Comunità energetiche: l’attivismo delle Diocesi

Comunità energetiche: Creatività condivisa. Articolo di Giuseppe Milano, Segretario generale Greenaccord Onlus

La generatività delle comunità energetiche è un punto di partenza per la conversione ecologica delle Diocesi

«Si può dare di più» cantavano Gianni Morandi, Enrico Ruggeri e Umberto Tozzi nel 1987, in una hit rimasta nei nostri cuori. Dopo tanti anni, questa frase potrebbe essere il mantra per accelerare la transizione energetica in Italia, che sta rallentando pericolosamente secondo l’ultimo Rapporto del World Economic Forum. La scarsa consapevolezza governativa sulle potenzialità delle rinnovabili e la dipendenza dal gas – avendo sostituito quello russo in parte con il gas liquido americano e quello nordafricano, spesso proveniente da paesi che non rispettano i diritti umani – sono fattori determinanti. Inoltre, c’è una fiducia forse eccessiva nei benefici futuri del nucleare di nuova generazione.

Tuttavia, le recenti evidenze scientifiche del Panel delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (IPCC), dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) e dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) indicano chiaramente che i combustibili fossili, in particolare il carbone, non hanno un futuro promettente. Al contrario, le rinnovabili, supportate da tecnologie di produzione e accumulo sempre più efficienti, sono destinate a crescere significativamente, soprattutto in ambito urbano, dove avvengono la maggior parte delle nostre attività personali e professionali.

Dati in peggioramento

Per l’intensità della nostra impronta ecologica, che ogni anno peggiora con il depauperamento delle risorse naturali a danno delle future generazioni, si parla di Antropocene e della necessità di una nuova “connessione sentimentale” con gli ecosistemi. Per rovesciare il paradigma economico basato sui combustibili fossili, la Commissione Europea – pur con le sue contraddizioni e mancanze – ha investito oltre 700 miliardi di euro nel Green New Deal e in pacchetti normativi come RepowerEU, con l’obiettivo di creare una società europea più equa e giusta, senza “no left-behind places”. Questo approccio integra la giustizia sociale e ambientale, in linea con le esortazioni della “Laudato Si’” di Papa Francesco del 2015, poco prima della COP21 di Parigi.

In questo scenario complesso e mutevole, tra cambiamenti climatici, geopolitici, demografici ed economici che non impattano ovunque allo stesso modo, le Istituzioni europee, seppur a fatica, hanno lanciato un messaggio innovativo: l’energia deve diventare un “bene comune” capace di trasformare le scenografie urbane secondo i principi di sussidiarietà e generatività. Il concetto di “democratizzazione dell’energia” e il “diritto all’energia condivisa”, al centro delle direttive comunitarie RED II e IEM sulle energie rinnovabili e il mercato interno dell’energia, si stanno concretizzando nell’ecosistema delle comunità energetiche rinnovabili.

Partenza in ritardo

Sebbene in Paesi come la Germania, la Spagna e la Francia, esperienze di “condivisione dell’energia” siano presenti (con ottimi risultati) da tempo – si pensi alla realizzazione di numerosi eco-quartieri nella cittadina tedesca di Friburgo o alla promozione di sistemi idroelettrici place-based in diverse polarità urbane della Grecia – nel nostro Paese, solo a gennaio scorso e dopo un’attesa di quasi due anni, è giunto il provvedimento definitivo del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, poi seguito dalle linee guida operative del Gestore dei Servizi Energetici, con cui si è aperta la strada alla nascita e alla diffusione delle diverse configurazioni di autoconsumo di energia.

Nel merito, significa che attraverso le Comunità Energetiche Rinnovabili – ossia soggetti giuridici costituiti da Comuni, PA, imprese, parrocchie, università, centri di ricerca e realtà del terzo settore – possono nascere forme finora inesplorate di cittadinanza attiva, o di cittadinanza energetica, che nella figura principale del prosumer – ossia chi è contemporaneamente produttore e consumatore della propria energia – trasformano radicalmente e strutturalmente il mercato italiano dell’energia. Da un modello centralizzato incardinato su pochi grandi e grandissimi impianti gestiti da una avida oligarchia a un modello decentrato e diffuso, geograficamente policentrico e impiantisticamente reticolare, affidato a tutte quelle impavide comunità educanti e resilienti che vogliono abilitare il cambiamento nei loro territori.

Un’indagine IPSOS, pubblicata a dicembre scorso, ha rivelato che le Diocesi, le parrocchie e gli enti religiosi sono tra i più attivi nel promuovere la transizione energetica in Italia, dimostrando una consapevolezza maggiore rispetto a Comuni e imprese. Questo dato, sebbene sorprendente per alcuni, è in realtà coerente con il sostegno fornito dalla lettera enciclica “Laudato Si’” e dall’esortazione apostolica “Fratelli Tutti” di Papa Francesco. Le assemblee parrocchiali, definite comunità di destino” dal sociologo Aldo Bonomi, sono saldate dalla fede, dalla conoscenza reciproca e dalla fiducia, rendendole potenzialmente più adatte alla creazione di comunità energetiche rispetto alle spesso inefficaci assemblee condominiali.

Contrasto alla povertà

Dopo la Settimana Sociale di Taranto del 2021, che ha sottolineato il valore delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) nel contrastare il pernicioso fenomeno della povertà energetica o di mitigare quello della marginalità socio-territoriale, la CEI ha promosso un tavolo tecnico multi-attoriale e interdisciplinare in vista della cinquantesima Settimana Sociale di Trieste. Questo tavolo ha prodotto un vademecum, pubblicato il 22 maggio scorso, per incoraggiare le oltre 12 mila parrocchie italiane a progettare e realizzare impianti di energia pulita sulle loro proprietà, contribuendo così al processo di decarbonizzazione del Paese. Nonostante i buoni propositi, le parrocchie e gli enti religiosi stanno affrontando diverse difficoltà, sia tecniche (quali impianti realizzare e dove) sia giuridiche (quale modello di governance adottare per beneficiare delle nuove normative), economiche (come finanziare gli investimenti iniziali e gli studi di prefattibilità) e organizzative.

Nonostante le diverse difficoltà, spesso aggravate da una burocrazia poco “user-friendly”, molti parroci, sia giovani sia anziani, in aree urbane e montane sostenute dal PNRR, stanno attivandosi con entusiasmo e pragmatismo per realizzare progetti virtuosi. Una volta individuata la cabina primaria ad alta tensione – ossia l’infrastruttura elettrica che definisce il perimetro geografico degli impianti – e definita la composizione societaria (con Comuni, imprese, attività commerciali, università) da cui estrarre – come in un gioco di ruolo – le figure del produttore, del consumatore e/o del prosumer, bisogna predisporre un’analisi tecnica di prefattibilità. Questa analisi indica i benefici economici nel tempo, tra tariffa incentivante e detrazioni fiscali, e valuta la possibilità di ottenere ulteriori entrate dalla restituzione a Terna dell’energia non autoconsumata.

In base allo statuto e al regolamento della comunità energetica, le risorse economiche generate vengono redistribuite proporzionalmente al ruolo e al consumo di ciascun socio. Ogni esperienza è unica, anche all’interno dello stesso territorio, per gli obiettivi di sostenibilità sociale, ambientale ed economica perseguiti. I valori di corresponsabilità, generosità, prossimità e sussidiarietà sono essenziali per far crescere questi processi innovativi di cittadinanza energetica.

Sperimentazione in corso

Le prime progettualità sperimentali avviate dalle Diocesi di Alba, Cremona, Treviso e Bari sono incoraggianti ed entusiasmanti. Ad Alba, è particolarmente significativo il progetto di solarizzazione su scala territoriale nei piccoli centri urbani come Rodello (meno di 1.000 abitanti), con l’obiettivo di arginare lo spopolamento delle aree montane o interne… Continua a leggere l’articolo gratuitamente su L’ECOFUTURO MAGAZINE

Foto articolo di Hannah Busing su Unsplash

Redazione

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