Germania, sentenza storica: la difesa del clima è un diritto fondamentale dei cittadini

Il 29 aprile, con una storica sentenza, la Corte costituzionale federale della Germania ha giudicato parzialmente incostituzionale e insufficiente la legge tedesca sul cambiamento climatico, approvata nel 2019, per l’assenza di indicazioni dettagliate sulla riduzione delle emissioni climalteranti dopo il 2030. La Corte ricorda che l’Accordo di Parigi stabilisce l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5° rispetto all’era preindustriale (oggi siamo a poco più di 1°). (Foto di Tumisu da Pixabay)

«Affinché questo obiettivo venga centrato le riduzioni ancora necessarie dopo il 2030 dovranno essere raggiunte con sempre maggiore rapidità e urgenza». Un’affermazione che rispecchia la migliore scienza disponibile e il consenso della comunità scientifica internazionale.

Secondo i giudici costituzionali la protezione del clima rientra tra i diritti fondamentali dei cittadini. Le emissioni di gas serra hanno un impatto su «virtualmente, tutti gli aspetti della vita umana». La Corte si è espressa in seguito a un ricorso presentato da un gruppo di giovani attivisti, sostenuti da alcune organizzazioni tra cui Fridays For Future. I giudici hanno accolto alcune delle loro osservazioni critiche sulla legge federale sul clima. Hanno osservato, tra l’altro, che alcuni di loro sono «molto giovani» e che le disposizioni contenute nella legge «scaricano in modo irreversibile i maggiori oneri di riduzione delle emissioni su periodi successivi al 2030». Cioè, su coloro che saranno adulti quando i costi e gli impatti del riscaldamento globale saranno ancora più pesanti di quanto siano oggi, se la riduzione delle emissioni sarà tardiva e insufficiente.

La Costituzione tedesca sancisce il dovere dello Stato di «proteggere la vita e la salute» e, come nota la Corte, questo riguarda anche la protezione dai rischi posti dai cambiamenti climatici e da eventi estremi che la crisi climatica sta rendendo più gravi e frequenti, come ondate di calore, incendi, piogge eccezionali e siccità. I legislatori dispongono di un margine di manovra nel decidere come adempiere a questi obblighi costituzionali, perciò non è possibile ravvisare una loro violazione nella Legge sul clima tedesca. Tuttavia, «diritti fondamentali sono violati dal fatto che le quantità di emissioni consentite fino al 2030 restringono in modo sostanziale le restanti opzioni per la riduzione delle emissioni dopo il 2030, mettendo perciò a repentaglio praticamente ogni tipo di libertà tutelata dai diritti fondamentali».

Come ricorda Climate Home News, la decisione della Corte tedesca segue un numero crescente di casi legali simili in diversi paesi.

«Nella prima decisione di questo tipo, la Corte Suprema dei Paesi Bassi nel 2019 ha confermato una sentenza di un tribunale di grado inferiore che obbligava il governo a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni». È stato questo caso a ispirare gli attivisti tedeschi e cause legali in altri paesi, tra cui Belgio, Irlanda, Norvegia, Francia, Nuova Zelanda, Gran Bretagna, Svizzera. Pochi giorni fa, nel Regno Unito, tre studenti di 20 anni, Adetola Stephanie Onamade, Marina Tricks e Jerry Amokwandoh, hanno fatto causa al governo per l’impatto sui diritti umani della crisi climatica.

La Corte costituzionale tedesca ha ragione: la crisi climatica ha rilevanti conseguenze per molti aspetti della vita sociale ed economica. E ha perciò anche implicazioni legali, a partire dalla tutela di diritti fondamentali già sanciti nelle carte costituzionali.

Si parla oggi spesso di “giustizia climatica“, una nozione che inquadra la crisi climatica come una questione che non riguarda solo una transizione tecnologica ed energetica, ma che ha a che vedere anche con i diritti civili e sociali. Una crisi che aggrava ineguaglianze e disparità storiche e strutturali. Ad esempio, tra paesi ricchi e paesi poveri, più esposti agli effetti dei cambiamenti climatici in alcune aree del pianeta e per la loro conformazione geografica. Come alcuni stati-arcipelago, minacciati dal progressivo innalzamento del livello degli oceani. Ma anche all’interno dello stesso paese (comunità in condizioni socioeconomiche svantaggiate e popolazioni indigene). Come la pandemia, anche l’impatto dei cambiamenti climatici non è egualmente distribuito. Nello stesso tempo, tuttavia, questo fenomeno coinvolge l’intera società, compresi importanti settori economici e produttivi (basti pensare all’agricoltura), sempre più esposti al rischio di eventi climatici estremi.

Non sorprende, perciò, che anche corti costituzionali e di giustizia se ne occupino sempre più spesso. Del resto, come affermano Christiana Figueres (già segretaria esecutiva della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) e Tom Rivett-Carnac, tra gli “architetti” dell’Accordo di Parigi, «non è esagerato affermare che ciò che faremo per quanto riguarda la riduzione delle emissioni da qui al 2030 determinerà la qualità della vita umana su questo pianeta per centinaia di anni a venire, se non di più».

Articolo di Antonio Scalari su La Valigia Blu

Link Articolo originale La Valigia Blu

Redazione

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