Guerra e Mercati: Il Boom delle Armi

La guerra in Ucraina e il conflitto di Gaza hanno prodotto un boom delle armi in Borsa, mentre le rinnovabili ritardano la crescita.

Pace in bilico

Articolo di Alessandro Marescotti, presidente PeaceLink

L’invasione russa dell’Ucraina, iniziata a febbraio 2022, ha innescato una serie di eventi che hanno scosso profondamente i mercati finanziari globali, con effetti divergenti su vari settori economici. Da una parte, le azioni delle aziende produttrici di armi hanno visto un’impennata mentre, dall’altra, i titoli legati alle energie rinnovabili hanno subito una contrazione. Anche le stragi a Gaza hanno portato in alto i titoli dell’industria bellica che però vanno in giù quando si aprono spiragli di dialogo e di pace.

Questo paradosso mette in luce una cruda realtà: i conflitti armati continuano a spingere gli investimenti verso la guerra, mentre la transizione ecologica, fondamentale per un futuro sostenibile e pacifico, rallenta.

L’effetto della guerra sui mercati finanziari

La guerra in Ucraina ha portato ad un’accelerazione delle spese militari in Europa e nel mondo. Paesi come la Germania hanno annunciato massicci aumenti nei loro budget per la difesa, spingendo verso l’alto le azioni delle aziende che producono armamenti. Le principali compagnie del settore della difesa, come Lockheed Martin, Northrop Grumman, Thales, Leonardo e Rheinmetall, hanno visto i loro titoli crescere significativamente con aumenti, in alcuni casi, anche a due cifre. Gli investitori, attratti dalla prospettiva di profitti a breve termine derivanti dai contratti governativi, hanno riversato capitali in queste aziende, contribuendo ad alimentare un ciclo in cui la guerra diventa un fattore di crescita economica per alcuni settori.

Nei paesi europei della Nato le spese in armamenti nell’ultimo decennio sono aumentate di oltre il 270%. Anche l’economia russa vede crescere l’industria bellica che diventa una sorta di “moltiplicatore” keynesiano. Lo testimonia il fatto che la produzione industriale e la produzione militare hanno registrato in Russia un aumento del 3,3% a luglio di quest’anno. Il PIL russo per la prima metà del 2024 è aumentato del 4,6%, rispetto all’1,8% nello stesso periodo dell’anno scorso. Sono numeri terribili che indicano lo spostamento del baricentro economico verso l’industria militare.

Rinnovabili in difficoltà

All’opposto, i titoli delle aziende impegnate nella transizione energetica verso le rinnovabili hanno subìto un calo. Le ragioni di questo fenomeno sono molteplici e interconnesse. In primo luogo, l’aumento dei costi delle materie prime necessarie per la produzione di impianti eolici, solari e di batterie – come il rame, il litio e altre terre rare – ha reso meno profittevoli gli investimenti in questo settore. La guerra ha interrotto le catene di approvvigionamento. Le sanzioni contro la Russia, un fornitore chiave di alcune di queste risorse, hanno ulteriormente complicato la situazione. L’attrito geopolitico dell’Occidente con la Cina, altro importante fornitore di terre rare e forte competitor nelle tecnologie green, rende ancora più complicata la situazione.

Inoltre, l’incertezza economica globale ha spinto molti investitori a ritirare i propri fondi da asset considerati più rischiosi, come le energie rinnovabili, per investirli in beni rifugio. Questa dinamica ha creato una situazione paradossale in cui, nonostante la crescente urgenza di affrontare la crisi climatica, i mercati hanno penalizzato le aziende che lavorano per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. La transizione verde è complessivamente in affanno mentre la guerra assorbe le risorse europee. I finanziamenti pubblici realmente disponibili per realizzare gli impegni indicati nell’agenda strategica dell’UE 2024-2029 sono appena il 30% del necessario, lo documenta un rapporto di “Finance Watch”.

Lo spettro degli euromissili

Occorre ragionare su come la prospettata installazione dei nuovi euromissili in Germania (e molto probabilmente in Europa) possa ostacolare la transizione ecologica. Tre sono i possibili effetti di un ritorno al rischio di guerra globale con lo sfondo della catastrofe nucleare:

  • deflessione delle risorse: l’allocazione di risorse significative (finanziarie, umane, tecnologiche) per lo sviluppo e il mantenimento di sistemi missilistici devierà risorse che potrebbero essere investite in progetti per la transizione ecologica, come le energie rinnovabili, l’efficienza energetica e la mobilità sostenibile;
  • minaccia alla cooperazione internazionale: la presenza di euromissili aumenterà le tensioni geopolitiche e ridurrà la cooperazione internazionale sui temi ambientali. La transizione ecologica richiede una collaborazione globale mentre la frattura generata dalla nuova guerra fredda (che porterà la Cina fuori dal campo dell’economia globalizzata occidentale) formerà due grandi isole economiche semi-autarchiche: l’Occidente e i BRICS;
  • impatto psicologico: la percezione di una minaccia costante porterà a una riduzione dell’attenzione verso le questioni ambientali, poiché la sicurezza militare verrà percepita come una priorità assoluta.

Su questo cupo scenario occorre intervenire proattivamente per scongiurarlo (l’installazione dei nuovi euromissili è previsto per il 2026). Su PeaceLink è stata lanciata una raccolta di firme per la mobilitazione, promossa da esponenti di spicco del mondo della pace, fra cui il missionario Alex Zanotelli e lo scienziato Carlo Rovelli. Il link è www.peacelink.it/noeuromissili

Il Carbon Mortality Cost

Vorrei fare un esempio concreto di cosa accadrà se non abbracceremo la transizione ecologica abbattendo drasticamente le emissioni di CO2. E vorrei prendere come esempio la questione ILVA di Taranto, che produce una quantità di CO2 doppia rispetto alla quantità di acciaio prodotta: se lo stabilimento produce 5 milioni di tonnellate/anno di acciaio il risultato è che tale produzione è accompagnata dal rilascio in contemporanea di 10 milioni di tonnellate/anno di CO2.

Il dibattito sulle emissioni inquinanti dell’ILVA si è spesso concentrato sull’impatto locale sulla qualità dell’aria e sulla salute dei cittadini tarantini. Tuttavia, le conseguenze delle emissioni di CO2 di una singola industria possono estendersi ben oltre i confini regionali e temporali, proiettando un’ombra pesante sul futuro di intere generazioni.

Entriamo nel concetto di “carbon mortality cost”: in sostanza, è una stima del numero di decessi prematuri attribuibili alle ondate di calore (senza contare gli eventi meteorologici estremi e altri impatti sanitari legati al cambiamento climatico), causati da un determinato quantitativo di emissioni di gas serra. Applicato al caso dell’ILVA, questo calcolo ci offre uno scenario inquietante: si stima che, nel periodo compreso tra il 2020 e il 2100, le sole emissioni dell’acciaieria possano causare oltre 1.800 decessi prematuri ogni anno a livello globale. Se l’ILVA continuerà a produrre con questo ciclo produttivo per altri dieci anni le vittime sono stimate oltre 18 mila.

La dicotomia tra guerra e pace

Questo scenario solleva questioni fondamentali sul futuro che vogliamo costruire. Da un lato, i profitti delle aziende produttrici di armi sono in crescita, segno che il mondo sta investendo di più nella guerra, dall’altro le energie rinnovabili, pilastro di un futuro sostenibile e di pace, stanno affrontando difficoltà che potrebbero rallentare la loro diffusione. Le implicazioni sono profonde: la guerra non solo devasta vite umane e territori, ma distorce anche le priorità economiche globali… Continua a leggere gratis l’articolo su L’ECOFUTURO MAGAZINE – Clicca Qui

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Redazione

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