Leila-Bologna

Usare è meglio che possedere: le biblioteche degli oggetti

Usare è meglio che possedere, la rivoluzione dalle biblioteche degli oggetti. Un articolo di Francesco Bevilacqua, Caporedattore Italia Che Cambia

COSOTECHE

«Fra venticinque anni è probabile che un numero sempre maggiore di imprese e di consumatori percepirà l’idea stessa di proprietà come un limite, qualcosa di obsoleto, fuori moda». Era il 2000 quando l’economista e sociologo americano Jeremy Rifkin preconizzava una trasformazione radicale in seno alla cultura economica globale e di conseguenza ai fondamenti stessi dell’economia.

Lessi il suo “L’era dell’accesso” ormai più di vent’anni fa, faceva parte del programma di un esame universitario, confesso che non ricordo neanche quale. I concetti espressi da Rifkin furono per me illuminanti. Rappresentarono i dubbi che si annidarono proprio lì, fra le pieghe più nascoste di un concetto di economia che strideva rumorosamente con una serie di valori morali e dinamiche concrete di cui stavo iniziando ad avvedermi.

«La proprietà – scriveva Rifkin – si fonda sull’idea che il possesso di un bene materiale per un prolungato periodo di tempo rappresenti, in sé, un valore. Che avere, possedere, accumulare siano concetti positivi». Oggi è passato abbastanza tempo per poter verificare se le intuizioni dell’autore erano vere. In effetti, già da anni la dematerializzazione non solo dell’economia ma del mondo intero ha portato all’obsolescenza dell’idea di possedere, di stringere materialmente fra le mani qualcosa di solido e tangibile.

Nei confronti di chi non si accontenta di osservare passivamente le trasformazioni in atto nel mondo ma vuole provare a indirizzarle verso lidi di sostenibilità ambientale, giustizia sociale e sobrietà che effetto ha avuto la progressiva sostituzione del concetto di proprietà con quello di accesso – o meglio, di fruizione?

A mio avviso, decisamente positivo poiché ha aperto nuovi scenari che prontamente i mondi dell’economia solidale, etica, sostenibile e della condivisione hanno colonizzato. Un esempio su tutti? Le biblioteche degli oggetti che sono fra le esperienze che meglio interpretano questa nuova visione.

Ne parlo brevemente raccontando la mia esperienza che, per conto di Italia Che Cambia, mi ha portato a conoscere Antonio, un mio concittadino che a Bologna è stato fra i promotori di Leila, la biblioteca degli oggetti. La prima volta che l’ho incontrato, Antonio mi ha spiegato il concetto alla base del progetto in maniera semplice e lampante. «Quello di cui ho bisogno è fare un buco nel muro, non possedere un trapano», mi ha detto.

Già, perché a Leila – e in tutte le altre biblioteche degli oggetti – le cose si usano, non si possiedono. Sintetizzando all’estremo, funziona così: se avete un oggetto che non usate spesso, lo potete portare alla biblioteca. Rimane vostro ma viene messo a disposizione di altre persone, che lo possono prendere, usare e poi restituire. Dunque, per tornare all’esempio di prima, se avete bisogno di appendere delle mensole invece di comprare un trapano lo potete semplicemente prendere in prestito.

A ben pensarci, si tratta di mettere a sistema un insieme di pratiche che esiste e funziona da secoli, forse millenni. A chi non è mai capitato di prestare l’ormai famoso trapano oppure un paio di sci, una macchina da cucire, una racchetta da tennis a un conoscente che ne aveva bisogno? Soprattutto nel mondo anglosassone, questa pratica è codificata da quasi un decennio. In Inghilterra per esempio è attiva la rete “Library of Things”. Mette a disposizione un portale web e decine di chioschi disseminati per il Paese per conferire o prendere in prestito – in questo caso, prevalentemente a pagamento – gli oggetti… continua a leggere gratis su L’ECOFUTURO MAGAZINE

Redazione

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