amianto Casale Monferrato

Processo Eternit Bis: le dichiarazioni del Sindaco

Processo Eternit Bis: le dichiarazioni del Sindaco. Proseguiamo nella riproposizioni di articoli sul processo Eternit Bis, legato alla città di Casale Monferrato, della giornalista Silvana Mossano. Parliamo oggi della presa di posizione del primo cittadino in sede processuale.

«L’amianto ha bloccato lo sviluppo della città»

Alcuni anni fa era stato bandito il concorso dal Comune di Casale per assegnare un incarico a tempo indeterminato nel settore tecnico. Un candidato che, con il punteggio acquisito, era stato inserito nella parte alta della graduatoria, alla fine non accettò. Rinunciò al posto fisso e sicuro, per paura di trasferirsi nella città dell’amianto. Che, poi, non finiremo mai di dirlo. Casale Monferrato non è la città dell’amianto, caso mai è la città che ha lottato e ha reagito contro l’amianto! Lo ha fatto per sé e per tutte quelle altre città che, nel mondo, si sono trovate intossicate, ingiustamente e inconsapevolmente, dalla fibra cancerogena.

Si insite a dire che, ora, non c’è nessun luogo al mondo dove si è sviluppata una così radicata sensibilità nei confronti della fibra e dove si sono fatte più bonifiche che in ogni dove. Il timore, però, non è ancora sradicato.

L’episodio è emerso all’udienza di venerdì 20 settembre del processo Eternit Bis. Il processo si svolge in Corte d’Assise (presieduta da Gianfranco Pezone, affiancato da Manuela Massino e dai giudici popolari), nei confronti dell’imputato Stephan Schmidheiny. L’accusa è di aver causato (omicidio volontario con dolo eventuale) la morte per amianto di 392 casalesi. E’ dell’amianto impiegato nella produzione di lastre e tubi allo stabilimento Eternit che si discute. L’imprenditore svizzero lo ha gestito direttamente dal 1976 al 1986.

«Il programma di bonifica a Casale è iniziato nel 1997, con l’arrivo dei primi fondi dedicati» ha esordito l’architetto Piercarla Coggiola. Fin da allora se n’è occupato direttamente e dal 2010 è dirigente dell’Ufficio Ambiente Ecologia. Tra l’altro, il sindaco Federico Riboldi, anche lui teste al processo, ha sottolineato che «è una peculiarità di Casale la creazione di una autonoma Direzione Ambiente votata prioritariamente all’attività di bonifica. Aspetto che è invece assente in comuni di media grandezza paragonabili al nostro».

L’architetto Coggiola ha raccontato, con rigoroso puntiglio e precisione, le fasi storiche di cui è stato punteggiato il percorso di liberazione dall’amianto. «Amianto free» è l’anelito della collettività casalese. E ci si sta arrivando.

Quindi, nel 1997 si avvia il piano di bonifica. «Ma, già in precedenza, l’amministrazione aveva acquisito, con soldi propri, gli ex Magazzini Eternit di piazza d’Armi, bonificati e poi trasformati in multisala cinematografica e polo espositivo».

Inoltre, dal curatore fallimentare, il Comune aveva acquisito il corpo principale dell’ex stabilimento produttivo di via Oggero (abbandonato nel 1986) e l’area cosiddetta «Ex Piemontese».

«Già nel 1994 – ha documentato l’architetto Coggiola – era stato messo a punto il cosiddetto Piano Urban, per partecipare a un bando europeo. Con l’obiettivo di ottenere fondi da destinare a bonifiche, monitoraggi dell’aria e realizzazione della discarica dedicata all’amianto. Purtroppo, però, non era passato». Lavoro inutile? Niente affatto: «Era stato utilizzato, successivamente, per ottenere fondi dal cosiddetto Piano Seveso, appunto nel 1997». Fu definito un perimetro di 48 Comuni. Corrispondente all’area sanitaria dell’ex Ussl 76, con Casale Capofila. Casale tra l’altro nel 2000 divenuto «Sin», cioè Sito di interesse nazionale. Esteso su una superficie di 740 chilometri quadrati.

«Complessivamente, in tutti questi anni, sono stati assegnati, per diversificati interventi di bonifica, 120 milioni di euro. Di cui 64 ottenuti dallo Stato nel 2015» dopo la delusione della sentenza di Cassazione del maxiprocesso Eternit Uno.

Lo stabilimento

Il Comune lo acquistò nel 1995 e, immediatamente, attivò la commissione di studio per predisporre la bonifica. A ottobre ’97, appena giunse notizia dell’assegnazione dei fondi, fu approvato il progetto esecutivo. Fu avviata la gara d’appalto, ma l’assegnazione si inceppò perché la ditta Decam, seconda classificata, fece ricorso al Tar e poi al Consiglio di Stato. Alla fine vinse, ma si trovò subito in difficoltà. Così «Arpa e Asl divisero l’area in diversi settori, per ciascuno dei quali fu approntato un piano specifico e si procedette per tranches».

Da lì in poi filò tutto liscio? No, perché si trovò più amianto di quello previsto che fece lievitare le pratiche e slittare i tempi. Fino a che la fabbrica, bonificata e demolita, fu sepolta sotto una colata di calcestruzzo. Luogo che i casalesi chiamarono la «spianata». «Costo complessivo dell’intervento: 7 milioni di euro, sommando i 5,9 milioni della bonifica versati a Decam (incluse le spese di contenzioso e la ricopertura successiva con terra) e un milione e centomila euro per la bonifica sostenuta durante i lavori del Parco».

Parco «Eternot»

Sopra la spianata, è stato realizzato il Parco Eternot, cioè No Eternit. Costo 3 milioni di euro. Ed inaugurato il 10 settembre 2016. «Un’opera molto importante per la comunità casalese – ha sottolineato la teste – tanto che si festeggia il compleanno di questo luogo simbolo».

Percorso accidentato anche in questo caso. Ostacolato da contenziosi con la Coutenza dei Canali Lanza e Mellana. Inoltre dalla rilevata presenza di amianto nella fanghiglia sul fondo e sulle pareti del Lanza (si è bonificato il 1° lotto, a ottobre, in asciutta, si procede al secondo, e in autunno 2022 si concluderà con il terzo) e dal ritrovamento di rottami e polverino in alcuni capannoni che il fallimento Eternit aveva ceduto a privati. E che li avevano bonificati in modo molto approssimativo.

Palazzina ex uffici

Quando il Comune, con la ferma determinazione dell’allora giunta di Riccardo Coppo, comprò dal curatore del fallimento Eternit lo stabilimento, con la precisa intenzione di bonificarlo a regola d’arte, rimase esclusa dal blocco la palazzina degli uffici. Fu assegnata ad un altro creditore, che poi fallì. Nuovo inciampo. Passarono anni e amministrazioni. Fino a che si riuscì a sbloccare l’impasse. Il Comune l’acquisì per 63 mila euro mettendola in sicurezza. «Trovammo tanta polvere lì dentro. Ovunque, persino su una scrivania, su fogli di carta e penne abbandonate». Ha ricordato l’architetto Coggiola. Rimangono ancora alcune verifiche da completare, prima di destinare l’edificio a centro polivalente per attività museali, giovanili, didattiche.

La dirigente ha anche ragguagliato sul grave inquinamento individuato nell’area dell’Ex Piemontese, dove avveniva la frantumazione degli scarti. Una parte è stata liberata dall’amianto e vi è sorto l’asilo Verdeblu. Un altro polo, più distante, deve ancora essere bonificato.

La «spiaggetta»

«Era una vera e propria spiaggia generata dai reflui espulsi nel canale di scarico dell’Eternit, che finiva in Po». Ha spiegato la testimone. «Era una delle zone più pericolose, molto esposta ed estesa. 6500 metri quadri per una profondità di 5 metri. Il progetto di bonifica è cominciato nel 1998 e completato nel 2000. «Non potevamo portare via tutto il materiale. Così è stato realizzato un sarcofago con una tecnica innovativa basata su iniezioni di calcestruzzo liquido nel terreno». Coggiola ha ricordato che «pochissimo dopo l’ultimazione dell’intervento, a ottobre 2000 arrivò l’alluvione; beh, è stata una sorta di collaudo: l’opera ha tenuto». Dopo, è stata ri-naturalizzata e non si vede più la differenza con il resto del paesaggio.

Discarica Bagna

«Pensavamo a quest’area lungo il greto del Po come a un sito inquinato per lo sversamento di diversi tipi di rifiuti chimici. E come tale pensavamo di trattarlo. Ma, dopo l’alluvione del 2000, nella discarica Bagna venne fuori anche l’amianto». Ha spiegato la dirigente. E si è dovuto bonificare pure quello.

Baracche sul fiume

Sono le costruzioni realizzate nei decenni come luoghi ricreativi integrati nell’ambiente fluviale. Ma per costruirle furono impiegati molti pezzi d’eternit. «Stiamo monitorando le baracche, cercando di individuarne i proprietari o capire se sono abbandonate». Una, in particolare, la c.d. «baracca di Radames» dal nome del suo proprietario, ha reso necessario un intervento piuttosto impegnativo. «Fatiscente, con pareti di eternit e pure polverino nel basamento. E’ stata bonificata, demolita e, al suo posto, si è realizzato un piccolo belvedere rialzato con suggestiva visione verso il Po».

I tetti di «eternit»

Nel corso di oltre due decenni sono stati eseguiti censimenti a tappeto. Le coperture d’amianto negli edifici pubblici dei 48 Comuni del «Sin» sono state praticamente quasi tutte rimosse e sostituite. Alcuni esempi. Ex Magazzini Eternit, scuole, Mercato ortofrutticolo (che di recente, tra l’altro, è stato abbattuto), Biblioteca, tribuna dello stadio Natal Palli. Ed ancora l’ospedale Santo Spirito, il poliambulatorio in via Palestro, il casermone e altri nei paesi.

Anche molti cittadini privati, grazie ai contributi messi a disposizione e alla campagna di sensibilizzazione, hanno bonificato case, rimesse, capannoni e piccole superfici. «Si possono ancora fare richieste di contributi: bonificheremo l’amianto finché ce n’è». Ha spiegato la dirigente.

Il polverino

Questo è il più dannato. Scarto di produzione che è stato trovato nei luoghi più disparati. Nella piazza di Ticineto («dove è stato sperimentato un metodo “bagnato” che abbiamo dovuto inventare qui»), nei vialetti del cimitero dello stesso paese. Come all’ex palazzo Cova Adaglio, ora Media Trevigi, nel cortile del castello Paleologo e nel sagrato della chiesa di Odalengo Grande. Ed ancora in campi di bocce, cortili di condomini, sottofondi di piazze e strade private. Infine nel cortile della casa di riposo e in quello dell’Istituto superiore Leardi (di quest’ultimo si è fatta carico la Provincia).

Discarica dedicata

«Il Comune di Casale ha rinunciato a vendere lotti appetibili. Rinunciando ad un valore di un milione e 400 mila euro nella zona industriale di strada Valenza. Per destinarli invece alla realizzazione di una discarica specifica per l’amianto, con vasche diversificate per lastre dismesse e polverino. La discarica, realizzata a partire dal 2001, è gestita direttamente dall’ente pubblico. «Un caso raro, solitamente se ne occupano società private». Ha spiegato l’architetto Coggiola, referente tecnica dell’impianto. «Uno strumento fondamentale che ha consentito di svolgere, velocizzare, incentivare e contenere i costi delle bonifiche». All’Arpa regionale è demandato il compito di eseguire costanti ispezioni a sorpresa, per monitorare la correttezza della gestione.

IL SINDACO RIBOLDI

L’anno in cui Federico Riboldi, sindaco di Casale dal 2019, nasceva, cioè il 1986, veniva chiusa, anzi abbandonata dopo il fallimento, la fabbrica Eternit. Dopo 80 anni di attività.

Proseguendo nel solco delle amministrazioni che l’hanno preceduta, la giunta Riboldi si trova ancora oggi ad affrontare le conseguenze di quella attività industriale. Il sindaco ne ha dato testimonianza all’udienza in Assise di venerdì 20 settembre. Evidenziando «il grande sforzo della collettività di Casale e delle amministrazioni avvicendatesi. La città è un simbolo nel mondo. Un esempio per le bonifiche d’amianto».

Il PM Gianfranco Colace ha chiesto conto al sindaco dei costi che la comunità si è trovata a sostenere.

«Il primo grande prezzo, incalcolabile, è senza dubbio quello delle vittime, con la scia di dolore immenso e una popolazione impoverita».

Riboldi ha poi richiamato le spese sostenute anche con risorse attinte dai bilanci comunali. «Sia per acquisizioni sia per contenziosi legali». Oltre che per la rinuncia a incassare congrue somme dalla vendita di lotti industriali. Lotti invece destinati alla realizzazione della discarica per l’amianto.

Riboldi si è pure soffermato molto sul «danno di immagine causato dall’amianto. Con ricadute fortemente negative che hanno bloccato alcune fasi importanti dello sviluppo. Hanno scoraggiato insediamenti di imprese e di nuove famiglie a causa dei timori generati dall’inquinamento. Ed hanno inciso sulle attività scolastiche e sportive e, molto, sull’attrazione turistica».

Il sindaco ha altresì ricordato come le pratiche amministrative a sostegno delle bonifiche hanno rallentato l’attività della macchina comunale.

«La cosa più terrificante è il fatto di aver abbandonato una bomba ecologica di questo tipo vicino a case e scuole. In mezzo alla gente».

E Schmidheiny, o qualcuno legato a società del suo gruppo, si è mai offerto di contribuire alle bonifiche? si è informato il pubblico ministero Colace. «Che io sappia no».

Però un abboccamento inconsueto c’è stato. «A novembre 2017, quando ero vicepresidente della Provincia. Il rappresentante di un’impresa nel settore sanitario, sapendo che sono di Casale, mi avvicinò. Proponendomi un lavoro, non meglio precisato, sull’immagine del territorio di Casale». E come andò? «Ne parlai informalmente con la dottoressa Daniela Degiovanni. Mi suggerì di dire a questa persona che, prima di avviare qualsiasi discorso, mettesse per iscritto che non aveva nessun legame con Schmidheiny o l’Eternit. Seguii il consiglio e gli mandai un WhatsApp». E allora? «Non si fece più vivo».

LA FIGLIA DELLA PANETTIERA

«A mia mamma fu diagnosticato il mesotelioma a novembre 2001. E lei subito: “Non c’è niente da dire, tanto sappiamo tutto”».

La figlia Giovanna Patrucco che, al Ronzone, è vissuta, laureata in Chimica, dirigente prima all’Ospedale Mauriziano di Torino poi al Sant’Andrea di Vercelli, ha raccontato il quartiere dell’Eternit nei decenni in cui i genitori gestivano la bottega poco distante dalla fabbrica. «Noi si abitava nel retrobottega, a quell’epoca, per chi aveva un negozio alimentare, era così. Molte operaie e operai erano nostri clienti: pane, formaggio, salame, prosciutto. Li conoscevamo bene per nome e si instaurava una certa confidenza».

Sua madre, molto scrupolosa nel cercare di preservare gli alimenti, usava uno scopino per picchiettare sulle tute dei clienti. Tirando via un po’ di polvere prima di farli entrare in bottega.

«La polvere era la porta d’ingresso del Ronzone. Si trovava ovunque. Quando si è dovuto riverniciare le persiane, mia mamma disse di farle grigie per non far vedere la polvere!”».

La memoria della testimone è vivida: «Ricordo tutto. I cortili erano coperti di polvere, e così i marciapiedi, e le stecche delle persiane. Le strade ne erano sepolte, la polvere nascondeva addirittura i binari del “tramvai”. Ed i miei genitori si raccomandavano che stessi attenta quando andavo in bicicletta per non finirci dentro, ai binari».

Le scarpe, poi. «Che rabbia arrivare a scuola che erano tutte impolverate!».

E l’area ex Piemontese? «Lì si frantumavano gli scarti e salivano su delle nuvole. Gli scarti li usavano in molti. A casa mia, per esempio, delimitavano l’aiuola. Invece, il cortile del vicino, Bruno Besso, poi morto di mesotelioma, era stato livellato col polverino».

Poi c’era la «spiaggetta»: «Oh, sì, da piccoli andavamo a fare il bagno, da ragazzine a prendere il sole. E la domenica si facevano le grigliate. Per noi era una piccola riviera».

Polvere, polvere e manifesti da morto. «In casa mia si percepiva che qualcosa non andava. C’era una sensazione di allerta».

Così, la diagnosi di mesotelioma fu uno choc, ma non proprio una sorpresa… «tanto sappiamo tutto…».

«Mia madre era consapevole di quel che l’attendeva e volle firmare personalmente l’esposto contro l’Eternit. Aveva tanta rabbia perché quella che le era piombata addosso la sentiva come una grossa ingiustizia. Per sé e per tutti quelli che sono morti. E che lei conosceva personalmente. Non solo lavoratori, ma anche cittadini. Dopo il 1980 era morto un maestro elementare. E poi c’è stato il Piercarlo Busto, un parente carissimo della mia famiglia».

Giovanna Patrucco si ferma. Raccoglie i pensieri, cerca di dare un ordine. «Forse è paradossale quel che dico – si ferma, prende fiato. Mia mamma ha sofferto più per l’ingiustizia subita che per il dolore fisico della malattia».

PROSSIMA UDIENZA

Alla prossima udienza, lunedì 27 settembre, sarà esaminato Paolo Rivella, consulente della procura.

CHIOSA CONCLUSIVA

Il sindaco Federico Riboldi è convinto. Lo ha detto venerdì ai giudici d’Assise«la campagna giornalistica contribuì a diminuire l’appeal della città».

Ricorda i numerosi servizi che i giornali dedicarono, negli anni, alle varie battaglie sindacali e ambientali. Alle diverse fasi giudiziarie. Alle bonifiche con avanzamenti e intoppi. Ai solleciti nei confronti della ricerca di una cura. Ed anche alla tragica documentazione delle morti, con le singole storie dolorose delle vittime. Ecco questi servizi avrebbero diffuso un’immagine poco bella di Casale. Offuscando le bellezze, reali e incontestate, d’arte e paesaggio, che contraddistinguono questo territorio cifrato Unesco.

Non interferisco sulla testimonianza, ma una chiosa è indispensabile. Rispetto il punto di vista del sindaco Riboldi, ma, mentre condivido molte delle osservazioni che ha fatto, su questa dissento con forza.

Dico che se la città di Casale Monferrato è diventata, come tra l’altro ha sottolineato con orgoglio Riboldi in aula, «un simbolo nel mondo», è grazie alla voce instancabile che i giornali e i giornalisti hanno dato alla sua battaglia intrepida. E alla sua resilienza dignitosa. Soltanto così si è potuto sapere nel mondo intero che, in questo territorio suggestivo e ricco di bellezze naturali e architettoniche, vive una popolazione fiera e coraggiosa. Che tiene su la testa e ritta la schiena.

Ricordo, con amarezza e sdegno, che ci sono state molte iniziative e molti tentativi per tacitare le voci, relegandole al più a un fastidioso rumor. Come era scritto e auspicato nel famoso «Manuale» dell’Eternit che addestrava a mistificare e minimizzare i danni nefasti dell’amianto. I giornali e i mezzi di informazione di questa terra non si sono lasciati zittire. E, forse, proprio questo è l’aculeo più fastidioso per chi – più o meno consapevolmente, lo decideranno i giudici – tanto dolore ha causato.

Traduzione a cura di Vicky Franzinetti

SILVANA MOSSANO

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