PNRR: tutte le inefficienze del Sistema Italia

PNRR con le spine. L’inchiesta di Sergio Ferraris, giornalista scientifico, caporedattore “L’Ecofuturo Magazine”

L’esecuzione del PNRR mette a nudo tutta una serie di inefficienze del Sistema Italia

Era tutto già scritto. Fin dalle prime bozze del PNRR, correva gennaio dell’anno 2021, fu chiaro che sarebbe stato un percorso spinoso. Il Governo Conte II, composto da Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Liberi e Uguali e Italia Viva, approva il PNRR seguendo le indicazioni del Consiglio Europeo straordinario del luglio 2020 che decise di attivare un fondo da 750 miliardi di euro dei quali all’Italia è andata la fetta più grande con 191,5 miliardi, di cui 70 miliardi – il 36,5% – a fondo perduto e 121 miliardi – il 63,5% – in prestiti. A questa cifra il Governo aggiunse 30,6 miliardi per i progetti esclusi dall’importo originario; la dotazione complessiva del fondo raggiunge i 222,1 miliardi. (Per chiarezza espositiva d’ora in avanti faremo riferimento ai 191,5 miliardi provenienti da Bruxelles N.d.R.).

Fin dalle prime bozze, trapelate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, era evidente che qualcosa non andasse. Nonostante l’indirizzo dell’Europa fosse sull’organizzare piani coerenti, fattibili in tempi rapidi, lo scopo del piano europeo, chiamato anche Next Generation EU, era quello di risollevare l’economia del Vecchio Continente fiaccato dalla pandemia del Covid 19.

Con un piano che possiede un’alta componente green, per il 37% mentre per il 21% è dedicato agli investimenti nel digitale, sono venuti al pettine buona parte dei problemi storici del Bel Paese.

Progetti scoordinati, con poca coerenza complessiva e nessuna chiarezza sugli obiettivi erano racchiusi nelle oltre 700 pagine delle tre bozze, con il culmine nella prima di queste, nella quale in tutte le tabelle dove erano evidenziati i risparmi di emissioni climalteranti delle politiche promosse dal PNRR, faceva bella mostra una serie di punti interrogativi. Era netta l’impressione che anziché un piano organico, il PNRR fosse una collezione di progetti estratti e magari dimenticati dai cassetti dei ministeri.

Eppure, si trattava di un’occasione ghiotta. Il Governo Conte era riuscito ad accaparrarsi la fetta più grande dei 750 miliardi: 221,1 miliardi in origine, il pezzo di torta più grande di tutta Europa; 750 miliardi composti da 390 miliardi di euro di sovvenzioni e 360 miliardi di euro in prestiti a lunga durata che dovranno rientrare entro il 2058. 

Tassi ignoti

E già sulla parte in prestito si apre un giallo. Già, perché su questo l’Unione Europea ha avuto poco coraggio visto che il tasso d’interesse sulla parte in prestito – per l’Italia 121 miliardi di euro – non è noto se non poco prima dell’erogazione del finanziamento. In pratica, la Commissione Europea invia al ministero del Tesoro una «confirmation notice» nella quale si trovano i costi del finanziamento solo a ridosso dell’erogazione della tranche di prestito.

Le condizioni si conoscono solo dopo la firma, o meglio la richiesta da parte degli Stati membri. Si tratta di tassi variabili che prima della stretta monetaria “anti inflazione”, voluta dalla Banca centrale europea nella persona di Christine Lagarde, che oltre a strangolare famiglie, imprese e Stati aumentando il costo del denaro, a questi ultimi ha messo un triplo cappio al collo.

Il primo cappio è quello dell’aumento dei tassi d’interesse sui titoli pubblici, il secondo è quello del deprimere la richiesta interna grazie al rincaro del costo del denaro per imprese e famiglie, con conseguente compressione del Pil e il terzo è quello dell’aumento di costo dei finanziamenti legati al PNRR. Una ricetta, quella della Lagarde, che se già è discutibile poiché combatte un’inflazione esterna dovuta all’aumento dei costi dell’energia e a cascata delle materie prime con strumenti consoni all’inflazione interna, appare ancora più azzardata alla luce del PNRR.

Per giustificare questo meccanismo l’Unione Europea ha spiegato più volte che con le garanzie dei paesi partecipanti al finanziamento Next Generation Ue i tassi sarebbero più convenienti di quelli ottenuti dai singoli, come l’Italia che ha uno spread sui titoli di Stato tedeschi, che sono il riferimento più alto di altri paesi. Se però Christine Lagarde dovesse perseverare nella sua logica di “mercato” e dovesse continuare a fare salire i tassi d’interesse europei, collocare titoli pubblici oggi (novembre 2023) potrebbe essere molto più conveniente che non accedere al PNRR tra un anno.

Senza timone

Il vero problema è che per pilotare una nave, o meglio uno Stato, con questi lacci e lacciuoli e con la benda che impedisce di vedere l’altezza delle onde, ossia degli interessi, occorre una mano ben salda e soprattutto convinta. Significativo il fatto che sulle prime tranche di finanziamenti non siano stati resi pubblici, dal ministero del Tesoro, i tassi d’interesse applicati.

Questa logica la aveva ben presente Mario Draghi, non a caso ex presidente della BCE che aveva in mano le redini dell’economia europea durante la crisi del debito sovrano europeo e che ha applicato al PNRR la sua nota frase «Whatever it takes» (costi quel che costi), pronunciata nel 2012 in occasione della crisi. Con il suo arrivo al Governo, il 13 febbraio 2021, il PNRR cambia pelle. L’esecutivo Draghi sfronda buona parte dei progetti, riscrivendolo in buona parte, ma soprattutto dotandolo di un cronoprogramma e di un attento sistema di monitoraggio… Continua a leggere l’inchiesta gratis su L’ECOFUTURO MAGAZINE

Redazione

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