Produzione di Fibra di Canapa in Italia: Una Vocazione Dimenticata

La produzione di fibra di Canapa in Italia è ancora al palo nonostante una vocazione centenaria. Perché tornare a parlarne. Un articolo di Marco Benedetti, vicepresidente Ass. Chimica Verde Bionet, R&D manager Green Evolution.

Se c’è una produzione agricola che potrebbe offrire 6 vantaggi economici agli agricoltori è quella della canapa industriale. Per la produzione di fibra, come per la produzione di semi per l’estrazione di olio e farine alimentari, come per la produzione di biomassa residua ricca di princìpi attivi di interesse nutrizionale, cosmetico ed erboristico.

Una varietà come la “Futura75”, tra le più coltivate in Europa, si presta alle seguenti attività per es.:

  • 1 Raccolta del seme per la spremitura per uso alimentare e cosmetico;
  • 2 Estrazione della fibra tessile attraverso processi naturali come quelli enzimatici che, semplificando, in questo caso riproducono in modo accelerato quello che succederebbe in natura, lasciando al contrario marcire i fusti sul terreno in molti mesi esposti alle intemperie;
fibra di canapa
  • 3 Estrazione e uso del canapulo che si trova all’interno del fusto della pianta, quello che è circondato dalla “corteccia” da cui si estrae invece la fibra tessile. Estremamente poroso, leggero, ottimo termoisolante usato in edilizia in mescola con la calce;
  • 4 Recupero e trinciatura omogenea dei residui di trebbiatura da destinare ad aziende specializzate nell’estrazione di princìpi attivi per uso cosmetico o salutistico.

Le ricchezze 5 e 6 riguardano benefici ambientali (per la tutta la comunità) e comunque un risparmio di costi quali:

  • 5 La riduzione di consumi di acqua per coltivazione per ettaro, rispetto ad altre coltivazioni, essendo la pianta di canapa una di quei pochi casi in agricoltura (anche industriale) che in genere non richiede irrigamenti specifici.
  • 6 La pulizia del suolo e lo stoccaggio di carbonio, con riduzione di emissioni alteranti per il clima, grazie alla capacità di radicazione della pianta in terreni marginali, inquinati e impoveriti anche dall’uso sconsiderato delle coltivazioni industriali nei decenni scorsi e dalla convinzione che il cibo a buon mercato della nostra società del benessere é una conquista della civiltà e non una speculazione finanziaria.

Ci sono infine altri due punti di forza per la comunità degli esseri viventi:

  1. Un ettaro di coltivazione a canapa produce 4 volte l’ossigeno prodotto da un ettaro di una foresta, come ci ricorda uno studio pubblicato su iopscience.iop.org.
  2. La canapa cresce in 4 mesi, mentre gli alberi crescono in vari anni. Per cui offre un materiale assai più rapidamente rinnovabile del legno, che può sostituire in parecchie applicazioni con analoghe se non migliori prestazioni tecniche dalla carta ai pannelli isolanti. Come per es. nel caso dei prodotti di aziende come Tecnocanapa bioediliza o Brebey: la prima che usa il canapulo e la seconda la fibra (assieme alla lana) per termo isolamento.

La Fibra di canapa è tutt’oggi una fibra necessaria

Soffermandosi in particolare sul punto 2, la visione che in genere ha la società contemporanea circa la fibra di canapa è spesso ancora quella romantica, ancorata alla vecchia generazione. Cioè materiale robusto destinato a durare nel tempo che è la contrapposizione netta al concetto di fast (fashion) e perciò politicamente corretta a prescindere. In realtà la fibra di canapa va considerata una (ri)scoperta proprio per gli aspetti tecnici, non limitata ai cordami delle navi per giustificarne la robustezza o del corredo della nonna, quanto piuttosto a due proprietà in massima parte sottovalutate.

La sua resistenza ai batteri (per es. quelli della bio-degradazione), che ovviamente la fibra parzialmente perde quando passa da un ciclo di candeggio (per “igienizzazione” o più semplicemente per ridurre/sbiancare della tonalità/colore originario). Ma la proprietà può essere facilmente reintegrata, anche se in modo artificiale. Grande vantaggio questo per es. nelle applicazioni industriali, quali il termoisolamento dei tetti (www.brebey.com) o l’arredamento, come supporti, feltri ma anche geotessili. Ne allunga la vita, contrasta la formazioni di muffe e quindi anche gli odori derivati dallo sviluppo di flore batteriche, comunque utili anche in applicazioni per abbigliamento (www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0926669021011535 | www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8911747/ | www.elgalabwater.com/blog/identifying-antibacterial-compounds-industrial-hemp)

Data la sua permeabilità si presta alla tintura industriale in mista con altre fibre e in puro, come anche all’utilizzo di coloranti naturali (ncbi.nlm.nih.gov)

La resistenza alla luce ultravioletta (UV) ne fa un ottimo prodotto per l’uso estivo in abbigliamento, per le pelli sensibili. Ma diventa un ottimo schermo per tendaggi. Ed anche un ottimo isolante protettore per mantenere intatte, per es., le caratteristiche organolettiche del vino durante la mescita e l’utilizzo al tavolo piuttosto che alla conservazione in ambiente domestici utili nei prodotti anche destinati ai bambini e alle persone più fragili

La resistenza alla fiamma. Questa proprietà consente di utilizzarla come l’altra fibra naturale, ma di origine proteica: la lana. Vergine o “cotonizzata” come si dice in gergo tecnico (cioè le fibre “tessili” sono elementarizzate e volumizzate) a contatto con il fuoco, non innesca la fiamma ma carbonizza, soprattutto non trasmette il calore (ritardante di fiamma) al contrario le fibre sintetiche (plastiche) che richiedo iniezioni di particelle di fosforo per es, molto irritante al contatto con la pelle, che ferma lo sviluppo della fiamma ma non lo scioglimento, creando pericolo gocce bollenti di materiale fuso che a sua volta possono innescare le fiamme a contatto con altri tessili)

È una fibra antistatica – cioè molto stabile: non conduce elettricità, quindi è un ottimo isolante.

Si presta come poche altre fibre naturali ed artificiali alla produzione di compositi ovvero prodotti per applicazioni tecniche e tecnologiche, dimostrando alta resistenza meccanica, come anche alta flessibilità. Quando in mescola con moderne e tecnologiche fibre da bio-polimero (da biomassa e biodegradabile a fine ciclo), offre la possibilità di rinunciare alle pericolose per l’ambiente miste di fibre sintetico+naturali dal fine vita disomogeneo e quindi destinate, anche dopo una potenziale seconda vita (riciclo/riuso), ad essere bruciate senza reinserimento in natura (come la biodegradazione consente), al contrario di come richiederebbe la EU e soprattutto la logica di sostenibilità.

Di ricerche scientifiche, studi e dimostrazioni scaricabili è pieno il web, per chi vuole divertirsi a saperne di più. Ma è la stessa storia della fibra che ce lo insegna, se non si continuasse a ficcare la testa sotto la sabbia. E’ il compito dell’ecodesign sarà dimostrarne la fattibilità e l’utilità anche sociale, non solo tecnica o ideologica.

Indebolimento (politico) e perdita della filiera

Infatti il problema sembra proprio questo. Da un lato abbiamo potenzialità come la fibra di canapa con tutte le sue proprietà e spazi produttivi da sottrarre al declino produttivo nonché competenze agricole, ma al contempo l’Italia oggi non è, nei fatti, salvo alcune eccezioni di nicchia rispetto la consumo, un produttore di fibre né naturali né industriali. Allora perché la filiera della fibra di canapa non (RI)decolla? Questione tecnica o politica?

Secondo uno studio della Università La Sapienza di Roma del 2010 il consumo di fibre tessili in Italia era di 70 miliardi di KG (per un rapido confronto: 1 shirt pesa 0,150 kg e un paio di jeans 0,700 kg) di solo 37% fibre naturali. Sicuramente oggi questi dati sono, per varie ragioni sia commerciali che industriali, sicuramente diminuiti. Ma uno studio pubblicato da sito “solomodasostenibile.it conferma un consumo di abiti, scarpe, arredamento, quindi soprattutto di fibre, di 15 kg per ciascun cittadino italiano. Moltiplicato per 58 milioni significa comunque 870 milioni di kg. Il che conferma indirettamente comunque la vocazione all’esportazione del sistema tessile/moda italiano. Quindi cifre ragguardevoli comunque.

Infine siamo il Paese della EU che detiene il primato europeo (60%) della produzione di Moda con la M maiuscola. Siamo riconosciuti globalmente per la creatività, abbiamo le competenze tecniche su tutta la filiera industriale del ciclo tessile. Esportiamo macchine del ciclo tessile in tutte le aree del globo, Cina inclusa, nonostante sia un copiatore eccezionale.

In Italia oggi non produciamo, se non marginalmente rispetto al consumo, le fibre tessili. Non quelle artificiali, seppure la Viscosa fosse una sviluppo tutto Italiano. Mentre il maggior produttore mondiale di questo tipo di fibre cellulosiche è appena fuori confine, in Austria. Ci sono eccellenze italiane nel campo delle fibre sintetiche, ma i numeri sono comunque relativi rispetto all’importazione. La fibra dl polipropilene (PP) è anche questa fibra di sintesi, storia italiana. Infine la produzione di fibra di poliestere (PET) è pressoché marginalizzata nell’arco di un trentennio. Anche quella riciclata da bottiglie oggi largamente importato non solo dall’Asia, ma certo non più tanto dalla Europa continentale.

Le fibre naturali come la lana per abbigliamento (e arredamento, salvo nicchie) sono tutte importate con progetti di recupero, spesso inibite da un sistema finanziario non lungimirante. Lino idem come la fibra di canapa, di cui subito dopo la guerra eravamo ancora produttori. Questa invece resta, guarda caso, in appannaggio a diversi Paesi del Nord Europa (Belgio, Francia, Lituania, tanto per citarne alcuni) per produzione e utilizzo. Sia in campo tessile, abbigliamento/arredamento che edilizia.

fibra di canapa

La filiera della lavorazione della canapa per la produzione di fibra tessile in Italia si è dunque persa, nonostante tentativi di rivitalizzazione da parte di coraggiosi o “improvvidi” imprenditori privati nonché l’impegno di Federcanapa, soprattutto per gli aspetti legati alla produzione agricola, ovvero di processo in campo (tecnica di lavorazione/estrazione) più che di processo tecnico tessile, a partire dalla “degommazione” necessaria per l’estrazione della fibra tessili dalla corteccia.

Questo mentre assistiamo oggi ad un primo lancio “di immagine” del cotone italiano (di cui abbiamo appena iniziato una prima timida ma promettente produzione grazie – se possiamo dire così – al cambiamento climatico). Siamo stati pionieri e quindi utilizzatori delle fibre naturali come ramie, ortica e ginestra, oggi smarrite o giù di lì se non per produzioni di nicchia, diventando alla fine un Paese costretto all’importazione di materia prima piuttosto che di semilavorati, lasciandoci il primato solo del gusto della fantasia e della tecnica e….dell’immagine. Tutto questo quando con l’attuale governo si predica la valorizzazione delle eccellenze italiane e del made in Italy! (vd: what-is-hemp-fiber-and-hemp-fabric).

Prospettive future potenziali

Occorre essere realisti, ma anche tecnicamente preparati e forse ancora un po’ visionari.

La produzione di fibra di canapa in Italia per uso sia tessile abbigliamento/arredamento che tecnico, non è sufficiente. Quella usata da noi proviene infatti dal Nord ed Est Europa. La certezza è che lo potrebbe essere, soprattutto se nella produzione di capi di abbigliamento, sia quotidiano che da lavoro, si guardasse più a cosa serve un capo, alla sua bellezza ed efficacia, piuttosto che a rincorrere il branding per tutti – leggi: fast fashion – che punta al prezzo basso e al volume per unità di vendita. Ma arriverà anche per i brand la necessità di usarla. E’ fatale e lo sarà in contrapposizione all’uso indiscriminato delle fibre sintetiche di massa quali il poliestere (scelto principalmente per il prezzo basso, combinato con la resistenza meccanica).

Per raggiungere questo necessario obiettivo si dovrà però cambiare o aggiornare anche la dinamica produttiva: da filatura per fibra lunga (la filatura ad umido tipica liniera) a fibra più corta – detta anche “cotonizzata”. (vd. foto 3) – utile certamente per la filatura cotoniera ma anche laniera.

fibra di canapa

Lo sarà soprattutto per le sue proprietà meccaniche e fisiche (resistenza, mano, tingibilità, assorbimento, flessibilità), ma anche per consentire quel fine vita coerente dei materiali che costituiscono il capo di abbigliamento. Come indica giustamente la strategia del tessile varata dalla comunità Europea nel 2023, sollecitando un modo diverso di creare un prodotto tessile (ecodesign) dal momento che le mescole ormai entrate in quasi tutti i prodotti tessili arredo e abbigliamento, tra fibre sintetiche e naturali, sono ad oggi inseparabili, se non perdendone una delle due nel riciclo chimico o tutte e due nei termo(s)valorizzatori. Il che vuol dire gettare al vento un capitale di ingegneria, energia, creatività, risorse.

In questo processo di recupero, riuso e upcycling di risorse inespresse ad oggi, occorre comunque notare che, mentre i materiali cellulosici naturali o artificiali derivate da piante (canapa, lino piuttosto che, rayon, lyocell o tencel) spesso si possono integrare tra loro nel fine vita (biodegradabile), i polimeri sintetici, come polipropilene, poliestere o poliammide, quando mescolati tra loro (da fibre piuttosto che imballaggi), non si combinano facilmente assieme, non garantiscono resistenza nel tempo, avendo strutture diverse (reazione alla temperatura, alla luce, alla abrasione, temperatura di fusione ecc), se non avviati al riciclo quando provenienti da una selezione a monte molto accurata.

Questo vale anche per il recupero di fibre proteiche come seta (filamento continuo) piuttosto che lana (fibra), anche se biodegradabili e entrambe presenti in natura: le tecniche di lavorazione nel ciclo tessile restano invece distinte. Infine la fibra di canapa “cotonizzata” può essere largamente usata nella produzione di beni monouso come salviette secche o umidificate per es, in sostituzione della fibra di poliestere che è largamente usata mescolata assieme alle fibre cellulosiche come viscosa o nei casi migliori con il cotone vergine anche da rigenerato, una volta candeggiato/sterilizzato in acqua ossigenata per uso nei prodotti igienici (e non solo per “sbiancare” la fibra come invece pensiamo siano in natura, le fibre di cotone).

La conclusione è che occorre tornare ad investire nello studio della fibra tessile di canapa e ridurne il costo grazie anche alla tecnologia estrattiva e tecnologia produttiva. E sarebbe utile lo si facesse con l’appoggio dello Stato Italiano e non con il suo boicottaggio ideologico. Gli imprenditori agricoli e della filiera tessile mostrino più coraggio ad investire in ricerca.

Marco Benedetti

https://ecquologia.com/la-canapa-per-bonificare-acque-e-terreni-contaminati/

Redazione

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