Upcycling: un pilastro dell’ecologia nei nuovi scenari di economia circolare

Le nuove pratiche per il rispetto dell’ambiente mettono spesso in campo terminologie specifiche che spesso vengono usato in maniera impropria e fraintese con altre.


A questo specifico riguardo uno dei temi reso ancora più attuale dalla profonda crisi di sistema che stiamo vivendo, è indubbiamente quello del riciclo di materiali giunti a fine vita per la loro funzione originaria, che oggi stanno dando vita alla riscoperta di una pratica vecchia come il mondo, come quella del baratto (vedi post “Reload : il ritorno del mercato senza moneta“) in un contesto nel quale è diventato irrinunciabile rivedere i sistemi economici sulla base di una “economia circolare” (vedi post “Alla ricerca della via di uscita dalla crisi: ecco l’”Economia Circolare” e la riscoperta del valore del “riparare”).

Una pratica esistente fino a pochi anni fa nelle comunità contadine, che anche io posso testimoniare nei miei ricordi d’infanzia, quando mia nonna, spellando i conigli, una dlele poche carni povere accessibili in campagna in quegli anni, consegnava le pelli essiccate ad un signore che passava periodicamente per la raccolta, e il conferimento ad un vicino cappellificio per la trasformazione. Entrano in ballo in questo contesto oltre al classico termine di riciclo o “recycle”, entrano in ballo termini diversi, come “upcycling” e “downcycling”. Vediamo di fare un po’ di chiarezza, visto che in buona parte del mondo, oramai, quando si vuole indicare la trasformazione di un rifiuto in un nuovo oggetto attraverso la creatività, viene utilizzato il termine upcycling.

Gli albori dell’upcycling risalgono al 1963, quando la Heineken, famosa birra, creò il primo esempio di upcycling producendo le Wobo (World Bottle): bottiglie di birra che, una volta usate, potevano servire come mattoni da costruzione (vedi foto a fianco). Una idea che prese spunto quando il futuro proprietario della casa ed un architetto, videro una grande quantità di vuoti di bottiglia disseminate sulle spiagge caraibiche, un luogo in cui esiste una cronica carenza di materiali da costruzione. L’idea, pur nella sua genialità, non ebbe successo, relegando così le particolari bottiglie Wobo (vedi foto a fianco) a semplici suppellettili. Fu poi 10 anni dopo che l’upcycling tornò in pista, grazie agliarchitetti Charles Jencks and Nathan Silver,che indicarono un nuovo modo di progettare che si proponeva di rottura verso le tradizionali modalità intrise di burocrazia, gerarchia e specializzazione del settore, cercando di proporre una nuova visione delle cose che ci circondano, in modo da dare agli oggetti e alle materie, ruoli e significati diversi da quelli con i quali siamo soliti guardarli oggi. Ma la consacrazione definitiva del termina si determinò nel 1984 da parte del giornalista Reiner Pilz ed ufficialmente nel 1997 nell’omonimo libro di Gunter Pauli (che in realtà in un primo momento usò il termine upsizing). Di fatto attraverso l’upcycling, con un po’ di creatività, vecchi contenitori, parti meccaniche di oggetti o utensili di uso quotidiano possono riacquistare dignità di funzionali oggetti d’arte.

Un concetto che, a livello scientifico, è definito come il processo di conversione dei rifiuti o comunque dei prodotti inutili in nuovi materiali oppure in nuovi prodotti di alto valore commerciale. In sostanza con l’upcycling, ciò che fino a ieri consideravamo spazzatura diventa una risorsa da cui si può trarre qualche tipo di profitto e che idealmente dovrebbe portare un giorno a eliminare completamente il concetto di “rifiuti”. E’ possibile conseguire così un duplice vantaggio ambientale, dal momento che non è più necessario reperire nuove materie prime con implicazione di energia, inquinamento atmosferico e idrico ed emissioni di gas serra, annullando nel contempo i costi di smaltimento. Un concetto completamente diverso dal classico e consolidato termine recycling, che descrive invece un processo industriale di trasformazione del rifiuto. Una distinzione dei due concetti è evidenziataanche graficamente dalla differenza tra i due simboli utilizzati, con l’immagine dell’upcycling (a destra), che nelle sue varianti è costituito da un cerchio aperto che non si chiude, a differenza del cerchio chiuso del riciclo (a sinistra). Un conecetto, quello dell’upcycling, traducibile come “riuso cerativo”, che non ha assolutamente attecchito in Italia, dove viene quotidianamente scambiato col riciclo, spesso anche su giornali e siti specializzati. S

i badi bene che non si tratta di un sofismo, dal momento che parlare impropriamente di riciclo creativo, significa per esempio ignorare tutto il processo industriale necessario alla trasformazione di un rifiuto in una materia nuovamente lavorabile. Un concetto che alimenta un paradossale errore tutto italiano di pensare che una volta fatta la raccolta differenziata, il “problema” dei rifiuti sia risolto, in un paese che, unico in Europa, si è dato obiettivi di raccolta differenziata anziché di riciclo. Non meno importante è poi la differenza tra upcycling, come riciclo creativo degli oggetti, dove quello che fino a ieri consideravamo spazzatura diventa una risorsa da cui si può trarre qualche tipo di profitto e il concetto tradizionale con il quale consideriamo il rifiuto, che è invece un downcycling, vale a dire un processo che implica una perdita di valore. Per esempio, nel processo di riciclo della plastica che non sia quella usata per le bottiglie, vengono mescolati vari tipi di materiale plastico dando come risultato un materiale ibrido, perfettamente utilizzabile, ma che diviene un sottoprodotto, ad esempio per la realizzazione di materiali edili. Sono moltissime le tipologie di oggetti riportati a nuova vita, un mondo davvero fantastico, colorato e perfino tecnologico, capace di esprimere come nessuno la creatività e la sapienza umana nel trasformare ciò che ai più sembrerebbe solo spazzatura, inventando così un nuovo lavoro a costo zero della materia prima.  Questa nuova impostazione è oramai diffusa ed affermata, anche se un prodotto è definito sostenibile solo quando viene provata la sua completa efficacia nel tempo oltre che la sua efficienza legata ad una fase della sua vita. Una disciplina ed un approccia che sembra quasi provvidenziale, in tempo di crisi. Con un pallet capace di trasformarsi in una libreria, una vecchia maglietta che può divenire una borsa, etc..

Per farci aguzzare la fantasia, sono molti oggi i libri o i siti che possono aiutarci in idee di upcycling, anche per chi fosse interessato a fare diventare questa pratica una professione, con un universo di idee per la casa, abbigliamento ed accessori, con monili e borse, oggettistica ed arredo-casa tra i più gettonati, per ridare nuove funzionalità a cose già di nostra disponibilità. Tra i libri, indubbiamente da segnalare il manuale “Questo libro è un abat jour” (link), edito da Ponte alle Grazie, che molte idee elaborate dall’autrice Elisa Nicoli, una guida alla scoperta dei segreti dell’upcycling, per scoprire come trasformare una valigia in un armadietto da bagno, vecchie riviste in uno sgabello o addirittura arrivare ad arredare un intero trilocale con mobili e oggetti costruiti interamente con le nostre mani utilizzando materiali di recupero. Nutrito anche l’apporto che ci viene dal web, dove molti sono siti e blog sull’upcycling, con proposte ed idee utili e carine, tra i quali da segnalare Craftster (link sito), una community che raggruppa idee e progetti di ogni genere, oltreché appuntamenti dedicati al riciclo dove poter acquistare o iscriversi a diversi corsi sul tema, in un autentico social network del riuso, con la possibilità di inserire anche una nostra propria idea di upcycling da condividere nella community.

Un altro portale molto interessante da segnalare è poi il britannicoupcycling.uk (link sito), dove è possibile reperire idee, iniziative dal mondo e novità sui brand che si affidano all’upcycling per il loro lavoro. Passando ai blog, quello sicuramente più specializzato sull’upcycling è “Give me one good raisin” (link sito). Esiste anche un interessante blog italiano, davvero ricco di spunti per fare upcycling, che è unideanellemani.it (link sito), ricchissimo di tanti tutorial per il faidate e per il riuso. In questa lunghissima carrellata, non posso non segnalare anche, uno specifico evento fieristico che si svolge ogni anno a Torino-Lingotto a fine settembre, “Manualmente – Rassegna della manualità creativa” (link sito).

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Sicuramente una grande filosofia piena di saggezze e di riscoperte antiche, che ci indica inequivocabilmente come sia fondamentale, nel mondo dei rifiuti come in quello dell’energia, ripercorre in chiave moderna alcuni grandi sentieri già tracciati da chi ci ha preceduto, con quel piccolo grande rispetto con il pianeta che ci ospita. Una parentesi di grande spiritualità non posso non dedicarla agli splendidi risultati ottenuti da un caro amico, il grande Don Luigi Verdi, autentico animatore della Fraternità di Romena, nell’alto Casentino, che proprio grazie alla sua grande manualità e passione per la lavorazione del legno e per la ricerca continua delle nostre radici, attraverso la civiltà contadina ed il mondo rurale, dal quale ognuno di noi proviene, è riuscito a dare vita ad ambienti di grandissimo valore mistico e spirituale, autentiche apoteosi di bellezza.

Tutti ambienti splendidi, creati con vecchie imposte (scuri di finestre) con le quali è stato allestita lo zona dell’altare, oggetti domestici ed agricoli della civiltà contadina, arredo fondamentale ed irrinunciabile della bellissima pieve, e delle stupende cappelle dedicate di raccoglimento e riflessione, nate proprio in questi ultimi mesi grazie a meravigliose tecniche di upcycling, che cerco di documentare come posso attraverso le belle immagini successive.

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