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Gli alberi in città salvano vite: lo studio di ISGlobal

Gli effetti dei cambiamenti climatici potrebbero essere mitigati da una maggiore copertura di alberi nelle nostre città. Questa la conclusione di uno specifico studio pubblicato da The Lancet e condotto dall‘Istituto di Barcellona per la Salute Globale (ISGlobal). L’analisi si è focalizzata sulle isole di calore urbano. Stimando i tassi di mortalità su un bacino di popolazione di circa 57 milioni di abitanti, residenti in 93 città europee.

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Le conclusioni dello studio hanno correlato l’esposizione al calore alla mortalità prematura, all’insorgenza di malattie dell’apparato cardio-respiratorio ed ai ricoveri ospedalieri.

Nello specifico per esempio, la città di Roma potrebbe evitare duecento decessi all’anno ampliando la propria superficie arborea dall’attuale 9% al 30%. A Napoli, un incremento del 17% di alberi in più eviterebbe 75 decessi all’anno. A Milano, passare dall’attuale 6% per cento al traguardo ambizioso del 30% eviterebbe oltre 60 decessi all’anno. Salendo al 30% di copertura arborea, ci sarebbero 42 morti in meno all’anno a Bologna, 38 a Genova, 3 a Padova, 30 a Palermo, 71 a Torino, 9 a Trieste.

La maggiore piantumazione di alberi nel contesto urbano non è azione agevole, a causa della conformazione delle città. Ma potrebbero essere presi in considerazione altri interventi come lo sviluppo di tetti verdi, o altre azioni di mitigazione della temperatura urbana. 

Non si tratta solo di aumentare gli alberi in città, ma anche di come vengono distribuiti”. Così Mark Nieuwenhuijsen, direttore dell’Urban Planning, Environment and Health di ISGlobal. Anche perché lo studio denota la necessità di preservare e mantenere gli alberi già esistenti in quanto rappresentano una risorsa preziosa. Il riscaldamento globale è in corso, così come la crescita urbana è in costante aumento.

È necessario correre ai ripari. Infatti “le previsioni basate sulle emissioni attuali rivelano che le malattie e la morte legate al caldo diventeranno in futuro un onere maggiore per i nostri servizi sanitari“. Così afferma la ricercatrice Tamara Iungman, prima autrice dello studio.

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Redazione

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