutte queste materie riescano a coprire una quota non marginale delle auto diesel attualmente in circolazione. Considerato, infatti, che sarà dura che per le auto nuove ci sia ancora un futuro per il diesel e quindi per il biodiesel, anche avanzato come l’HVO.

Gli Oli di frittura in Italia recuperabili sono 300.000 tonnellate. Il totale diesel consumato in un anno, quando i consumi petroliferi totali per carburanti nel 2022 sono 66 milioni di tonnellate. Ovvero SE si recuperassero non dico tutte (impossibile) ma almeno la metà, potremmo coprire ben lo 0,2% del fabbisogno totale.

ECCO LA NOSTRA PRIMA DIVERGENZA. È UN USO DI QUESTO PRODOTTO PER RIFARSI, DA PARTE DELLE COMPAGNIE PETROLIFERE, UN IMPROBABILE VESTITO SOSTENIBILE, dato che il quantitativo potrebbe a malapena risolvere il consumo di particolari motori difficili da riconvertire molto potenti e non certamente per fare la concorrenza per le auto al biometano per i motori endotermici o all’elettrico.

Ma se questo lo hanno capito presto tutti o quasi, adesso si apre il vaso di pandora del recupero da rifiuti o da materie agricole di scarto come paglie e altro simile. E qui le quantità possono ovviamente crescere e anche determinare nuovi sconquassi ambientali dovuti alla definizione che dice che si possono coltivare o prelevare prodotti della terra in aree non in competizione con la produzione del cibo. Ovvero i terreni cosiddetti marginali che lo sono diventati solo per l’agricoltura industriale, mentre in passato sfamavano gli esseri umani che ci vivevano ed oggi invece, a furia di essere coltivati intensivamente, sono spompati e semidesertificati.

LA STRADA DEL RECUPERO DA RIFIUTI DI PAGLIE E DA RIFIUTI UMIDI O DA PLASTICHE NON E’ ANCORA REALE

Nella mia esperienza personale e con il Prof Gabbani da venti anni seguiamo tutti gli esperimenti termici o termochimici. Con il risultato sempre di vedere processi per nulla stabili e con produzioni di residui come tar o altro poi di difficile e costoso smaltimento. E ciò ha spinto ad oggi tutti i processi da noi conosciuti ad essere abbandonati.

In Internet si trova pochissimo segno, si nasconde moltissimo, ma l’intelligenza artificiale se la cogli di sorpresa per ora non mente ed ecco la sua risposta:

L’HVO (Hydrotreated Vegetable Oil) è un tipo di biocarburante avanzato prodotto attraverso un processo di idrotrattamento degli oli vegetali. Ecco una panoramica del processo di produzione dell’HVO:

  1. Raccolta e preparazione delle materie prime: Le materie prime utilizzate per produrre l’HVO possono includere oli vegetali, grassi animali o altri oli organici. Queste materie prime devono essere raccolte e preparate per il processo di produzione. Possono essere utilizzati oli di recupero, scarti di produzione alimentare o colture dedicate alla produzione di biocarburanti come l’olio di colza o l’olio di palma.
  2. Trattamento delle materie prime. Le materie prime vengono sottoposte a un trattamento preliminare per rimuovere eventuali impurità o contaminanti. Questo può includere processi di filtrazione o raffinazione.
  3. Idrotrattamento. Le materie prime trattate vengono quindi sottoposte a un processo di idrotrattamento, che è una forma di raffinazione chimica. Durante l’idrotrattamento, gli oli vegetali vengono mescolati con idrogeno in presenza di un catalizzatore, solitamente un metallo come il nichel. Questa reazione chimica modifica la struttura degli oli vegetali, rimuovendo gli ossidi di carbonio e riducendo il contenuto di ossigeno, zolfo e altri elementi indesiderati.
  4. Separazione e purificazione. Il prodotto dell’idrotrattamento viene quindi separato dai sottoprodotti e sottoposto a processi di purificazione per rimuovere eventuali impurità residue. Questo può includere processi di lavaggio, decantazione o filtrazione.

L’HVO può essere prodotto da diverse materie prime, inclusi i semi di mais o di girasole. Tuttavia, è importante fare una distinzione tra la canna del mais e i semi di mais, così come tra la pianta di girasole e i semi di girasole.

La canna del mais, che è la parte fibrosa della pianta, non è comunemente utilizzata per la produzione di HVO. I semi di mais, al contrario, possono essere utilizzati come materia prima per produrre HVO.

Nel caso del girasole, i semi sono generalmente la parte utilizzata per produrre HVO. La pianta di girasole supporta i semi, che sono ricchi di olio. Questo olio può essere estratto e sottoposto al processo di idrotrattamento per produrre HVO.

È importante notare che le materie prime utilizzate per produrre HVO possono variare a seconda delle disponibilità locali, delle politiche energetiche regionali e delle preferenze delle aziende produttrici. Alcune aziende possono preferire utilizzare specifiche materie prime, come i semi di mais o di girasole, mentre altre possono utilizzare altre fonti di oli vegetali.

PERCHE’ NON SI PERCORRE LA STRADA DEL BIOMETANO ?

La differenza tra fare biometano da prodotti agricoli o residui e fare biodiesel è presto detta. Il biometano usa TUTTA la pianta e non residua rifiuti, ma un concime non puzzolente che sostituisce la chimica nei campi. Il biodiesel utilizza invece solo la parte oleosa della pianta, ovvero una minima parte della stessa e residua elementi inquinanti che poi vanno smaltiti.

Certamente, ma non ne abbiamo traccia, sarebbe molto meno dannoso se utilizzassero per la produzione del biodiesel le stesse tecniche agrarie senza aratro sovvertitore delle zolle che stanno utilizzando largamente i produttori di biometano per stoccare la CO2 dentro la terra e non in improbabili giacimenti sotterranei che “tomberanno” solo grandi quantità di denaro pubblico….ma questa è un’altra storia.

Dicevamo SE utilizzassero queste tecniche già la produzione di biodiesel sarebbe molto meno impattante sul clima. Tuttavia resta irrisolto l’impoverimento delle terre coltivate che il biometano risolve restituendo la materia organica tramite il digestato, ovvero il residuato dell’estrazione del biogas, mentre il biodiesel, ahimè, residua rifiuti e problemi da risolvere.

IL RITORNO AL BIODIESEL PIU’ VOLTE ACCANTONATO NEL PASSATO COME SOLUZIONE purtroppo non risolve ma accentua la crisi climatica se invece di essere prodotto di qualità per alimentare grandi motori, evitandone la costosissima rottamazione e riconversioni ad elettrico o biometano oggi impraticabili. Diventa invece tentativo per illudere che ci sarà un futuro per motori endotermici diesel anche per la mobilità leggera, distogliendo industrie e consumatori dallo scegliere presto e bene sia la trasformazione di motori a biometano o ibridi a biometano, sia la madre di tutte le battaglie per la mobilità leggera, ovvero la trasformazione all’elettrico.

TEMPO NON NE ABBIAMO. La CO₂ che ogni anno resta non assorbita dal respiro del mondo permane per 150 anni in atmosfera. Ed ogni ritardo, che sia dovuto agli “annientalisti” conservatori anti rinnovabili o alle furbizie delle società petrolifere per proseguire a spennare consumatori disattenti, è DELITTUOSO.

Fabio Roggiolani per Ecofuturo

* ** fonte citazioni: Eni Sustainable Mobility: il biocarburante 100% da materie prime rinnovabili arriva nelle stazioni di servizio

Leggi anche L’impatto ambientale del biodiesel

Redazione

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