Ue

I No del governo all’Europa che fanno male alle imprese innovative

Auto e case green: l’opposizione alle direttive Ue rischia di costarci cara. I no del governo penalizzano le nostre imprese più innovative e ci fanno perdere mercato. Articolo di Rossella Muroni

Paghiamo milioni di euro l’anno di sanzioni europee per la mancata depurazione delle acque. La sanzione comunitaria, iniziata nel 2014 con 42 milioni di euro per le discariche abusive, oggi si è ridotta grazie al lavoro del commissario Vadalà e della task-force messa a disposizione dall’arma dei carabinieri. Ma parliamo pur sempre di circa 5 milioni di euro l’anno. E siamo sotto infrazione per gli sforamenti rispetto ai limiti previsti dalla direttiva sulla qualità dell’aria.

È una fotografia dell’Italia vista dall’Europa. O meglio della postura poco competente e molto distratta, da turisti in vacanza, con cui politica e governo italiano stanno in Ue. Eppure, è bene ricordarlo, l’Italia come Paese membro dell’Ue contribuisce a scrivere le normative comuni. Senza troppo clamore in casa. Almeno fino a quando non si avvicina la data di entrata in vigore, scadenza che suscita quasi invariabilmente polemiche e proteste contro l’Europa matrigna.

È successo di recente per le direttive Sup (Single use plastics), Epbd meglio nota come ‘case green’ (Energy Performance of Buildings Directive). E per il divieto di vendita di nuove auto a diesel o benzina dal 2035.

Con la direttiva Sup l’Ue ha vietato nel suo territorio i prodotti di plastica monouso per i quali esistono alternative. Come posate, piatti, bastoncini cotonati, cannucce, mescolatori per bevande, aste dei palloncini, contenitori per cibo da asporto in polistirene espanso. Tutto per affrontare l’inquinamento da plastica, uno dei più diffusi nelle acque e sulle terre del pianeta.  Per l’Italia, che è all’avanguardia sia sul fronte normativo che tecnologico, l’entrata in vigore della direttiva avrebbe dovuto rappresentare un’occasione da non perdere per continuare a giocare un ruolo da protagonista sul fronte strategico dell’innovazione e della sostenibilità del settore.

Ricordo, infatti, che il nostro Paese è stato il primo a mettere al bando gli shopper di plastica, i cotton-fioc non biodegradabili e le microplastiche nei cosmetici. Misure riprese dalla direttiva europea. Ma non solo. L’Italia è anche il Paese che ha inventato sia la plastica che le bioplastiche compostabili. Una leadership da coltivare e mantenere, anche per le ricadute occupazionali. Tanto più considerando che il 70% della plastica monouso messa al bando in Europa era prodotta in Italia, impiegando circa 3 mila addetti.

Per tutelare l’ambiente assieme alle imprese e ai lavoratori avremmo dovuto essere i più bravi anche sul fronte della transizione ecologica del settore. Invece la politica italiana non ha fatto praticamente nulla per progettare e accompagnare le imprese del made in Italy in questo grande cambiamento. Se abbiamo evitato la tragedia è solo merito delle imprese. Sia quelle che già producevano plastica biodegradabile e compostabile, una filiera da alto tasso di innovazione e sostenibilità che impiega circa 2.800 addetti, che quante hanno investito per la conversione ecologica della loro produzione.

Quanto alla cosiddetta direttiva case green, questo è uno dei pilastri del pacchetto Fit for 55%. Gli edifici sono responsabili di oltre un terzo delle emissioni di gas serra in Ue, quindi la fissazione di nuovi standard minimi di efficienza energetica dovrà servire per contribuire al raggiungimento dei target climatici europei al 2030. Gli edifici privati dovranno diventare almeno di classe E entro il 2030, di classe D entro il 2033. Per gli edifici non residenziali esistenti si punta a ridurre di almeno il 15% il consumo di energia primaria entro il 2030. E di almeno il 25% entro il 2034. Inoltre dal 2030 tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero. Ci saranno alcune eccezioni alle regole. Tra cui gli edifici storici, luoghi di culto, case indipendenti fino a 50 metri quadrati, seconde case abitate per meno di 4 mesi ogni anno.

Anche su questa misura, necessaria per ridurre le emissioni che i consumi energetici e le bollette, governo e politici hanno remato contro. Rivendicando che per gli italiani la casa è sacra. Cercando tipicità ed eccezioni valide solo per il Belpaese e accusando l’Europa di volerci imporre una patrimoniale mascherata. E con una miopia che ha dell’incredibile il governo, proprio mentre l’Ue puntava sull’efficienza, ha stroncato lo strumento che più di tutti ha aiutato gli italiani a rendere le case più efficienti: il Superbonus. Uno strumento perfettibile, che si sarebbe potuto rendere più equo ed efficace legandolo in modo più stringente alle case popolari e ai miglioramenti delle performance conseguite. Avrebbe potuto accompagnare gli italiani verso case più green. E che invece è stato praticamente cancellato con un tratto di penna.

Stesso copione, o quasi, per lo stop alla vendita di auto a motore endotermico dal 2035. Serve per centrare il target di riduzione di almeno il 55% delle emissioni al 2030, per migliorare l’aria che respiriamo soprattutto nelle città. Se ne parla da anni. Tanto che molti Paesi hanno introdotto limiti che anticipano quello europeo. Invece qui in Italia non abbiamo fatto niente. E continuiamo a puntare il dito contro l’Ue, rivendicare improbabili eccezioni e difendere i dinosauri fossili, a dare bonus pubblici per l’acquisto di auto inquinanti.

Avremmo dovuto programmare per tempo politiche e interventi capaci di sostenere la conversione alla sostenibilità di questo settore industriale. Non lo abbiamo fatto e ora siamo in grande ritardo. Avremmo dovuto preoccuparci, e neanche questo abbiamo fatto, di aiutare lavoratori e cittadini, evitando che i costi della transizione ricadessero su di loro. Le risorse ci sarebbero. Penso agli oltre 34 miliardi annui di sussidi ambientalmente dannosi stimati da Legambiente e che andrebbero tagliati. Inoltre dovremmo essere più consapevoli dei nostri talenti: già oggi ci sono importanti aziende italiane nella filiera dell’automotive elettrica.

Non cadiamo nella propaganda. Le politiche europee sono frutto di negoziazioni lunghe e complesse a cui prende parte anche l’Italia. Insomma siamo anche noi l’Europa e contribuiamo a definire le sue direttive e le sue politiche. Piuttosto che usare Bruxelles come capro espiatorio di ogni sciagura, mi aspetto dalla politica competenza e serietà, per conseguire buoni risultati tanto in Italia quanto in Europa.

Articolo originariamente pubblicato da Huffpost – Leggi anche Da Renzi a Meloni continua la guerra alle rinnovabiliPer approfondire questi temi leggi gratis l’ultimo numero de L’ECOFUTURO MAGAZINE

Redazione

Articoli correlati

0 0 votes
Article Rating
1 Comment
Oldest
Newest Most Voted
Inline Feedbacks
View all comments

[…] Leggi anche I No del governo all’Europa che fanno male alle imprese innovative […]