Ecco il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici

Un passo importante per la pianificazione e l’attuazione di azioni di adattamento ai cambiamenti climatici nel nostro Paese.

Dopo sei anni dalla redazione della prima bozza, il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, con decreto n. 434 del 21 dicembre 2023, ha approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.

Un documento importante, quindi, considerato che l’Italia sembra essere sempre più esposta alla crisi climatica e all’intensificarsi degli eventi estremi che nel 2023 sono arrivati a quota 378, provocando vittime umane e danni ai territori e a tante attività economiche.

Il Piano si compone di diverse sezioni, tra cui il quadro giuridico di riferimento, il quadro climatico nazionale, gli impatti dei cambiamenti climatici e le vulnerabilità settoriali. I quattro allegati approfondiscono invece la definizione di strategie e piani regionali e locali di adattamento, un documento che riassume il quadro delle conoscenze sugli impatti dei cambiamenti climatici in Italia e un documento che elenca le azioni previste.

Impatto del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (Pnacc)

Il Pnacc sottolinea l’importanza di implementare una serie di azioni mirate per affrontare le sfide provocate dai cambiamenti climatici. Queste sfide includono la gestione della siccità, con alcune aree che hanno già registrato anomalie del -40% nelle precipitazioni nel 2022. Inoltre, si affronta l’innalzamento del livello del mar Mediterraneo, previsto essere più rapido del previsto secondo alcune stime. L’aumento delle temperature dei mari è un’altra preoccupazione, con proiezioni che indicano incrementi significativi tra il 2036 e il 2065, con potenziali impatti sugli ecosistemi e fenomeni meteorologici estremi. La fusione dei ghiacciai è già in corso, con una perdita del 30-40% del volume attuale. Ulteriori sfide riguardano le risorse idriche, le alluvioni e la resilienza delle infrastrutture.

Tipo di interventi previsti dal Pnacc

In considerazione di questi scenari futuri, il Pnacc ha identificato misure di portata nazionale o regionale da attuare. Queste misure influenzeranno settori chiave come l’agricoltura, l’energia, le risorse idriche, il dissesto idrogeologico, le zone costiere e i trasporti. Sebbene i dettagli operativi delle misure siano ancora in fase di definizione, sono categorizzate in tre tipologie principali: “soft” (senza interventi strutturali diretti), “green” (soluzioni basate sulla natura) e “grey” (azioni dirette su impianti, tecnologie e infrastrutture). La stragrande maggioranza delle 361 azioni previste, oltre 250 rientrano nella categoria “soft”, mentre le restanti sono distribuite tra “green” e “grey”.

Ulteriori passi necessari

Secondo Ciafani di Legambiente, anche dopo l’approvazione del Pnacc è essenziale implementare una chiara e decisa strategia di prevenzione, attuando rapidamente le 361 azioni del Piano. Queste azioni includono la creazione di aree e vasche di esondazione e processi di rinaturalizzazione dei bacini idrografici e dei versanti.

Per il direttore scientifico dell’Asvis, Enrico Giovannini, per attuare pienamente il Piano, il governo deve istituire rapidamente la struttura di governance prevista e trasformare gli obiettivi in azioni concrete. Inoltre, considerando che il Pnacc non dispone di risorse finanziarie specifiche, è urgente valutare come gli strumenti previsti dal Pnrr e da altri strumenti finanziari, come i fondi europei e nazionali per la coesione, possano contribuire al suo completamento. Queste valutazioni devono essere effettuate entro marzo, in modo da apportare eventuali correzioni nel prossimo Documento di Economia e Finanza e nella Legge di Bilancio per il 2025.

Le critiche del WWF

Il Piano appena pubblicato, dopo le varie consultazioni e l’unanime denuncia della mancata identificazioni di azioni davvero in grado di anticipare i cambiamenti provocati dalla crisi climatica e dei finanziamenti necessari, è analogo a quello precedente e ha gli stessi limiti. Mancanza di decisioni chiare e coraggiose, ottima identificazione sintetica dei possibili impatti e problemi, scarsa e deficitaria individuazione delle cose da fare e di come finanziarle. Il Piano va quindi preso come un primo passo. Ora  però tocca ai decreti attuativi e agli organi di governance cercare di correggere gli evidenti limiti e costruire un percorso che porti a quell’approccio sistemico che pure il PNACC richiama. Sicuramente sarà nostra cura segnalare ulteriori, colpevoli ritardi o limiti in tale senso.

Non risponde al vero, continua il WWF, la giustificazione che pare essere addotta per i ritardi del piano, cioè un presunto approccio bottom-up della sua stesura: in realtà, l’approccio è stato centralizzato e le consultazioni e la VAS non paiono aver inciso più di tanto. Probabilmente sarebbe stato difficile partire con un mero approccio bottom-up perché la cultura dell’adattamento va costruita. Alcune realtà (Comuni, Autorità di Bacino ecc.) stanno effettuando percorsi, anche partecipativi, di notevole interesse, ma il metodo adottato ha consentito poco che venisse trasferito a livello nazionale. Riteniamo non ammissibile che dopo anni si proponga un Piano con “possibili opzioni di adattamento” “che troveranno applicazione nei diversi strumenti di pianificazione, a scala nazionale, regionale e locale”. I Piani si chiamano così perché servono a pianificare concretamente operando scelte, specie a livello nazionale e sovraregionale.

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Redazione

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