Impronta ecologica dei prodotti di largo consumo: ecco “Mind Your Step”

L’approccio dell’impronta ecologica, fondamentale anche per la divulgazione e la diffusione di nuovi stili di vita anche e soprattutto nelle nuove generazioni, sta per compiere 20 anni.


Fu infatti nel 1996 che due ecologi, ricercatori canadesi della British Columbia University di Vancouver (Canada), l’ecologo William Rees e successivamente uno dei suoi allievi, Mathis Wackernagel, oggi direttore dell’Ecological Footprint Network (link sito) la introdussero come approccio e metodologia per la valutazione del nostro impatto sul pianeta. Un tema che ho trattato molti anni fa (vedi post “L’impronta ecologica: una riflessione sugli stili di vita“) ed anche recentemente facendo un focus sulla situazione italiana (vedi post “Impronta ecologica Italiana: il punto della situazione con qualche “indicazione” per ridurla“). Un tema quello della impronta ecologica dei prodotti più diffusi nelle civiltà avanzate come per esempio i nuovi cellulari e smartphone, che tanti impatti, spesso sotto forma di feroci ed interminabili conflitti, stanno determinando proprio nelle aree più disagiate del mondo (vedi post “cellulare quanto costi”).

Un tema che per essere affrontato sta determinando il progressivo radicamento anche di nuovi approcci di “economia circolare”, con la centro il riciclo ed il riuso dei prodotti,combattendo anche autentiche metastasi della società consumistica come quello della “obsolescenza programmata”. E’ proprio su questo specifico tema che è appena uscito il nuovo studio “Mind Your Stepscaricabile in calce al post ed elaborato da Friends of the Earth, una rete di organizzazioni ambientali presente in 74 Paesi, che ha messo in chiaro l’impronta ecologica assolutamente non trascurabile, di una serie di articoli di larga diffusione come scarpetelefonini di ultima generazione (smartphone)t-shirt ed altri oggetti d’uso quotidiano. Secondo il nuovo studio infatti, per produrre uno smartphone servono quasi 13 tonnellate d’acqua e 18 metri quadrati di suolo, mentre per un paio di stivali servono almeno 14,5 tonnellate d’acqua e 50 metri quadrati di suoloPer una t-shirt, invece, le tonnellate d’acqua sono circa quattro, con una superficie di suolo usata pari a poco più di 4 metri quadrati, mentre per una barretta di cioccolato serve quasi una tonnellata e mezzo d’acqua ed oltre 2,5 metri quadrati di suolo.

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Le motivazioni alla base del nuovo studio vanno ben aldilà delle statistiche e dei numeri presentati, ponendosi come obiettivo principale la sensibilizzazione dell’industria globale a concentrare particolari attenzioni non solo all’impronta di carbonio dei loro prodotti, ma anche ad altri indicatori fondamentali come il consumo di suolo e di risorse idriche. Ad esercitare un peso rilevante sull’impronta dei diversi prodotti secondo lo studio, sono gli imballaggi e la scelta delle materie prime, con settori come l’abbigliamento, per esempio, dove circa il 20% del consumo d’acqua e di suolo è da imputare ai materiali usati proprio per gli imballaggi (vedi grafico seguente estratto dallo studio).

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Una percentuale che sale addirittura all’84% (riferito solo al suolo) per il settore dei giocattoli.

Sauro Secci

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