Sulla strada per la COP 28 di Dubai

Sulla strada per Dubai (COP 28). Uno slalom tra Sharm El-Sheikh (COP 27), la conferenza sul clima di Bonn e il vertice G20. Articolo di Roberto Venafro,  autore del libro “Un mutamento reversibile. La crisi climatica attraverso le Conferenze delle Parti delle Nazioni Unite”.

Sono passati poco più di sette mesi dalla conclusione della ventisettesima conferenza delle Parti (COP) della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, che si è svolta in Egitto nel novembre 2022. A Sharm El Sheikh, città del vertice internazionale, i 197 Paesi partecipanti, chiamate “Parti”, alla fine si erano salutati con discreta soddisfazione, essendo appagati dal risultato raggiunto, tutt’altro che scontato. Avevano approvato e, finalmente, dato vita al meccanismo cosiddetto delle “perdite e dei danni” (Loss and Damage in inglese). Uno strumento concreto destinato a recuperare risorse indirizzate ai Paesi in via di sviluppo, particolarmente esposti agli eventi climatici estremi, con l’obiettivo di attuare interventi di ripristino ambientale e di salvaguardia dei territori compromessi o devastati dalle azioni intense innescate dalla mutevolezza del clima.

Un proposito, questo, che nasce da lontano quando a Varsavia nel 2013, nell’ambito della diciannovesima conferenza delle Parti, si istituisce il meccanismo, successivamente rafforzato nel 2019 durante la COP 25, con la costituzione del “Santiago Network”. Una rete di relazione per lo scambio di competenze e per l’assistenza tecnico-economica ai Paesi in via di sviluppo, resa più incisiva attraverso il “patto” di Glasgow stipulato a conclusione della COP 26 nel 2021.

Da Sharm El-Sheikh arriviamo a Bonn dove, qualche giorno prima della rovente estate 2023, si apre la conferenza sul clima (5 – 15 giugno 2023) con un’agenda ricca di temi, tra i quali sono inclusi anche quelli specifici ereditati dalle decisioni della conferenza egiziana. La definizione di regole attuative del meccanismo di “Loss and Damage” è nell’elenco delle attività dei delegati, impegnati ad affrontare i lavori negoziali. In particolare il nodo da sciogliere è quello inerente all’individuazione del Segretariato che, nell’ambito della struttura organizzativa del “Santiago Network” rappresenta l’area esecutiva e tecnica che dovrà assicurare competenze per l’attuazione del meccanismo.

Questo nodo non ha trovato una condivisione ed è rimasto inattuato e, quindi, rimandato alla prossima COP 28 di Dubai. Altri argomenti hanno impegnato i negoziatori durante gli undici giorni della conferenza, tra cui due più significativi. Il primo relativo allo sviluppo di un quadro d’indirizzo per il raggiungimento di un obiettivo globale sull’adattamento (Global Goal on Adaptation) e per la predisposizione di una metodologia per monitorarne i progressi, e il secondo, invece, inerente alla verifica dell’evoluzione e del posizionamento dei vari Paesi nei confronti della traiettoria di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, con particolare riferimento a quella che dovrebbe condurre all’obiettivo di azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra (Net Zero) al 2050.

Una sorta di bilancio globale per valutare i progressi collettivi compiuti (Global Stocktake) in relazione agli obiettivi indicati dall’Accordo di Parigi del 2015. Sul primo tema non si è raggiunta una sintesi. Sul secondo è stato predisposto solo uno schema di decisione che contiene una serie di sezioni e paragrafi da completare.

Sono ancora nell’aria gli echi della conferenza di Bonn, quando il 28 luglio 2023 i Ministri dell’Ambiente e del Clima dei Paesi che fanno parte del gruppo G20 si incontrano in India. Sono le venti Nazioni che, insieme, rappresentano i due terzi della popolazione mondiale e oltre l’86% del PIL mondiale. Collettivamente sono, altresì, responsabili dell’80% delle emissioni climalteranti. Il summit prende avvio nella città di Chennai, capitale dello Stato Tamil Nadu, situato nel Sud-Est della penisola indiana. L’agenda dei lavori è nutrita e sul tavolo ci sono importanti decisioni da prendere come quelle fondamentali per contrastare la deriva climatica e per iniziare a invertire la tendenza al riscaldamento globale, mantenendo fermo l’obiettivo di limitare la crescita della temperatura media terrestre entro 1,5 °C.

Sotto l’ambizioso slogan “One Earth, One Family, One Future” si anima il confronto, i cui risultati sono riportati in un documento finale, articolato in sessantotto punti. Il documento conferma le intenzioni di accelerare le azioni per riportare in equilibrio le componenti del sistema climatico e, nello stesso tempo, di prevenire e di ridurre il degrado del suolo. Si riconosce l’esigenza di velocizzare le iniziative per il ripristino degli ecosistemi naturali, al fine di contribuire a fermare la perdita di biodiversità. Le enunciazioni continuano e viene affermato il convincimento che è necessario porre in atto disposizioni per la gestione integrata e sostenibile della risorsa acqua, come pure la volontà di proteggere e salvaguardare gli oceani, promuovendo progetti incentrati sull’idea “Blue/Ocean-Based Economy”. Si dichiara, infine, di attuare le azioni per incoraggiare l’uso efficiente delle risorse e per rendere efficaci i princìpi dell’economia circolare, prevenendo l’inquinamento e minimizzando i suoi rischi.

In un primo momento il documento sembra il frutto di una condivisione unanime, ma l’unanimità si sgretola quando i Paesi devono decidere sulle questioni più direttamente inerenti alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Su questo punto essenziale si acuisce il contrasto e non si riesce a trovare l’accordo sulla proposta di raggiungere il picco delle emissioni globali entro il 2025 e di ridurre le emissioni del 60% rispetto al 2019, entro il 2035.

Ma il disaccordo permane anche sul tema riguardante il cosiddetto “carbon budget”, cioè la quantità di gas a effetto serra che possiamo ancora emettere in atmosfera per rimanere in linea con l’obiettivo di +1,5 °C . Altro argomento divisivo è l’applicazione del “Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM)”, una “carbon tax” alla frontiera sulla commercializzazione dei prodotti, proposta dall’Unione Europea. Anche sul tema inerente alla relazione fra energia e clima affiorano opinioni divergenti. In particolare gli intenti di decarbonizzazione dell’energia, abbandonando i combustibili fossili (utilizzati senza tecnologie di cattura), a favore sia delle fonti rinnovabili con l’obiettivo di triplicare la capacità installata, sia dell’efficienza energetica, raddoppiando la quota globale di risparmio conseguibile, rimangono tristemente sospesi e dirottati su altri tavoli. Ma quella che viene rimandata è la transizione energetica.

Bonn e Chennai, trasferiscono, quindi, a Dubai le problematiche aperte e rimandano agli imminenti negoziati, che si svolgeranno nella capitale degli Emirati Arabi Uniti dal 30 novembre al 12 dicembre 2023, il compito di trovare una condivisione fra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Il confronto sarà dialetticamente acceso soprattutto in relazione alle modalità di attuazione del meccanismo “Loss and Damage”, sia in termini di acquisizione delle risorse economiche che dovranno alimentare il fondo, sia in merito ai criteri per l’accesso ai finanziamenti. Si tratta di una questione estremamente delicata che coinvolge il mondo della finanza, compreso quello dei settori privati.

Un percorso ancora tutto in salita, nonostante i vari incontri preliminari sul tema che, dopo Sharm El-Sheikh, si sono succeduti. E forse non aiuta neanche un “nuovo patto finanziario globale” auspicato da Macron, nell’ambito del summit parigino (22 – 23 giugno 2023), per rivitalizzare una finanza che non è al passo con le sfide poste dalla giustizia climatica, dalle disuguaglianze, dalla crescente povertà. Il rischio è che la strada ipotizzata dal presidente francese, pur richiamando la necessità di agire collettivamente, sia un approccio che si pone al di fuori del meccanismo “Loss and Damage”, minando l’efficacia dello stesso meccanismo ancor prima di essere adeguatamente strutturato. L’impressione è che si privilegino percorsi esterni alle conferenze delle Parti, cercando soluzioni che possano garantire una maggiore flessibilità, rispetto agli impegni concordati attraverso un processo negoziale.

Altro argomento che richiederà energie, concentrazione e determinazione da parte dei delegati sarà quello che fa rifermento all’attuazione dell’articolo 14 dell’Accordo di Parigi che stabilisce di effettuare ogni cinque anni una verifica per valutare collettivamente il grado di raggiungimento degli obiettivi che ciascuna Parte dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change) ha dichiarato di conseguire per rimanere coerente con la traiettoria disegnata per limitare l’aumento della temperatura media terrestre entro 1,5 °C, rispetto al livello preindustriale. Si tratta di una verifica che sarà condotta per la prima volta quest’anno durante la COP 28, a conclusione di un percorso avviato durante la COP 26 di Glasgow.

L’ultimo rapporto, pubblicato dalle Nazioni Unite nell’ottobre 2022, sullo stato di raggiungimento delle finalità dell’Accordo di Parigi, mostra che gli NDCs (Nationally Determined Contributions), ovvero gli impegni che i Paesi hanno dichiarato di perseguire entro il 2030 sono insufficienti a mantenere la traiettoria delle emissioni nella direzione di 1,5 °C. L’analisi mette in evidenza che la combinazione degli impegni climatici fino ad ora dichiarati conducono a un riscaldamento di 2,5 °C entro la fine del secolo.

La COP 28 di Dubai dovrebbe compiere una svolta e mantenere fede al suo slogan (UNITE. ACT. DELIVER.) che sollecita ad unire il mondo, attraverso azioni sempre più efficaci per conseguire un risultato concreto, che riesca finalmente ad essere il punto di svolta per un modello di sviluppo completamente decarbonizzato. Se questo avverrà, sarà una conquista storica, sia perché realizzata in un Paese che è l’icona stessa dei combustibili fossili, sia perché il presidente designato della prossima conferenza delle Parti è Sultan Ahmed Al Jaber, amministratore delegato della principale compagnia petrolifera degli Emirati Arabi Uniti.

Di Roberto Venafro leggi anche Il nuovo PNIEC: un piano con il freno a mano tirato – Guarda la presentazione del libro “Un mutamento reversibile” all’ultima edizione di Ecofuturo Festival – VIDEO

Redazione

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