ABITARE SU UN VULCANO: COME CONVIVERE CON IL PIÙ ALTO RISCHIO VULCANICO AL MONDO – XII GIORNATA DI STUDIO INTERNAZIONALE INU

Con il supporto della rete di Ecofuturo, Venerdì 18 Dicembre nell’ambito del XII GSINU (Istituto Nazionale di Urbanistica) esperti di Vulcanologia, Economia, Intelligenza Artificiali, Scienze Sociali discuteranno della mitigazione del rischio vulcanico nell’area Napoletana (Vesuvio, Campi Flegrei, Ischia), illustrando come la soluzione intelligente di questo enorme problema, unico al Mondo per le sue dimensioni, possa rappresentare una imperdibile occasione di sviluppo economico, prima di tutto del Mezzogiorno ma anche di tutto il nostro Paese. Per introdurre questo problema in maniera accattivante, oggi che si parla del Miracolo di San Gennaro prendiamo spunto dalla storia, curiosa e poco sconosciuta, di un importante dipinto di uno dei più grandi artisti barocchi, in una piccola Chiesa di Avellino, quindi molto lontano dalle zone costiere Napoletane soggette al rischio vulcanico più alto al Mondo.

Nella sede dell’Arciconfraternita di Avellino, ubicata a due passi dal Duomo sulla collina tufacea della Terra è conservata una piccola tela ad olio del famoso pittore Irpino, Francesco Solimena, che ritrae in estasi San Gennaro durante una parossistica fase eruttiva del Vesuvio. Il santo è rappresentato con gli occhi rivolti al cielo nell’atto di stringere al petto due ampolle, contenenti il suo prezioso sangue, al fine di mitigare gli effetti di una violenta eruzione avvenuta nel XVII secolo. Il pittore Francesco Solimena, che aveva esercitato nella più famosa bottega di arte tardo barocca dove erano stati formati una moltitudine di artisti alle pendici del Vesuvio tra il 1680 ed il 1748, dimorò fino agli ultimi giorni di vita in una villa a Barra (1700), aveva potuto assistere alle violente eruzioni del vulcano, ma non così San Gennaro che era morto da un bel pezzo (circa 1500 anni prima), ed esattamente nel 315 d.C. in un cruento martirio a Pozzuoli. Il luogo dove venne decapitato dai soldati romani il vescovo di Benevento, insieme ad altri due cristiani, è nell’area dei Campi Flegrei, dopo essere miracolosamente sopravvissuto allo sbranamento da parte degli orsi nell’anfiteatro Flavio. Il suo sangue venne raccolto da una donna in due ampolle ed ancora, dopo 2000 anni, è venerato dai fedeli nel Duomo di Napoli con il miracolo della liquefazione del sangue che si ripete per tre volte all’anno.

La devozione al santo da parte dei napoletani nacque in occasione dell’eruzione del 472, che spinse il popolo ad accorrere in massa nella catacomba dove erano conservati i suoi resti; così quell’anno venne subito eletto patrono principale di Napoli a scapito del precedente santo Agrippino. I fedeli cominciarono ad invocarlo con fede e a chiedere intercessioni perché evitasse i danni causati dai frequenti disastri naturali (terremoti, eruzioni e epidemie), che colpivano la città più popolosa nel sud Italia

Un altro fatto unisce il santo dei territori vulcanici napoletani con l’Irpinia. Pochi sanno che i resti delle ossa del Santo patrono di Napoli sono stati custoditi per oltre tre secoli nel Santuario di Monte Vergine (dal 1100 fino al 1400) per preservarli dai furti operati durante la fase normanna-angioina. I resti erano talmente ben nascosti che vennero ritrovati casualmente sotto un altare e ricollocati con gli altre reliquie nella Chiesa del Duomo a Napoli (tale esperienza di sicurezza suggerì ai reali della casa Savoia, durante la II guerra mondiale, di trasferire da Torino la reliquia della Sacra Sindone a Montevergine per evitare che fosse presa dai tedeschi del terzo Reich!!!).

Il santo “vulcanico” san Gennaro sembra indicare al suo popolo una possibile via di fuga ad una eventuale parossistica/distruttiva eruzione del Vesuvio o dei Campi Flegrei. Secondo i piani di evacuazione finora predisposti, in caso di segnali di eruzione in queste aree, un numero consistente di abitanti campani si mobilizzerebbero (in tre giorni al massimo), dispersi tra tutte le altre regioni d’Italia (circa 700.000 dall’area Vesuviana, circa 600.000 da quella Flegrea). Sarebbe un esodo massiccio, che assumerebbe dimensioni bibliche e avrebbe luogo tra l’altro con grande urgenza in un momento di massima emergenza, senza speranze di ritornare in tempi brevi nei luoghi di residenza, comportando di fatto la scomparsa di un antico popolo e contemporaneamente un disastro economico comparabile se non maggiore a quello del Covid-19. Per rendere razionale e fattibile, socialmente ed economicamente la mitigazione del rischio vulcanico nell’area Napoletana, un gruppo di lavoro multidisciplinare di vari enti sta progettando delle soluzioni alternative, basate sulle più avanzate conoscenze vulcanologiche integrate con considerazioni logistiche, urbanistiche, sociali, economiche. Le basi vulcanologiche sono state ben spiegate in un prestigioso lavoro, espressamente invitato dalla European Geoscience Union: https://nhess.copernicus.org/articles/20/2037/2020/nhess-20-2037-2020.html

Venerdì 18 Dicembre, in una Conferenza online invitata per il XII GSINU (Giornata di Studio Istituto Nazionale di Urbanistica https://www.gsinu.com/), si discuterà di tutti gli aspetti, multidisciplinari, che possono rendere la soluzione di questo problema, unico al Mondo per le sue dimensioni, una formidabile leva per lo sviluppo del Mezzogiorno e dunque del nostro Paese. E, soprattutto, si mostrerà come sia possibile coniugare la diminuzione della pressione residenziale nelle aree a massimo rischio con il ripopolamento e la riqualificazione delle aree interne della Campania e del Meridione, creando infrastrutture per allineare finalmente il Sud alle maggiori economie Europee.

Il messaggio che Solimena, illustre pittore ed architetto, aveva affidato al suo dipinto di San Gennaro che indica una via, di soluzione piuttosto che di fuga; quasi simbolicamente ospitato ad Avellino, in cui i piccoli centri della sua provincia (come delle altre provincie interne della Campania, ad esempio del Sannio e del Cilento) oggi in crisi demografica possono sperimentare una rinascita, sociale ed economica, nel contempo aiutando a risolvere il problema del più alto rischio vulcanico al Mondo e il più grande problema, endemico, del Meridione da oltre 160 anni: la carenza di infrastrutture e di collegamento tra le aree costiere, portuali e le aree interne.

Tavola Rotonda XXII GSINU ‘Abitare su un vulcano: come convivere con il più alto rischio vulcanico al mondo’: Giuseppe De Natale (INGV), Renato Somma (INGV), Alfredo Trcciola (ENEA), Antonio Coviello (CNR-IRISS), Adriano Giannola (SVIMEZ), Massimo Buscema (SEMEION, Univ. Del Colorado USA)

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