Strategia circolare del tessile: un obbligo senza obblighi

Si è da poco conclusa l’ultima edizione della fiera ECOMONDO di Rimini. Il grande evento internazionale sulle tecnologie e strategie per il recupero e riciclo di tutti i beni che le nostre culture producono e che per molti versi riciclano con successo. Salvo il fatto che se si producessero meno scarti, si usassero meglio e con più efficienza i beni prelevati dal Pianeta e prodotti, senza pensare che esso è un ciclo chiuso, avremmo meno costi, nonché assai minori emissioni di gas serra, inquinamenti acque, uso improprio del territorio ecc ecc., dando per scontato che l’efficienza è una scienza inesatta, quando invece sarebbe il contrario.

In particolare l’edizione di Ecomondo 2023 ha finalmente cominciato seriamente ad occuparsi anche del ciclo tessile, uno dei più sottovalutati settori degli ultimi decenni. Ogni anno nel mondo si producono 110 miliardi di kg di fibre nuove, tra naturali (30%) e artificiali/sintetiche (70%). Ma abbiamo anche da smaltire, ci dice la Comunità Europea, anche 10 kg a testa di materiale tessile ogni anno pari quindi 4 miliardi di kg. In termini economici oltre 5 miliardi di € (strategia EU sul tessile).

Cioè si producono 13,5 kg di nuove fibre tessili per ognuno degli 8 miliardi di essere umani indistintamente da chi è più o meno ricco. Tenendo conto che la popolazione EU è di 440 milioni di persone, si tratta di rifiuti per 4,4 miliardi di kg pari a 12 nuovi paia di jeans l’anno o 90 T-shirt estive…a testa, tanto per fare un paragone. Ne recuperiamo il 5%, quando va bene, dicono le statistiche europee. Ovvero forse l’equivalente di 3 T-shirt. Il resto è disperso, interrato, bruciato, spostato anche in continenti diversi, purché con la scusa della povertà, ma spesso finito a colorare i deserti, facile preda per giri illeciti, ecc. 

Ovvio che in questa quantità non ci sono solo abiti, ma tutto il post-consumo, come per es. le moquette usa e getta degli stand delle fiere annuali, i tessuti dei divani rotti, i tappetini delle automobili, le salviette monouso dei nostri bagni e borsette, gli strati dei pannolini e assorbenti, ma anche gli scarti di produzione (pre-consumo) che posso essere intorno al 3-5% ecc. ecc. Con l’aggiunta della dispersione tipica del ciclo tessile che è discontinuo con decine di varianti: prendi, trasposta, lavora, riprendi, ritrasforma ecc.. Con una dispersione di materia prima già superiore al 20% nel primo ciclo. Oggetti di uso quotidiano sono molte volte usati senza alcun pensiero sulla loro effettività utilità se non necessità.  

La prima domanda da farsi sarebbe infatti: ma ne abbiamo effettivamente bisogno di cotanto uso? E la risposta in molti casi ce la sappiamo dare da soli: NO. Occorrerebbe quella consapevolezza per cui il genio umano sa trovare le risposte quando vuole o quando non è corrotto da altri interessi spiccioli, personali, senza alludere a nessuno in particolare.

Tuttavia, per tornare alla fiera Ecomondo, è cosa assai ben fatta promuovere le tecnologie e le tecniche più moderne per raccogliere, selezionare e avviarle al riuso i capi di abbigliamento (esaltando vecchie e nuove terminologie come vintage, seconda-mano ma poi anche defibrare, sfilacciare, rigranulare per es., a secondo della natura). Se prepararle ad un nuovo impiego è cosa necessaria, dice le EU, il problema però è per quali applicazione – anche nuove se possibile – sarà possibile farlo. Infatti queste andranno ad assommarsi a tutte le nuove produzioni che sono già sovrabbondanti (un 30% di nuove fibre resta inutilizzato ogni anno). Ridurre la produzione di nuove fibre sarà una soluzione per gli anni a venire. Ma per i prossimi 10 anni certamente avremo sovrabbondanza delle une (nuove) e delle altre (rigenerate).

Quindi il punto centrale é: occorre trovare anche nuove applicazioni delle fibre riciclate, magari rispolverarne alcune come si faceva anni fa usando come stracci  da pulizia, pezzi ritagliati di abiti in cotone per es.. Oppure occorre studiare tecniche diverse che in parte timidamente si affacciano al mercato, dove a volte anche l’estetica stessa premia e fa aggiungere ai clienti frasi come: ”come mai non ci avevo pensato prima!”. Semplicemente perché la testa è stata affollata da semplificazioni del tipo “riprenditi il tuo spazio vitale…” usando e gettando, come molti beni che sono diventati stagionali o poco di più perché sostituiti dal prezzo ancora più basso (a scapito magari del lavoro sfruttato in Paesi lontani)….quando poteva essere passato al fratellino più giovane.

tessile

La riscoperta delle proprietà intrinseche, tecniche, fisiche delle fibre potrebbe aiutare il riuso per scopo. Banalmente: il cotone  è un termostabile, assorbe umidità, la seta è un isolante caldo-freddo fantastico, la canapa è molto resistente ed è batteriostica, assolutamente sostenibile perchè pianta pluriennale che non richiede molta acqua per coltivarla, il pet ha ciclo ecologico piuttosto impegnativo ma è idrofoico, non resta bagnato, assorbe molta energia e la rilascia lentamente ecc..

A questo punto dovrebbero dunque intervenire i governi a supporto della EU. Il fast-fashion  sembra il nemico da combattere. Esso punta al prezzo e cioè all’uso pesante di fibre che costano meno come il poliestere, tutte sintetiche. Perché  ormai si acquistano beni più per quello che rappresenta il “brand” che sa comunicare che per la reale utilità o necessità. Per me il nemico è la volontà di non informare correttamente sui temi della sostenibilità, della bellezza, dell’efficienza, o peggio distorcere l’informazione. Pratica comune di molti esperti di marketing.

Ma anche riflettendo su questo il problema resterebbe. La EU per avere successo con questa strategia dovrebbe…anzi deve, secondo me: a) scoraggiare pesantemente l’uso fin da subito di prodotti tessili dal fine vita disomogeneo – come si auspica già nella sua strategia – grazie all’eco-design e b) incentivare  pesantemente al contrario gli studi, le tecnologie e processi per il riuso dell’enorme quantità di mix di fibre dal fine vita costoso per la società perché costretti ad eliminare una ad una le fibre che lo compongono. Oppure….si termo(s)valorizza tutto, per semplificare come si fa oggi.

Nei prodotti di abbigliamento e arredamento in primis – affinché il riciclo non appaia un down-cycle  di prodotto –  come considerato fino ad oggi – ma un vero up-cycle, dove la tecnologia resta a servizio del bene comune e la materia prima una risorsa anche quando già usata una o più volte. Nel Pianeta di fatto niente si crea ma sempre si trasforma, come la Natura ci dovrebbe insegnare (anziché distruggere come facciamo noi umani).

Nel distretto di Prato famoso per la produzione di tessuti di moda, tra alta flessibilità e grande tecnica, si ricicla la fibra di lana da abiti usati per fare abbigliamento invernale da oltre 150 anni. Molte case di Moda di grido dal dopoguerra ad oggi hanno usato lana riciclata dai pratesi, nei loro prodotti da boutique, ma fino a ieri nessuno aveva interesse a dirlo… E neppure  il cliente finale si è lamentato perché funzionale. E poiché la lana come le altre fibre restano sempre uguale a se stesse se ben processate, questo riuso si deve per forza dichiarare. Un grande esempio di rivalutazione del valore di un materiale (up-cycling). Tanto ci costa lo stesso a dirlo, ma anche comunque a farlo, se ci mettiamo la creatività e la professionalità di sempre di noi italiani in particolare.

Marco Benedetti

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Redazione

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