Breve Storia dell’Ambientalismo italiano

Presentiamo oggi un contributo alla storia dell’ambientalismo italiano con un articolo di Grazia Pagnotta, Professoressa di Storia dell’ambiente presso l’Università Roma Tre.

La cultura ecologista affiorò e si strutturò autonomamente dalle altre grandi culture politiche (in Italia liberalismo e marxismo, a cui si affiancava il cattolicesimo). Ed alla sua maturazione criticò parimenti sia le forme di società capitalista che le forme comuniste, in quanto tutte industrialiste e organizzate ponendo in secondo piano la natura. Nella storia di questa cultura per i decenni ’50 e ’60 si deve parlare di «conservazionismo». Ossia di attenzione alla conservazione di natura e patrimonio artistico. Poi all’inizio degli anni ’70 divenne «ambientalismo», ossia una cultura specifica interdisciplinare, sorretta da un sapere politico in divenire.

Fu negli Stati Uniti degli anni ’50 che ebbe il suo avvio, con l’opera di denuncia del largo uso del DDT e con le prime contestazioni agli esperimenti nucleari che avvenivano sul suolo americano. Ma la radice italiana è soprattutto nelle lotte contro la speculazione edilizia di quegli anni. In particolare quelle che si realizzarono a Roma svolte insieme dal Pci romano, dal giornalismo liberale dell’Espresso e dalla prima grande associazione ambientalista del paese, Italia Nostra. Questa nacque nel 1955. Vi si aggiunsero in breve Federnatura nel 1959, che si creò dall’aggregazione di piccoli circoli locali, la Lega italiana per la protezione degli uccelli nel 1965 e il Wwf nel 1966 (già fondatosi a livello internazionale nel 1961).

Negli anni del miracolo economico in cui l’Italia usciva dalla sua arretratezza, questo primo associazionismo ambientalista, formato da un ceto borghese e alto borghese, fu etichettato come élite agiata che si dedicava alla natura, potendo farlo grazie alla sue facoltà economiche. Insomma, si volle denigrare il primo impegno verso l’ambiente forgiando un’antitesi sviluppo-natura. Eppure di disastri ambientali l’Italia in quegli anni già ne viveva. L’inquinamento della val Bormida causato dall’Acna, il disastro della diga del Vajont, l’alluvione di Firenze e la frana di Agrigento. Oltre alla condizione di disastro urbanistico di diverse città.

Sul piano internazionale l’attenzione all’ambiente cominciò ad emergere all’inizio del decennio ’70 grazie all’Onu, che promosse nel 1972 a Stoccolma la I Conferenza sull’ambiente Una sola terra e che istituì il Programma Onu per l’ambiente, e grazie alla pubblicazione nello stesso anno del rapporto del Club di Roma, “I limiti dello sviluppo“. Sottoponendo a critica le modalità dello sviluppo esplicatosi fino ad allora, il rapporto produsse accese discussioni e polemiche, ma è indubbio che segnò una maturazione del pensiero ecologista.

Un’ulteriore spinta alla collocazione sul piano internazionale dell’ambientalismo venne l’anno successivo dallo shock petrolifero. Il prezzo del petrolio aumentò in seguito alla guerra arabo-israeliana del Kippur e l’umanità fu posta per la prima volta di fronte alla finitezza dei combustibili fossili. In Italia la soluzione fu cercata nel ritorno a programmi di costruzione di centrali nucleari. Tuttavia, man mano che venivano indicati i siti, si generò la contestazione della popolazione dei luoghi indicati. Si aprì così per l’ambientalismo italiano la lunga stagione politica dell’antinuclearismo che terminò con il referendum contro il nucleare del 1987.

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Marcia anti nucleare, Trino Vercellese, 1986.

Si trattò di una fase molto fruttuosa perché spinse tutte le entità che componevano l’arcipelago verde (grandi associazioni, comitati locali attivi su diverse questioni, comitali locali contro il nucleare, gruppi di discussione e riviste) a legarsi assieme nella battaglia contro le centrali. Una connessione identitaria più forte che trasfigurò l’ambientalismo italiano in movimento vero e proprio.

Non mancarono negli anni ’70 nel Paese drammatici avvenimenti che furono incalzanti per l’approfondirsi e solidificarsi delle critiche alle scelte errate in materia di sviluppo economico e di salvaguardia della natura. Nel 1973 il ritorno di una malattia antica, il colera, con un’epidemia a Napoli e Bari. E poi nel 1976 gli incidenti industriali allo stabilimento Icmesa di Seveso e all’Enichem di Manfredonia. La nuvola di diossina che si sprigionò a Seveso ebbe risonanza nel mondo. Ancora infatti non si conoscevano le conseguenze di tale sostanza sull’ambiente e sulla salute. Così il rischio d’incidenti industriali s’impose all’attenzione delle istituzioni.

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Il 10 luglio 1976, dallo stabilimento chimico dell’Icmesa di Meda, nei pressi dell’abitato di Seveso, fuoriesce una nube contenente diossina (sostanza cancerogena fino ad allora quasi sconosciuta) che contamina una vasta zona abitata della Brianza: saranno 37,000 le persone esposte. L’incidente, che provoca anche la morte di animali e piante, scuote fortemente l’opinione pubblica italiana e costituisce il più grave disastro ambientale della storia d’Italia

Altre associazioni si formarono, quali Legambiente nel 1979, che praticò fin da subito un ecologismo politico, e la sezione italiana di Greenpeace nel 1986. Intanto all’inizio degli anni ’80 una parte dell’ecologismo cominciava a valutare se non fosse proficuo scegliere la forma partito. Così alle elezioni amministrative del 1980 vi fu la prima sperimentazione delle Liste verdi. Il successo arrivò con le politiche del 1987 quando i Verdi entrarono in Parlamento. E nomi noti dell’ecologismo furono eletti nelle liste di Democrazia proletaria, Pci e Sinistra indipendente. Non va tralasciato, però, che nel 1986 vi era stato l’incidente di Chernobyl, che dappertutto nel mondo aveva ampliato il consenso all’ambientalismo. E che in Italia portò al referendum contro l’atomo.

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Reinhold Messner ed Alex Langer

Alla fine degli anni ’80, mentre nel mondo avevano grande risonanza la compromissione della Foresta amazzonica e il disastro della petroliera Exxon Valdez, in Italia le preoccupazioni per la questione ambientale andarono ampliandosi. Anche a causa dell’eutrofizzazione delle alghe dell’Adriatico e dell’aumento dello smog automobilistico. In questo contesto di apprensioni crescenti per la situazione concreta, nel 1987 il Rapporto Brundtland coniò il concetto di sviluppo sostenibile. Ovvero lo sviluppo che soddisfa i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere ai loro. Tale concetto e l’idea della decrescita, che arrivò negli anni ’90 e che lo ha criticato, danno la misura di una ormai accresciutasi e arricchitasi cultura ambientalista. Quanto al livello istituzionale internazionale, con la II Conferenza Onu sull’ambiente e lo sviluppo nel 1992 a Rio del Janeiro si aprì un percorso di incontri che sono andati moltiplicandosi nel tempo.

Le formazioni partitiche verdi italiane dalla fine degli anni ’90 si sono avvicendate in contrapposizioni, fino alla loro uscita dal parlamento con le elezioni del 2008. Con le elezioni del 2022 in numeri limitati una formazione verde vi è tornata. Ma ciò che più è significativo, è l’affermarsi della cultura ecologista presso gli italiani, grazie al lavoro dell’associazionismo ambientalista. Senza tralasciare però che l’interesse è dato anche dalla grave e pericolosa emergenza dal cambiamento climatico. Soprattutto la cultura ecologista si è affermata presso le nuove generazioni, come ha mostrato la nascita delle loro organizzazioni Friday for future e Extinction Rebellion.

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Manifestazione studentesca del Fridays for Future a Milano nel 2021

L’articolo è stato pubblicato per la prima volta da Il Fatto Quotidiano il 25 agosto 2023, parte integrante del progetto “La Scuola del Fatto”.

Foto di copertina: Manifestazione antinucleare Roma 10 maggio 1986

Grazia Pagnotta

Storica, è studiosa di Storia dell’ambiente, di Storia economica e di Storia urbana, argomenti su cui ha pubblicato diversi saggi. Si è laureata nel 1993 all’Università La Sapienza di Roma.

Dopo alcune borse di studio (Irsifar e Cnr), ha conseguito il dottorato in “Politica e società nella storia dell’Italia moderna e contemporanea” presso l’Università La Sapienza nel 2000. Ha curato il progetto “Memoria” per la scrittura della storia dei trasporti pubblici romani, dell’Assessorato alla mobilità del Comune di Roma (2000-2005).

È stata a lungo consulente parlamentare per i temi ambiente, donne, e cultura. Ed è stata consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazi-fascisti.

Dal 2003 al 2006 ha insegnato Storia dell’ambiente presso l’Università La Sapienza.

Dal 2009 insegna Storia dell’ambiente presso l’Università Roma Tre, e nel 2015-2016 ha insegnato Storia economica all’Università di Macerata. I suoi libri sono

  • Tranviere romane nelle due guerre, Atac 2001;
  • Roma in movimento nelle fotografie dell’Archivio storico Atac, Editori Riuniti 2002;
  • Sindaci a Roma. Il governo della Capitale dal dopoguerra a oggi, Donzelli 2006;
  • Roma industriale. Tra dopoguerra e miracolo economico, Editori Riuniti University Press, 2009;
  • Dentro Roma. Storia del trasporto pubblico nella capitale (1900-1945), Donzelli, 2012;
  • Prometeo a Fukushima. Storia dell’energia dall’antichità a oggi, Einaudi, 2020.

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Redazione

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