Venezia sentinella virtuosa per la qualità del mare

Le città marittime per la loro posizione, il loro ruolo di sentinella del mare ma anche di attrazione turistica, come nel caso di Venezia, dovrebbero essere le prime ad adottare regole e favorire comportamenti che riducano, contengano, migliorino l’impatto ambientale dello sversamento in mare di rifiuti plastici.

E’ di un mese fa la notizia che l’amministrazione comunale di Venezia ha aderito alla progetto promosso dal WWF di città “plasticfree” destinato proprio alle città marinare; l’approvazione all’unanimità rappresenta l’apertura di un file per la città lagunare che non significa aver oggi risolto il problema ma di impegnarsi per risolverlo: se l’adesione è gratuita, i progetti di attuazione devono fare i conti con costi che a partire dall’educazione dei cittadini e dei futuri ospiti quando torneranno, perché torneranno comunque, dovrà portare a metodi e mezzi per impedire che l’educazione a rispettare il proprio e altrui ambiente sia accompagnata da azioni concrete, ricordando che il problema non è impedire che vadano rifiuti in mare ma che siano recuperati anche quelli versati in 50 anni di pressapochismo normativo, superficialità politica, bende sugli occhi, blocco celebrare per non vedere, non annusare e possibilmente non toccare ma soprattutto lasciare alle generazioni future di risolvere un problema che non riguarda solo la convivenza degli umani ma l’intero ecosistema.

E’ noto ormai che la fondazione internazionale MacArthur, serbatoio di teste illuminate e credibili e meno prezzolate, stima che nel 2050 avremo per un pesce in circolazione nei mari, un pezzo di plastica galleggiante, che al di là dello stomaco dei pesci, si deposita sui fondali, si ancora come come triste bandiera ala flora marina, diventa casa se non tombe di creature marine incapaci di adattamenti rapidi al nuovo materiale. Se aggiunto alla crescente acidificazione del mare dovuto al cambiamento climatico innescato dalle emissioni gassose e dallo sversamento di acque tossiche nei mari del mondo, fornisce un quadro drammatico, le cui soluzioni continuiamo a diluire con qualunque scusa come nel rinvio a data post covid probabilmente, della introduzione delle plastiche biodegradabili in alcuni prodotti monouso, rimandato a data destinarsi con il decreto “mille-proroghe” del governo Conte2 di fine anno. Come se rimandare costasse meno anche per l’attuale situazione pandemica, mentre dall’altra si dice che il “green e sostenibile”, produrrà un nuovo sviluppo economico e milioni di posti di lavoro: detto e fatto appunto.

Scrive WWF nel suo incipit al programma “plasticsmartcities”: oggi si stima che il 60% dei detriti marini di plastica provenga dai centri urbani, poiché i corsi d’acqua inquinati trasportano l’inquinamento da plastica nell’oceano. Quasi la metà di tutti i prodotti in plastica è stata infatti prodotta dopo il 2000 Questo problema è stato sollevato da anni di studi e allarmi degli scienziati, ma oltre il 75% di tutta la plastica prodotta è già rifiuto. Sebbene le città aumenteranno rapidamente la loro densità di popolazione per rappresentare i due terzi della popolazione mondiale entro il 2050, devono esse anche continuare ad adottare soluzioni intelligenti che riducano l’impatto collettivo delle loro comunità prospere. Sulla plastica, ciò significa prevenire, ridurre al minimo e gestire la plastica, sia come risorsa, sia come minaccia globale per i nostri oceani.” ….E campi coltivati e montagne…ci sarebbe da aggiungere.

I numeri del costo dei vecchi e nuovi rifiuti plastici per l‘economia del Pianeta è di 8 miliardi di euro all’anno, come stimato nel rapporto 2016 Marine Litter Vital Graphics di Unep (United Nations Environment Programme) e Grid-Arendal. “Su scala europea, secondo uno studio commissionato ad Arcadis dall’Unione Europea, il marine litter costa 476,8 milioni di euro all’anno. Una cifra che prende in considerazione solo i settori di turismo e pesca perché non è possibile quantificare l’impatto su tutti i comparti dell’economia. In particolare, il costo totale stimato per la pulizia di tutte le spiagge dell’Unione Europea è pari a 411,75 milioni di euro, mentre l’impatto sul settore pesca è stimato intorno ai 61,7 milioni di euro.” Costa a chi? Di certo alle generazioni future visto che oggi si continua – alzi finalmente la mano chi è mosca bianca – a imitare gli struzzi.

Venezia è l’unica città marinara italiana che ha aderito al protocollo promosso dal WWF internazionale e che sia fonte di imbarazzo questo disinteresse sparso per gli oltre 8000 km di coste italiane. Il WWF spera di arrivare a 1000 entro il 2030. Auguri, se continua questo lassismo. Certo, osserveranno ora i benpensanti scaricabarile di turno, chi inquina di più sono i Paesi manifatturieri asiatici a basso costo di mano d’opera: questi però realizzano la maggior parte dei loro prodotti per i ricchi e spesso egoisti mercati sviluppati oltre oceano a est e ovest, tra cui quelli italiani che pretendono ma pagano poco e agevolano lo sviluppo della mentalità industrializzata che vogliamo abbandonare di qua: produrre, consumare, gettare perchè recuperare costa.

Così ecco che l’iniziativa del Comune di Venezia e della Comunità rappresenta un valore prima ancora di una azione, che però si impegna a realizzare. Si legge dunque nella delibera: “il Comune di Venezia si impegna ad attivarsi per eliminare la dispersione di plastica in natura (No Plastics in Nature) entro il 2030; a sviluppare un piano d’azione entro 6 mesi dalla sottoscrizione della dichiarazione d’intenti e ad avviare un progetto pilota all’interno di un’area designata con l’obiettivo di ridurre l’inquinamento da plastica del 30% entro due anni; a promuovere il coinvolgimento all’iniziativa di settori chiave e parti interessate nella valutazione e nel miglioramento delle politiche, dei servizi e dei finanziamenti per prevenire la produzione di rifiuti di plastica e promuovere la loro gestione con soluzioni circolari; a nominare un membro interno del personale che faccia da guida per l’iniziativa Plastic Smart Cities a Venezia; a sviluppare un piano di monitoraggio delle attività con baseline e target annuali ed a condividere i progressi con il WWF attraverso le proprie attività di reporting”…..e termina con le altre cose da fare come: ”la definizione di un piano di monitoraggio (City Action and Monitoring Plan); e il monitoraggio delle misure intraprese e l’implementazione del piano d’azione (Implementing the City Action Plan) e iniziative di comunicazione e coinvolgimento pubblico.” L’impegno anche per noi è a monitorare Venezia ma anche promuoverne l’imitazione nel nostro Comune di residenza.

Marco Benedetti
m.benedetticonsulting@gmail.com

Redazione

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