Sequestro CO2 e miglioramento resa agricola: un nuovo studio

Sequestro CO2 nel suolo: l’avvicendamento tra colture perenni e annuali migliora resa e ambiente

I ricercatori dell’Università Cattolica, campus di Piacenza, hanno sviluppato un metodo per sequestrare l’anidride carbonica (CO2) e allo stesso tempo aumentare la produttività delle colture. L’approccio consiste nell’alternare la coltivazione di specie arboree ed erbacee utilizzate comunemente per la produzione di biomassa, come ad esempio per scopi energetici, con specie alimentari come il frumento. Questa pratica consente di raggiungere un tasso medio di rimozione di CO2 atmosferica sotto forma di carbonio organico nel suolo di fino a 5 tonnellate per ettaro all’anno. Al contrario, con i metodi di coltivazione convenzionali, non si verifica un accumulo di carbonio nel suolo o addirittura si possono avere diminuzioni.

Lo studio, coordinato dal professor Stefano Amaducci dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, è stato pubblicato sulla rivista Agronomy. La ricerca è stata condotta a Gariga di Podenzano su un terreno dedicato alla coltivazione di specie agricole convenzionali, come mais, frumento e pomodoro da industria, caratterizzato da un basso contenuto di sostanza organica (0,7%).

I dettagli dello studio: Soil Organic Carbon Significantly Increases When Perennial Biomass Plantations Are Reverted Back to Annual Arable Crops – LINK

Importanza dell’incremento della sostanza organica del suolo

Aumentare la quantità di sostanza organica del suolo è un obiettivo agronomico cruciale per ripristinare la fertilità del suolo e rappresenta anche una strategia rilevante per affrontare il cambiamento climatico. Secondo l’iniziativa “4 per mille Soils for Food Security and Climate” lanciata dal COP21, adottando le “best management practices” si potrebbe compensare tra il 20 e il 35% delle emissioni antropogeniche che causano il cambiamento climatico, aumentando ogni anno la quantità di carbonio organico nel suolo del 4 per mille, come spiega il professor Amaducci.

Dettagli dello studio

“La sperimentazione è iniziata nel 2007 con la coltivazione di tre specie erbacee (miscanto, panico vergato e arundo) e tre specie arboree (pioppo, salice e robinia) per la produzione di biomassa destinata all’energia e ai biomateriali”, afferma il professor Amaducci. Nel marzo 2018, le colture sono state terminate e il campo è stato convertito alla coltivazione di specie erbacee annuali, come sorgo, soia e frumento. Durante l’intero esperimento, è stato monitorato il contenuto di sostanza organica del suolo al fine di valutare il contributo delle specie nella produzione di biomassa all’aumento della sostanza organica sia durante la loro coltivazione che successivamente, con il ritorno a una normale rotazione di colture erbacee destinate all’alimentazione umana.

I risultati mostrano che durante gli 11 anni di coltivazione delle specie perenni, sono state integrate nel suolo circa 5,35 tonnellate di carbonio per ettaro (tramite foglie cadute, residui e radici), mentre al momento della conversione sono state integrate quasi 11 tonnellate di carbonio per ettaro (principalmente attraverso la rimozione delle radici). Considerando l’intero periodo di 13 anni, includendo gli anni di coltivazione delle specie perenni e quelli successivi con specie annuali, si è registrato un incremento medio di oltre una tonnellata di carbonio per ettaro all’anno nella sostanza organica del suolo.

“Questi risultati evidenziano l’efficacia di determinate colture e dell’alternanza di colture nel sequestro di carbonio nel suolo”, afferma il professor Amaducci. “Inoltre, le specie che producono biomassa forniscono altri importanti benefici all’ecosistema, come l’aumento della biodiversità e la possibilità di utilizzare la biomassa per la produzione di bioenergie, biomateriali e per implementare ulteriori strategie di mitigazione del cambiamento climatico”.

Redazione

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