Piante ed erbe selvatiche: una delle tante gratuità di Madre Terra

In questi oscuri tempi di profonda crisi di sistema, proprio di quel modello consumistico che appena cinquanta anni fa ci prometteva “benessere senza limiti”, è fondamentale per me scoprire tante fortune che ho avuto nella mia infanzia, per avere oggi degli antidoti fondamentali che mi premettono di essere resiliente alle sempre più pesanti condizioni esterne.


La prima fortuna è stata sicuramente quella di vivere la mia infanzia, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, in quella civiltà contadina toscana in via di smantellamento, la seconda è indubbiamente il fatto di vivere ancora comunque in campagna. In tutto questo contesto tante persone care che non ci sono più, ed in particolare mia nonna, che nel suo analfabetismo sopperito in tarda età dai corsi serali (erano i tempi del mitico Alberto Manzi), è stata per me un autentico bacino di culture e di saperi, oggi attualissimi più che mai, in quella profonda sobrietà del recuperare tutto il recuperabile. Tra grandissimi valori che lei, che era nata nei primissimi anni del ‘900, mi ha tramandato, oltre alla immensa passione per i funghi e la micologia, anche quella per le erbe selvatiche per uso alimentare. Si tratta di un autentico giacimento di benessere in termini nutrizionali ma anche terapeutici, quello che le erbe spontanee ci offrono gratuitamente, sapendole riconoscere ed apprezzare, ciascuna con le rispettive proprietà organolettiche e terapeutiche. La stagione delle erbe spontanee, apertasi come ogni anno sul finire dell’inverno, nell’ancora freddo mese di febbraio, sta per concludersi visto che molte di loro, come lo splendido “rosolaccio”, stanno per lasciare posto alla fase floreale, che per il rosolaccio evolverà in uno dei simboli più belli dei fiori spontanei come ilpapavero. Nelle mie tante uscite anche di quest’anno, nelle bellissime campagne toscane vicino casa, riesco a percepire in pieno la fortuna di vivere in campagna e l’immensa generosità del creato. In questo variegato mondo, autentico serbatoio di virtù tramandato, che si offre nella gratuità della primavera, tra quelle per uso gastronomico oltre alrosolaccio (papavero), anche il tarassaco, la cicerbita, la cicoria selvatica, laborragine, l’erbuccia selvatica, quella che dalle mie parti chiamiamo “zampa di elefante” etc..

cicerbita
cicoria_selvatica
erbuccia
Rosolaccio-2
tarassaco
borragine

Molti diranno che quando cerchi le erbe devi guardare per terra, io devo dire che a me succede diversamente perché guardando per terra è come se vedessi il cielo che si specchia sulla terra, attraverso la spontaneità delle succulente erbe, quella stessa spontaneità che l’essere umano ha progressivamente perso nel segno della omologazione di una società dei consumi, fortemente esclusiva e basata su modelli riferimento che oggi stanno palesando tutti i loro limiti. Certo mi rendo conto del mio piccolo frammento di conoscenze che mi permettono di avere gratuitamente ogni anno un alimento, sano, buonissimo e succulentoin tavola, dal momento che le erbe spontanee sono da sempre alla base della farmacopea, della cosmesi etc. Proprio per questo mi ha colpito in questi giorni una storia bellissima, che arriva ancora una volta da quell’immenso giacimento culturale dal quale non potremo mai prescindere che è la civiltà contadina. Si tratta della storia di “Nonna Chiarina”, una nonna sarda che ci ha lasciato da poco edavrebbe compiuto 100 anni lo scorso 26 settembre, che ha curato le ustioni tra unguenti e preghiere, con una delle piante spontanee più estreme come i rovi. Una storia, tra fede, tradizione e medicina, che mi richiama alla mente un piccolo passaggio di un meraviglioso ed indimenticabile brano di Fabrizio De André “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. Un unguento, quello di nonna Chiarina, ricavato dai rami secchi spinosi dei rovi, insieme ad altri brandellidi erbe e fiori segreti, poi li trattava e sussurrava preghiere, che si è propagato negli anni a tutta la Sardegna. La cosa bellissima è che la grande testimonianza lasciata dalla nonna sarda, mossa solo dalla fede e dal fare del bene mettendolo al servizio di tutti, a voluto fino in fondo che la sua conoscenza fosse messa a disposizione nel campo della medicina, per la cura delle ustioni, visti i portentosi risultati raggiunto dal suo prezioso unguento. E’ stato l’incontro con un medico, che Nonna Chiarina condusse dalla raccolta alla preparazione dell’unguento, rituali compresi, a fare si che oggi, il preparato della nonna sarda sia venduto in tutta Europa come dispositivo medico di classe 2b. Non voglio aggiungere altro al dettaglio di questa bellissima storia, rimandando all’articolo scaricabile a seguire nel post.

A margine di questo non posso che domandarmi come si faccia a non rispettare noi stessi non rispettando ciò che ci è stato dato in custodia, con questa immensa generosità e con storie così belle come questa a ricordarcelo, con, come protagonisti principali, una nonna contadina ed una pianta come il rovo, o come si dice in Toscana, la “macchia”, quella stessa pianta che, sul finire dell’estate di regala pure uno tra i frutti più buoni e succulenti come la mora. Che altro dire…….

Sauro Secci

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