COP26 cosa è successo

COP26: cosa è successo nella prima settimana

COP26: cosa è successo la prima settimana. Luci e ombre sui lavori della conferenza sul clima di Glasgow. La sfida ora è trasformare le promesse su deforestazione, metano, carbone in impegni vincolanti per tutte le nazioni dell’Onu. L’analisi di Luca Fraioli per la rubrica Green&Blue di Repubblica

Un grande successo o un evidente fallimento?

Questa prima a settimana di Cop26 si chiude tra valutazioni opposte, tanto che i protagonisti interpellati sembrano aver assistito a due diverse Conferenze sul clima. Alok Sharma, il presidente britannico della Cop, parla di accordi fondamentali già raggiunti e di una grande speranza per l’esito finale venerdì prossimo. Greta Thunberg invece nelle ultime ore ha bollato la kermesse di Glasgow con il solito ”bla bla bla’‘ parlando di festival del greenwashing. Splendido l’intervento di Sir David Attenborough, una delle massime personalità nel mondo della meteorologia e della divulgazione scientifica, che ha rimarcato l’importanza dell’ambiente in cui viviamo e del portare avanti un impegno genuino per impedire che avvenga il peggio.

Il discorso di David Attenborough alla Cop26 doppiato da Fabio Volo

A chi dare retta?

Da osservatori interessati alle sorti del Pianeta, come orientarsi tra gli annunci roboanti e le accuse di fake news? In definitiva, che bilancio si può fare di questa prima settimana di Cop26? Neppure affidarsi agli esperti sembra essere la soluzione. “Anche per noi è difficile capire come sta andando”. Questo il pensiero di Massimo Tavoni, professore del Politecnico di Milano e direttore dell’Istituto europeo o di economia dell’ambiente (Eiee). “La vera difficoltà è capire cosa verrà fatto subito, entro questo decennio. Sono buoni tutti a promettere provvedimenti che poi saranno altri ad attuare tra mezzo secolo“.

E a proposito di promesse, proviamo ad elencarne le principali

  • Fermare la deforestazione entro il 2030. Un annuncio già sentito in vertici internazionali. Ma questa volta la differenza la fanno i soldi. 12,2 miliardi di dollari stanziati per l’operazione. A lasciare perplessi sono l’adesione al patto del Brasile di Bolsonaro, che finora non ha brillato per la tutela della sua Amazzonia. Ed il rifiuto dell’Indonesia che considera gli alberi (e soprattutto il loro abbattimento per far posto a coltivazioni) una risorsa economica irrinunciabile.
  • Ridurre del 30% le emissioni di metano entro il decennio in corso. Accordo firmato da 90 Paesi con pesanti defezioni: Cina, India e Russia.
  • Chiudere le centrali a carbone. La buona notizia è che tra i quaranta firmatari c’è anche la Polonia. Ma anche in questo caso mancano i “grandi inquinatori”.
  • Chiudere i rubinetti pubblici dei finanziamenti in Paesi terzi per le infrastrutture che si basano su combustibili fossili. Un accordo siglato però solo da una ventina tra nazioni e istituzione finanziarie pubbliche.
  • Mobilitare la finanza privata perché investa nella green economy. Annuncio dell’inviato speciale dell’Onu Mark Carney che ha citato cifre da capogiro: 130mila miliardi di dollari. Per giorni ci si è interrogati se si tratti degli asset delle 450 banche coinvolte nell’operazione o di denaro realmente investibile da subito nella transizione ecologica dei Paesi in via di sviluppo.
  • Raggiungere la carbon neutrality nel 2070. Questo l’obiettivo dell’India annunciato a Glasgow.
COP26
Illustrazione: Aïda Amer/Axios

Di fronte a tutto questo il Financial Times, che non è certo il bollettino dei Fridays for Future, ha titolato “Più aria fritta che progressi a Cop26”

“In realtà”, spiega Tavoni, “i giochi veri si fanno la seconda settimana ed è quindi presto per giudicare l’evento di Glasgow. Tuttavia io vedo anche segnali positivi. Il direttore dall’Agenzia internazionale dell’energia Fatih Birol ha sottolineato come gli impegni annunciati nei giorni scorsi siano compatibili con il traguardo di un innalzamento delle temperature a fine secolo compreso tra 1,5 e 2 °C. Ed è una prospettiva confermata anche dalle simulazioni che abbiamo appena elaborato noi. Il problema è capire se gli impegni annunciati nei giorni scorsi verranno mantenuti e se si uniranno altre nazioni“.

La questione del breve e del lungo termine

“Le promesse per il 2050 lasciano il tempo che trovano. Dobbiamo capire cosa di concreto si farà in questo decennio”, continua l’economista ambientale. “Ma solo l’Unione europea, tra i grandi del mondo, si è attrezzata per intervenire subito“.

In effetti, anche l’entusiasmo per l’America is back, il ritorno degli Usa al tavolo dei negoziati climatici dopo la parentesi Trump, è durato poco. “Biden si è molto indebolito all’interno, rischia di perdere le elezioni di midterm. E difficilmente potrà assumere le leadership mondiale della lotta ai cambiamenti climatici”, dice Tavoni. A tutto questo va aggiunta l’assenza di Xi Jinping e Vladimir Putin, oltre all’annuncio indiano di fermare le emissioni solo tra mezzo secolo.

I soldi promessi

Sul fiume di denaro promesso Tavoni è scettico. “Non mi pare possibile che capitali privati delle dimensioni annunciate migrino spontaneamente dalle fonti fossili a quelle rinnovabili. Occorre che la politica favorisca queste operazioni, scoraggiando gli investimenti in un settore e incentivandoli nell’altro”. E in effetti, l’annuncio di Carney sui 130 trilioni di dollari a disposizione della transizione green ha sollevato non pochi dubbi perfino tra gli addetti ai lavori.

Il Finacial Times ha ricostruito che la cifra, pari al 40% delle attività del sistema finanziario globale, è composta da 57 trilioni di dollari di attività controllate dai firmatari, da 63 trilioni di dollari dalle banche coinvolte e da altri 10 trilioni dei proprietari degli asset. “Non è denaro nuovo immesso sul mercato e per la maggior parte non è allocabile“, ha spiegato al quotidiano della City Ben Caldecott, direttore dell’Oxford Sustainable Finance Group presso l’Università di Oxford. “Molti di quei soldi sono mutui per abitazioni o investimenti nel settore fossile”.

La speranza è che la seconda settimana segni un cambio di passo

Dagli annunci ad accordi di realizzazione immediata. “La vera Cop26 inizierà martedì, quando arriveranno le delegazioni di alto livello, quelle con i ministri dell’Ambiente”, conferma Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “Solo allora capiremo se la politica saprà trasformare in azioni concrete le proposte a cui stanno lavorando i negoziatori”. E tutti gli annunci che si sono susseguiti nei primi giorni della Conferenza di Glasgow? “Vanno bene ma sono impegni volontari e riguardano un numero limitato di Paesi: la sfida delle prossime ore è trasformare quelle promesse su deforestazione, metano, carbone in impegni vincolanti per tutte le nazioni dell’Onu.

Un altro capitolo ancora più importante: i Paesi in via di sviluppo

Queste nazioni aspettano gli aiuti economici promessi dal 2009 a Copenhagen e poi riconfermati nel 2015 a Parigi. Sono i famosi 100 miliardi di euro all’anno per poter affrontare la transizione energetica. Se i Ricchi ancora una volta non manterranno la parola c’è il rischio che 120 delegazioni, tra nazioni africane e Paesi vulnerabili, si mettano di traverso facendo fallire Cop26″. Da oggi occhi di nuovo puntati su Glasgow!

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Redazione

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