Virus “Olio di palma”: il contagio si sposta in Africa


Una delle colture che per le elevate rese delle colture rappresenta una seria minaccia in termini di deforestazione, proprio in paesi che costituiscono capisaldi importanti per “l’apparato respiratorio terrestre”, è indubbiamente quella dell’olio di palma. Un tema che ho avuto modo di approfondire nel mio blog, sia inquadrandone la dimensione planetaria (vedi post “Biocarburanti e cambiamenti climatici: il virus olio di palma“), ma anche per dar conto di certi impegni presi recentemente dal più grande operatore mondiale nell’ambito del business dell’olio di palma (vedi post “Deforestazione da “olio di palma”: primo impegno da parte del più grande operatore mondiale“).


Proprio nell’inquadramento dei paesi produttori a livello mondiale si rilevavano i due distretti principali della produzione di palma da olio, quello principale asiatico, concentrato soprattutto in Malaysia e nell’arcipelago indonesiano e quello africano con in prima linea paesi come la Nigeria, come ben illustra l’immagine seguente.

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Mappa dei principali produttori di olio di palma 2006 (Fonte FAO)

Con la domanda mondiale di olio di palma in forte crescita ed oramai ristretti margini di ulteriore stress nel distretto asiatico, le ultime evoluzioni stanno evidenziano un fenomeno rilevante di progressiva attenzione da parte delle multinazionali del settore, verso i paesi del distretto africano, già depauperato a livello di risorse, e con un progressivo e sempre più allarmante fenomeno di “land-grabbing” (vedi post “Una nuova grande minaccia per la sostenibilità planetaria: il “Land grabbing” con l’Africa ancora grande vittima“). In sostanza, molti governi africani dei paesi più vocati alla coltivazione, stanno svendendo la terra al miglior offerente, cacciando senza troppi scrupoli e senza indennizzi le comunità ivi insediate. Le aziende multinazionali del settore stanno scommettendo fortemente anche su un’esplosione della domanda, nell’Unione europea, di olio di palma come biocombustibile, elemento che renderebbe l’Africa, il distretto geografico più a “bocca d’Europa”, per gli approvvigionamenti. Una accoglienza trionfale quella per le grandi multinazionali, da parte di governi africani bramosi di investimenti esteri e che vengono contesi offrendo alle aziende interessate territori a basso costo ed esenzioni fiscali nella speranza di generare qualche posto di lavoro e un po’ di sviluppo economico.

Una morsa che vede stringere ancora una volta i politici africani, tra crescita e conservazione, economia di mercato e coscienza, con le prime prescelte a scapito delle seconde. Tra le varie voci dei paesi africani interessati, quello liberiano delle finanze, Amara Konneh, il quale ha detto che il Paese è “preoccupato per le conseguenze ecologiche, ma dobbiamo far crescere l’economia. Dobbiamo creare posti di lavoro per la nostra gente. Farlo in maniera sostenibile sarà la nostra battaglia”. Ma il paese africano maggiormente coinvolto è la Nigeria, che già nel 2013 si collocava come quarto produttore mondiale di olio di palma, secondo le elaborazioni della US Food and Agriculture Organisation, con una produzione totale di 960.000 tonnellate, significativa ma ancora ben distante dall’Indonesia, primo produttore mondiale con 28,4 milioni di tonnellate. Una collocazione che manifesta grandissimi margini di incremento per la produzione nigeriana, non appena inizierà la produzione nelle nuove piantagioni.

La situazione africana vede gran parte della terra nei paesi africani è di proprietà dello Stato, così i governi che vanno distribuendo grandi aree alle società, senza compensazioni per le persone che vivono e lavorano su di esse. Al riguardo Winnie Overbeek,coordinatrice internazionale del Movimento Mondiale Rainforest (link sito), evidenzia come “a volte c’è un risarcimento per le colture perdute, ma non per la terra. Normalmente le comunità hanno il diritto di coltivarla, ma non nesono proprietarie”. Un contesto nel quale, trasformando i terreni agricoli in aree destinate a monocoltura della palma da olio, fa perdere a queste vaste aree ed alle comunità che vi vivono, la capacità di produrre il cibo per il proprio sostentamento. A tutto questo, come ho avuto già modo di approfondire, le piantagioni di palma da olio, stanno portando a una deforestazione su larga scala, con un severo impatto sulle riserve idriche delle aree interessate, viste le alte esigenze idriche di questa pratica colturale, ed un letale drenaggio di aree ricche di biodiversità e fonti di sostentamento per le comunità locali. Ad incrementare l’impatto di questa pratica colturale, l’aspetto legato alla contaminazione delle risorse idriche da parte dei pesticidi utilizzati nelle piantagioni. Un caso emblematico, un queste nuove “attenzioni” verso l’Africa, è indubbiamente rappresentato dalle attività della società statunitense Herakles Capital in Camerun, dove 70.000 ettari di foresta sono stati rasi al suolo grazie a un accordo del 2009 con il governo camerunense, un esempio dei rischi di questa nuova ondata di acquisizioni agricole in Africa, con la crescente opposizione che si trovano ad affrontare (vedi link articolo di “The Guardian”).

A seguire un significativo servizio che illustra l’impatto delle nuove attenzioni verso la coltivazione di palma da oli in Africa e la voce delle comunità locali dei molti paesi africani coinvolti, quasi tutti appartenenti alla fascia equatoriale.

Sauro Secci

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