Grandi Bacini soffocati dal fango: Ecco le soluzioni

Bacini soffocati. Recuperare il valore ecologico degli invasi è ora possibile. Un articolo di Michele Dotti, direttore de L’Ecofuturo Magazine.

Una delle sessioni di Ecofuturo Festival 2024 è stata dedicata al tema dei bacini idrici. Si tratta di una risorsa fondamentale per il nostro Paese. Non solo per la capacità di raccogliere e rendere disponibile l’acqua, ma anche per la produzione di energia rinnovabile idroelettrica. Purtroppo, molti di questi invasi sono in buona parte interrati e questo riduce la loro capienza e di conseguenza i servizi che potrebbero svolgere. «In Italia abbiamo 509 grandi bacini con un’età media di 70 anni e purtroppo, spesso, non ricevono la necessaria manutenzione. Il loro volume un po’ alla volta ha finito per ridursi del 40%. Si sono cioè riempiti di sedimenti per un volume pari a 4 miliardi di m3. L’equivalente di un anello largo 100 metri e alto un metro che facesse il giro della Terra all’equatore». Ha ricordato Gianni Depperu di Decomar.

«Un esempio emblematico è rappresentato dall’invaso della diga Della Penna che si sta esaurendo e riempiendo anche di metalli pesanti derivanti dalle industrie orafe della zona. Una delle cause, spesso dimenticata, è da ricercarsi nel cambiamento della tecnica d’aratura che con la meccanizzazione è passata dal “giro a poggio” (orizzontale rispetto alle colline), che frenava quindi il ruscellamento, al “ritto-chino” (in verticale) e questo ha accelerato l’erosione idrica». Ha ricordato l’ingegner Giovanni Cardinali.

Gianni Girotto, già Senatore e ora responsabile del Comitato per la transizione ecologica del M5S, ha ricordato come questo tema sia stato da poco al centro anche di un convegno al quale è intervenuto, con la partecipazione di Annalisa Corrado, responsabile del PD per l’Agenda 20230, di Coldiretti e ANBI, nel quale si è riflettuto su come ripulire i bacini, come dragargli, sul potenziale del fotovoltaico galleggiante e sull’idroelettrico, fondamentale anche come storage energetico.

Filtri giganti

Gianni Depperu ha quindi presentato la tecnologia LimpidH2O di Decomar per gli ecodragaggi. Questa riesce, attraverso un sistema a circuito chiuso, a prelevare da un bacino i sedimenti, estrarli e separarli, isolando la parte inquinante (che è una minima parte) e poi dividerli per granulometria e peso specifico, rendendoli così riutilizzabili per altri settori, edilizia in primis, risparmiando così lo scavo di nuove cave per l’estrazione di materiali, o agricoltura per quanto riguarda i sedimenti fini.

«Liberare i sedimenti dai bacini ne aumenta la capienza e quindi contribuisce alla lotta alla scarsità d’acqua, legata alla siccità». Ha ricordato Gianni Girotto. Si tratta di un problema, diffuso ovunque, non solo quantitativo ma anche qualitativo, dal momento che i sedimenti, come dicevamo, spesso contengono anche inquinanti.

«Con la tecnologia di dragaggio tradizionale l’acqua viene perturbata e questi contaminanti vengono quindi smossi e diffusi pericolosamente. In assenza di possibilità efficaci di bonifica, la soluzione finora è stata semplicemente quella di lasciare tutto lì. Ma ora abbiamo una soluzione». Ha spiegato Depperu.

La tecnologia Decomar potrebbe essere applicata con successo per liberare i sedimenti da tutti gli invasi. Questo permetterebbe di recuperare una maggiore produzione di energia idroelettrica. E ciò può avvenire senza interruzioni perché non è necessario vuotare i bacini, come avviene normalmente con la tecnologia tradizionale, delle benne. In campo operativo, questa tecnologia ha superato le aspettative iniziali, ottenendo risultati eccezionali. Mentre si prevedeva un recupero dei sedimenti dell’85%, le prime implementazioni pratiche hanno effettivamente raggiunto un tasso di recupero del 98% superando le più rosee aspettative. È una tecnologia utile anche per la manutenzione portuale e per la lotta all’erosione costiera, permettendo di ripascere le spiagge con sedimenti buoni.

«Oltre ai sedimenti nei bacini ci sono anche quelli dei fiumi che spesso vengono bloccati dalle briglie, in prossimità dei ponti, le quali impediscono ai sedimenti stessi di arrivare al mare, causando così l’erosione delle coste». Ha ricordato Mauro Coltorti, Prof. di Geomorfologia e Geologia Ambientale all’ Università di Siena.

È stato proiettato in anteprima assoluta il cortometraggio “(Non) è una pozza!” prodotto da Memora Video Agency per il Consorzio Bonifica della Romagna occidentale. A commentarlo è stato Rossano Montuschi, dirigente del Consorzio stesso, che ha raccontato il Progetto Laghetti. Un’esperienza virtuosa nata venticinque anni fa, quando il problema della carenza idrica non era ancora percepito nella sua importanza, come avviene oggi. «Il consorzio ha promosso – in una zona di collina ad alta vocazione frutticola – la nascita di 21 consorzi di scopo che, aggregando 860 aziende agricole di quattro differenti vallate, hanno reso possibile la costruzione di invasi, a fini irrigui, interconnessi fra loro da una rete sotterranea di condotte in pressione di oltre 300 km. Questi invasi permettono di raccogliere 3 milioni e mezzo di m3 di acqua, durante la stagione invernale, per poterla poi utilizzare d’estate, durante i periodi di maggiore siccità»... Continua a leggere l’articolo gratis su L’ECOFUTURO MAGAZINE

Redazione

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