Agricoltura prima alleata della transizione ecologica
Un importante riflessione di Pietro Del Zanna, agricoltore toscano di Poggibonsi, sul ruolo indispensabile dell’agricoltura per una vera transizione ecologica.
Quando ci troviamo sull’orlo di un baratro, fermarsi e retrocedere è la cosa più naturale e sensata che ciascuno fa normalmente.
Perché a livello politico e sociale non è così? Come mai davanti ad elementi di cambiamento evidenti non c’è la capacità di andare oltre l’“abbiamo sempre fatto così!”? Perché non siamo in grado di separare il termine “sostenibilità” (che va declinata sicuramente nei suoi tre aspetti: ambientale, sociale ed economica), al termine “sviluppo”? Perché al termine, sicuramente provocatorio, “decrescita” gli stessi promotori devono affrettarsi ad aggiungervi gli aggettivi “serena” o “felice”, pena non essere presi nemmeno in considerazione?
Io credo che la risposta stia nel conflitto tra la semplicità delle percezioni dell’individuo e la complessità del sistema che abbiamo messo in piedi.
Oggi, come singoli individui, cresciuti nel mito dello sviluppo e della crescita e nella sostanziale realtà della società dei consumi, ci è difficile pensare che si possa stare meglio con meno. Che si possa stare meglio consumando meno.
Eppure basterebbe rientrare, con la ricchezza di tutte le conoscenze (scientifiche e tecniche) e delle esperienze acquisite, in una logica circolare, abbandonando la freccia lineare univoca dello sviluppo. Basterebbe guardare alla natura con altri occhi ed inserirsi nuovamente nei cicli che ci propone. Basterebbe ridimensionare la logica della competizione a vantaggio di una logica di solidarietà.
Se ci pensiamo bene, nei giorni della pandemia del Covid, pur nella tragedia e nel disagio dilagante, abbiamo intravisto alcune possibilità di cambiamento virtuoso.
Difficile pensare ad una “conversione ecologica” senza recuperare urgentemente un rapporto con la terra.
Poggibonsi è sicuramente importante per l’industria, l’artigianato, il settore terziario e terziario avanzato. Tutti saranno coinvolti nel processo di transizione ecologica dell’economia. Ma fondamentale, quanto lo è stata in passato, sarà l’agricoltura.
Mi trovo spesso a pensare a quante famiglie vivevano nella mia azienda agricola (3 poderi) che oggi a malapena ne sostiene una. Lungi da me rimpiangere l’ingiustizia e la povertà di quei tempi, non posso non osservare che “abbiamo buttato via il bambino con l’acqua sporca”.
Da un chicco di grano possono nascere cinque spighe, ognuna delle quali può produrre 70 chicchi di grano. “Investi” 1, ti viene restituito 350. Prima il grosso dell’utile andava ai padroni, oggi alle banche, ai padroni dei semi, all’industria dei concimi chimici e degli antiparassitari.
Abbiamo costruito un sistema malato dove gli agricoltori, lungi dall’essere alleati, sono stati concausa del disastro ambientale e climatico. Paradossali le manifestazioni degli agricoltori tedeschi, e prima olandesi, contro le politiche ambientali di questi paesi. Accadrà anche in Italia se non faremo dell’agricoltura la principale alleata della transizione ecologica.
Dal libro “La terra che salva la Terra” degli amici Fabio Roggiolani e Michele Dotti
“Il suolo è la più grande risorsa a nostra disposizione per l’adattamento e la mitigazione del cambiamento climatico attraverso il ripristino dello stock di carbonio impoverito dalla cattiva gestione del suolo, fino a 135 Pg (Petagrammi = 1015g = 1 miliardo di tonnellate) e dall’uso improprio della terra (Lal, 2018). Pertanto, è nostro dovere morale ed economico ricostituire le riserve esaurite attraverso una gestione sostenibile e riportarle alle condizioni originarie. Molte civiltà (Maya, Azteca, Mesopotamica, Valle dell’Indo) che consideravano il loro suolo come semplice terra, vi hanno fatto ritorno prima di quanto avessero immaginato”.
“(…) Il degrado della salute del suolo è la causa principale di tutti i gravi problemi che la civiltà moderna si trova ad affrontare: sicurezza alimentare e nutrizionale, emissioni gassose e accelerazione del riscaldamento globale, inquinamento e scarsità di acqua (proliferazione di alghe), riduzione della biodiversità e, soprattutto, un aggravamento della salute umana a causa sia della denutrizione sia della malnutrizione. (…)”.
“L’orticoltura basata sulla tecnica dell’Ortobioattivo, come la ripiantumazione massiva di boschi, è possibile nel nostro Paese grazie a 10 milioni di ettari non più utilizzati ma riutilizzabili. Accanto a queste superfici ci sono spazi liberi urbani e periurbani che possono tornare a rinaturalizzarsi, anche perché la decrescita della popolazione e il cambiamento delle modalità di produzione industriale rende del tutto inutili le nuove cementificazioni e costruzioni oltre a rimettere a disposizione molti spazi censiti come edificabili, industriali o di ampliamento industriale”.
“Le terre abbandonate sono un’immensa riserva su cui poter scommettere il futuro ecologico, economico e di benessere del nostro Paese. Le terre e le aree abbandonate nell’era delle energie rinnovabili, dell’agricoltura e della forestazione in pace con la terra, rappresentano il vero Eden, anche della ricchezza futura di chi le tornerà a coltivare e ad abitare, specialmente se vinceremo la battaglia, tutta politica, di premiare chi stocca la CO2 invertendo la rotta che nel dopoguerra ha sempre premiato chi invece diffonde CO2 in atmosfera”.
Il discorso, ovviamente è ampissimo. Andrà approfondito dettagliatamente. Avendola già fatta troppo lunga, mi limito ad indicare uno strumento a disposizione della prossima amministrazione comunale per un rilancio sostenibile dell’agricoltura (e non solo): le cooperative di comunità. Ci torneremo con calma…
Pietro Del Zanna
Sempre di Pietro Del Zanna leggi: Caro Alexander Langer, a 50 anni dal ’68 abbiamo ancora bisogno di te per uscire dalle sue secche. (conversionecologica.blogspot.com)
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