Olbia, provincia Olbia-Tempio, Sardegna (Donato Manca/LaPresse)

Alluvione Sardegna: mettersi in salvo dalla furia climatica? Un modo c’è.

Hanno ragione tutti coloro che dicono che la prima opera pubblica di questo paese è la messa in sicurezza del territorio e la cura del dissesto idrogeologico. Le stime parlano di cifre oscillanti tra i 12 e i 30 miliardi di euro per sanare le situazioni più pericolose in caso di grandi alluvioni, come ad esempio la Toscana.


Dal 1994 in poi abbiamo dato vita a numerose campagne come “Mai più alluvioni” guidate dal Forum sul dissesto idrogeologico dei Verdi assieme a lungimiranti extra-verdi come Valerio Calzolaio, al meteorologo di Che tempo che fa Luca Mercalli e agli ordini dei geologi italiani. Nel 1998 non fummo spazzati via dalla tragedia di Sarno solo perché risultò evidente che a dare l’allarme ci avevamo provato e che, addirittura prima della tragedia, nei paesi intorno a Sarno una delle attiviste verdi aveva attraversato i territori per mettere in guardia dalla tragedia possibile.

Dopo quel disastro fu redatta la prima legge: il decreto Sarno. Ancora oggi dovrebbe guidare le scelte prioritarie per i pochi milioni che ogni anno vengono impiegati per la difesa del suolo (allora si arrivò fino a mille miliardi di lire, ovvero mezzo miliardo di Euro).

Già, i fondi! Vengono stanziati sull’onda delle tragedie ma poi, appena torna il sole, vengono di volta in volta falciati e stornati in altre poste di bilancio. Succede ogni anno: a ogni manovra o manovrina il primo scippo lo subisce la cura del territorio e l’attesa dei morti e delle nuove tragedie si traduce in un balletto osceno in cui la politica e le persone comuni, spiace dirlo, danno il peggio di sé. Nel tempo si è deciso di rilanciare, passando dalla cultura degli avvisi all’unica cura radicale e possibile: far nascere l’era delle energie rinnovabili e del risparmio di energia. Si tratta di trasformazioni da realizzare in tempi lunghi, ma per la febbre della terra non c’è altra cura ed è meglio lanciare segnali di speranza che di terrore.

nubifragio

Intanto i cambiamenti climatici sono in corso e piove a bombe d’acqua, è come se la terra fosse avvolta in una pellicola trasparente che si rompe una volta qua e una volta là, scaricando l’acqua destinata a intere regioni in aree molto più piccole. L’acqua di sei mesi scaricata in poche ore, come è avvenuto in Sardegna. Se la cura del territorio è fondamentale e irrinunciabile di fronte alle dimensioni dei nuovi eventi atmosferici, allo stato attuale del dissesto è indispensabile evacuare, scappare, non circolare, insomma occorre cercare innanzi tutto di salvarsi la vita.

Alla base della strategia salvavita ci sono le previsioni meteorologiche: per mettere in allerta in tempo o per decidere di evacuare tutte le zone in cui la speculazione maledetta ha costruito lungo gli alvei, ha chiuso le luci dei ponti, ha tombato torrenti, ha occupato le aree di espansione fluviale, ha lasciato i boschi senza cura e coltivazione oppure ha privato i monti dei boschi determinando il pericolo delle frane.

Oggi conosciamo tecniche e strategie per sapere con grande precisione dove passerà una perturbazione e con quale dimensione di precipitazioni, possiamo seguirne lo sviluppo ora per ora con un’allerta ampiamente credibile di 36 ore . Questo monitoraggio viene fatto ma solo su base regionale o a livello di macroregioni.

Troppa allerta, nessuna allerta: se seguissimo tutte le allerte meteo che vengono lanciate paralizzeremmo mezza Italia. I cittadini non se lo possono permettere perché su allerte di queste vastità la reazione comune è di preoccupazione e di limitazione degli spostamenti. Tuttavia, senza la pistola fumante del diluvio in corso nessuno si ferma davvero, nessuno ti giustifica e la lotteria della tragedia sceglie le sue vittime.

macchine

Nel 2006 in Toscana proponemmo alle previsioni meteo nazionali di applicare la sperimentazione (progetto Storm) realizzata sul bacino dell’Arno. Con il prof. Maracchi direttore del CNR IBIMET e del laboratorio meteo LAMMA e insieme al dott. Francesco Meneguzzo eravamo pronti ad annunciare il nuovo progetto, nel cinquantenario dell’alluvione di Firenze, in accordo con il ministro Pecoraro Scanio. Tuttavia, Bertolaso avocò a se anche questa competenza con la supina quiescenza di Prodi e non se ne fece più nulla.

I fondi dirottarono su un progetto meteo che prevedeva di bombardare di ioduri d’argento le nubi e indurre le precipitazioni. Da allora, la riforma del sistema meteo italiano per renderlo capace di previsioni su piccola scala (a livello di vallata, per intenderci) è rimasto lettera morta.

Morta come quella povera gente che affoga nelle auto perché non ha ricevuto alcun divieto di uscire (senza subire alcuna perdita dall’assenza dal lavoro) oppure come madre e figlie spazzate via dalle acque perché il sindaco non aveva chiuso le scuole oppure semplicemente perché l’allerta è rimasta nei tempi di internet segnalata con un fax al sindaco, alle due del mattino.

Il fax è l’ultima delle beffe che dobbiamo sopportare. Si tratta di questo: l’allerta meteo che negli Usa (paese maggiormente responsabile dell’alterazione climatica a livello globale e da tempo purtroppo colpito dalla sua stessa maledizione) viene diffusa in ogni angolo e con ogni mezzo, da noi è roba per addetti ai lavori.

L’idea è che fino a che non si riunisce la protezione civile, l’allerta non va segnalata per non diffondere il panico nel popolino. Difatti, fino all’alluvione di Carrara di tre anni fa, le segnalazioni avvenivano ancora e in molti casi avvengono ancora via fax per motivi meramente burocratici, ovvero affinchè ne resti traccia per il futuro.

dissesto


Dopo la vicenda del terremoto de L’Aquila chi lavora in protezione civile non nasconde più nulla e anzi tende a ampliare a dismisura le aree sottoposte ad allerta per non rischiare che un evento avverso sfuggito al meteo possa determinare un processo o una condanna.
Comprensibile ma molto dannoso come lo fu l’eccesso di rassicurazione della commissione grandi rischi per il terremoto abruzzese.

Occorre quindi anche per questo mettere mano subito con urgenza al cambiamento organizzativo del Meteo Italiano.

E’ indispensabile collegare tutti i servizi e i laboratori regionali in una struttura che scambia informazioni con una rete satellitare almeno doppia o tripla rispetto alla attuale, con una diffusione di misuratori a terra per il vento, l’acqua e l’umidità che, scambiando dati e tracciati, siano in condizioni di dirci se e quali province della Sardegna e quali vallate di quelle province saranno interessate a fenomeni e di quale intensità. Solo questo può far scattare automaticamente l’allerta, senza l’intervento di decisori, con ordini precisi di blocco della circolazione e di chiusura di scuole e attività. Occorrono subito almeno 50 milioni prima che torni il sole e l’attenzione dell’opinione pubblica sia già da qualche altra parte.

Fabio Roggiolani

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