Carovana dei ghiacciai 2022

2022 anno drammatico per i ghiacciai alpini

Dal 17 agosto al 3 settembre 2022, per il terzo anno consecutivo, un team di esperti e volontari è salito in quota con Carovana dei ghiacciai. Una campagna promossa da Legambiente con la partnership scientifica del Comitato Glaciologico Italiano. 5 sono state le tapp, dalla Valle d’Aosta fino al Friuli Venezia Giulia, attraversando tutto l’arco alpino. Il racconto dell’inesorabile regressione dei ghiacciai a causa del riscaldamento climatico.

Il 2022 per i ghiacciai alpini è stato un anno drammatico. I giganti bianchi delle nostre montagne hanno attraversato l’estate peggiore delle ultime migliaia di anni. Una situazione negativa che in parte si prefigurava fin dalla primavera scorsa, quando stava già scomparendo una ridotta coltre nevosa che invece avrebbe dovuto proteggere le masse glaciali dalla fusione estiva. Ad un inverno povero di neve si è poi aggiunta un’estate caldissima. Ciò ha determinato la scomparsa di spessori glaciali in misura mai registrata prima.

Ma quel che sorprende di più è l’accelerazione dei fenomeni di riscaldamento: la crisi climatica sta avanzando a vista d’occhio anche nelle Alpi. Infatti, i dati delle stazioni metereologiche installati alla alte quote descrivono un’intensità e una velocità di innalzamento delle temperature che va al di là di ogni previsione. Senza precedenti l’incremento delle ondate di caldo e al contempo la riduzione delle ondate di freddo. Un trend in continua evoluzione, così come descritto Acquaotta, Baronetti e Vianinel con il contributo “Ondate di caldo” al presente report.

Altri dati impressionanti, registrati da Mete oSuisse, riguardano lo zero termico. Il 25 luglio 2022 esso ha raggiunto il record sulle Alpi con 5184 metri, e ad ottobre ancora si attestava sui 4000 metri di quota. Numeri del tutto anomali, considerato che normalmente nel mese di agosto la quota dello zero termico dovrebbe aggirarsi sui 3500 metri.

I mesi scorsi hanno segnato sulle Alpi altri primati, allarmanti anche per le comunità e l’economia. Per la prima volta tutte le località turistiche su ghiacciaio dove in estate si poteva sciare, sono state costrette a chiudere le piste. E le discese autunnali di Coppa del Mondo di sci alpino sui ghiacciai tra Zermatt e Cervinia sono state annullate. Per la prima volta nella loro vita professionale parecchie guide alpine, in conseguenza dell’aumentata pericolosità dei tracciati, hanno dovuto rinunciare agli accompagnamenti sul monte Bianco e sul monte Rosa.

Gli impatti dell’estate 2022 su neve, ghiacciai, permafrost ed ecosistemi sono stati descritti
in questo report da Edoardo Cremonese, prendendo come esempio la Valle d’Aosta. In un anno così particolare, la Carovana è tornata a visitare i ghiacciai alpini scegliendo di rivedere quelli monitorati nel 2020. La decisione di ritornare su molti dei ghiacciai visitati due anni fa non è stata casuale. Vi erano infatti seri motivi per credere che la situazione fosse in rapido peggioramento. E per questo si voleva mostrare al grande pubblico l’entità della deglaciazione sugli stessi siti.

Purtroppo, i dati del report 2022 dimostrano che a soli 2 anni di distanza dalle precedenti tappe della Carovana, la situazione si è deteriorata. Al di là di ogni razionale previsione. Le stesse testimonianze degli operatori glaciologici incontrati nelle tappe della Carovana indicano quanto la crisi climatica abbia reso sempre più difficile il monitoraggio dei ghiacciai. Infatti su tutto l’arco alpino sta diminuendo il numero dei ghiacciai per i quali sia possibile eseguire un monitoraggio diretto di tipo quantitativo (misurazione dell’arretramento frontale e/o del bilancio di massa). Nel contempo ormai è sempre più difficile anche la semplice osservazione dei ghiacciai tramite fotografie. Non è solo un questione dovuta all’aumento della pericolosità degli ambienti glaciali e periglaciali (legato all’incremento di crepacci, crolli di ghiaccio e
roccia, colate detritiche ed altri fenomeni ancora
). Le fronti dei ghiacciai, soprattutto a causa delle cesure delle lingue glaciali, si spostano sempre più in alto in posizioni non più raggiungibili. E le coperture di detrito si fanno sempre più consistenti tanto da impedire l’individuazione della parte terminale del ghiacciaio.

Nel presente Report, tutti i ghiacciai osservati durante le tappe della Carovana sono descritti approfonditamente dal punto di vista scientifico nelle schede curate da Stefano Perona e colleghi. Per ciascun ghiacciaio sono illustrati i consistenti cambiamenti rilevati. Il monitoraggio evidenzia come e quanto nell’intero arco alpino i ghiacciai siano a rischio, in piena emorragia, sempre più minacciati dagli effetti della crisi climatica. La perdita di superficie e spessore, porta alla disgregazione in corpi glaciali più piccoli, confinati alle quote più elevate. Ed al collasso superficiale per accelerata fusione delle maggiori masse glaciali.

Come quelle del Monte Bianco. Il Miage, il ghiacciaio “himalayano” della Valle d’Aosta in 14 anni ha perso circa 100 miliardi di litri di acqua (almeno 100.000.000 di m³di ghiaccio, pari a tre volte il volume dell’idroscalo di Milano). Il Pré de Bar dal 1990 ad oggi registra mediamente 18 metri di arretramento lineare l’anno.

Stessa sorte per il Monte Rosa. Qui il Ghiacciaio di Indren ha registrato in due anni un arretramento frontale di 64 metri, 40 solo nell’ultimo anno. Un dato mai registrato negli ultimi cinquant’anni anni, fortemente preoccupante per un ghiacciaio al di sopra dei 3.000 metri di quota.

E ancora il Ghiacciaio dei Forni, in Lombardia. Il secondo gigante italiano (dopo l’Adamello) nell’ultimo anno ha registrato un arretramento della fronte di più di 40 metri lineari. Per un totale di circa 400 metri negli ultimi dieci anni. Perdendo quindi la sua qualifica di ghiacciaio “himalayano” per effetto della frammentazione in tre corpi glaciali.

Sulla Marmolada, la regina delle Dolomiti “teatro glaciale” della tragedia dello scorso 3 luglio, il monitoraggio scientifico è stato svolto a distanza, facendo un passo indietro rispetto alla tappa del 2020, per ragioni di sicurezza. Lo scenario è quello di un ghiacciaio che tra quindici anni potrebbe scomparire del tutto, avendo registrato nell’ultimo secolo una perdita di più del 70% in superficie e oltre il 90% in volume. Il crollo di ghiaccio del mese di luglio è stato analizzato da un gruppo di esperti (Bondesan, Francese, Giorgi e Picotti) che hanno fornito alla Carovana un quadro completo e rigoroso di quanto accaduto, fondamentale per comprendere come le dinamiche glaciali siano condizionate dai cambiamenti climatici.

In ultimo è stato rivisto il Ghiacciaio Occidentale del Montasio, in Friuli-Venezia Giulia, un’eccezione nel panorama alpino. Il Montasio rimane un esempio di ghiacciaio piccolo ma resistente. Pur avendo subito in un secolo una perdita di volume del 75% circa e una riduzione di spessore pari a 40 metri, dal 2005 risulta stabilizzato. In controtendenza quindi rispetto agli altri ghiacciai alpini.

Grazie al contributo dei responsabili delle Campagne Glaciologiche CGI per i tre settore alpini (occidentale, centrale e orientale), nel report sono state sviluppate considerazioni d’insieme sullo stato di salute dei ghiacciai. Insieme a informazioni puntuali su quanto sta accadendo ad alcuni di essi. Un box a cura di Daniele Cat Berro e Luca Mercalli è stato dedicato ai ghiacciai del Parco Nazionale del Gran Paradiso, un’importante area protetta che quest’anno compie i suoi primi cento anni.

Dai dati degli operatori glaciologici CGI risulta che un po’ ovunque nei tre settori alpini molti dei ghiacciai più piccoli e alle quote meno elevate stanno perdendo il loro “status” di ghiacciaio, riducendosi ad accumuli di neve e ghiaccio o poco più.

Per quanto riguarda i ghiacciai che rimangono, una quarantina di metri è la misura media di arretramento frontale annuo nelle Alpi Occidentali. Qui spicca il dato della regressione di ben 200 metri della fronte del Ghiacciaio del Gran Paradiso, in conseguenza della separazione di una sua parte. I risultati dei bilanci di massa eseguiti su ghiacciai come il Timorion, in Valsavaranche e del Ruitor (La Thuile) descrivono la perdita per fusione pari a 4,6 metri di acqua equivalente(ovvero corrispondente ad una riduzione di spessore simile). La peggiore su una serie di 22 anni. Per il Ruitor si osservano perdite pari a 3 metri che diventano addirittura 9 metri nelle zone frontali. Accentuati i ritiri frontali di ghiacciai come quello di Verra in Val d’Ayas, il Ghiacciaio del Lys e degli altri corpi glaciali del Monte Rosa.

Permangono nello status di “sorvegliati speciali” i ghiacciai Planpincieux e Grandes Jorasses in Val Ferret (AO) per il rischio di crolli di ghiaccio che potrebbero coinvolgere gli insediamenti e le infrastrutture del fondovalle. La situazione osservata sul Ghiacciaio di Hohsand (o del Sabbione) nelle Valli Ossolane è emblematica di come un bacino lacustre costruito per lo sfruttamento idroelettrico delle acque di fusione del ghiacciaio possa condizionare la produttività dell’impianto stesso in funzione del riscaldamenti climatico.

Nulla di diverso si riscontra nel Settore alpino Centrale. Ad esempio, il Ghiacciaio del Lupo ha perso nel solo 2022 il 60% della massa glaciale scomparsa nell’arco di 12 anni. Per il Ghiacciaio di Fellaria, (Gruppo del Bernina, Val Malenco), si parla di quasi 26 metri di spessore di ghiaccio persi in soli 4 anni. O meglio in circa 16 mesi complessivi, visto che la perdita di spessore si concentra in estate. Tra i sempre più frequenti fenomeni di collasso delle fronti spicca quello del Ghiacciaio del Ventina nel Gruppo del Monte Disgrazia. In un anno ha perso 200 metri della sua lingua.

Per quanto concerne le Alpi Orientali, in Val di Pejo (Trentino), rimangono placche di pochissimi ettari del grande Ghiacciaio del Careser. La sua superficie si è ridotta dell’86% rispetto a quella segnalata dal catasto glaciologico del CGI negli anni 1950. Paradossalmente, l’incremento delle sue acque di fusione ha consentito quest’anno di soddisfare il fabbisogno idrico delle coltivazioni intensive di mele in Val di Non, anche in un’estate siccitosa. Peccato che questa abbondanza di acqua in tempi molto brevi si rivelerà effimera, con il rapido esaurimento della massa glaciale. Si segnalano inoltre molti arretramenti delle fronti, in gran parte dovuti alla cesura delle parti frontali. Quasi un chilometro per la Vedretta de la Mare e 600 metri per il Ghiacciaio di Lares del Gruppo dell’Adamello. In linea con gli altri due settori, le perdite di spessore registrate per i ghiacciai di Malavalle e della Vedretta Pendente.

Consistenti effetti del riscaldamento climatico, per quanto non tutti facilmente imputabili direttamente alle condizioni citate, sono stati osservati anche sull’instabilità naturale dell’alta montagna alpina (effetti su neve, ghiacciai, permafrost). Così come illustrato da Marta Chiarle e Guido Nigrelli del CNR/IRPI.

Si può quindi affermare che qualcosa di veramente anomalo è accaduto dunque nell’estate 2022, in termini di deglaciazione. Una situazione che ha costretto i glaciologi addirittura ad aggiornare le scale grafiche dei bilanci di massa, perché le perdite sono andate oltre le più normali previsioni. Il quadro che si ricava non è per niente ottimistico. Un’insieme di situazioni che per la loro gravità dovrebbero essere inserite nei report di riferimento delle agende di Governo. Ciò appare necessario ora più che mai, considerando che il nostro è un Paese dove purtroppo ci si accorge della scomparsa delle masse glaciali e di altre emergenze naturali unicamente in seguito alle tragedie. Questo report si propone di diffonderne la consapevolezza nella società, per evitare che, finite le emergenze, ancora una volta ci si dimentichi di tutto quanto e si trascuri la necessità di programmare un’efficace governance del territorio e dei rischi ad essi connessi.

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Redazione

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