Ecco perché l’Italia è fanalino di coda per Internet e Servizi Digitali

L’Italia è fanalino di coda per la rete Internet e i servizi digitali. Ecco l’inchiesta di Sergio Ferraris, Giornalista scientifico, caporedattore “L’Ecofuturo Magazine”

Pochi byte per lo Stivale

Diciottesimo posto. Su 27. Questa è la posizione per il 2022, dell’Italia nell’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI), stilato annualmente dall’Unione Europea. La terza economia dell’Europa a quota 27 è dietro a paesi quali la Lettonia, la Slovenia, la Lituania e la Polonia. Per non parlare di quelli del Nord Europa che occupano tutti le tre posizioni da medaglia.

È un quadro impietoso, quello tracciato dall’indice DESI 2022 che non ha riflessi solo sugli aspetti economici e industriali in termini di mancato Pil oppure di qualità di vita dei cittadini, ma che è una vera e propria spada di Damocle sull’intera società italiana. Se prendiamo, infatti, la voce “capitale umano”, ossia quella che da più parti si invoca come una risorsa, passiamo al 25mo posto su 27 paesi dell’UE. Penultimi. Nel dettaglio si evince che solo il 46% degli italiani possiede perlomeno competenze digitali di base. Dato al di sotto della media UE pari al 54%. Un divario che si riduce quando prendiamo come campione la popolazione in possesso di competenze digitali superiori a quelle di base. In questo caso l’Italia ha il 23% contro il 26% dell’Unione Europea.

Per quanto riguarda il futuro però il panorama si fa fosco. L’Italia ha una percentuale molto bassa di laureati nel settore TIC (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) pari all’1,4 % dei laureati italiani. Sono già meno rispetto al resto d’Europa. Del resto il settore dell’informatica e delle telecomunicazioni ha indici d’attività bassi. La percentuale di specialisti del settore, presenti sul mercato del lavoro, è pari al 3,8% dell’occupazione totale. Ancora al di sotto della media UE del 4,5%. Allo stesso tempo solo il 15% delle imprese italiane eroga ai propri dipendenti una formazione in materia di TIC, contro il 20% della media UE. Sulla questione di genere, Italia ed Europa sono allo stesso, basso livello. Le donne nel settore digitale sono il 16% degli specialisti contro il 19% della UE. Un quadro non esaltante, quello italiano, che affonda le sue radici nella storia recente del Bel Paese.

Occasioni perse

Per capire la questione dell’arretratezza della rete italiana, sia sotto il profilo materiale sia culturale è necessario tracciare un po’ di storia dell’informatica in Italia. Andiamo a Ivrea dove nel 1962 un gruppo di ricerca dell’Olivetti, guidato dall’ingegnere Pier Giorgio Perotto, inventò il primo personal computer da tavolo, il P 101 detto anche Perottina. Ciò accadeva circa quindici anni prima dell’avvento di altri computer da tavolo. E siamo ancora prima dell’invenzione del microprocessore da parte di un altro italiano, sempre allevato all’Olivetti ma emigrato negli Stati Uniti. Parliamo di Federico Faggin che nel 1970 creò il 4004 per un’azienda che sarebbe diventata un colosso dell’informatica: l’Intel.

Nel frattempo, la divisione grandi calcolatori della Olivetti di Pregnana, stabilimento che era in diretta concorrenza con aziende statunitensi dell’informatica quali IBM, fu ceduto alla General Electric, dalla nuova gestione della Olivetti subentrata alla scomparsa di Adriano Olivetti nel 1960 e capitanata da Vittorio Valletta – capo indiscusso della Fiat, entrata nel capitale di Olivetti – che nella relazione del Bilancio Fiat del 30 aprile 1964 affermava: «La società di Ivrea è strutturalmente solida e potrà superare, senza grosse difficoltà, il momento critico. Sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana potrà affrontare».

Una visione che Michele Mezza – nel volume “Avevamo la luna” (Donzelli, 2015) definisce: «Una lapide, più che un’opinione per il futuro della Olivetti. Valletta anche semanticamente sceglie i vocaboli in modo da dare tutti i messaggi necessari. Nell’elettronica l’Olivetti si è “inserita”, intromessa, indebitamente mescolata con i più grandi. Questo è il peccato originale che bisogna sanare». Si perse così il treno sul quale Adriano Olivetti aveva investito per dieci anni. Disperdendo così un patrimonio di conoscenza unico in Europa e alla pari con quello degli Stati Uniti. Anche la Perottina non ebbe seguito, nonostante il successo commerciale fatto dai 44 mila esemplari venduti. Tra i quali ci furono quelli usati dalla NASA per le esigenze di calcolo degli sbarchi sulla Luna…. continua a leggere gratis l’inchiesta su L’ECOFUTURO MAGAZINE

Redazione

Articoli correlati