Referendum 17 aprile trivellazioni in mare: Legambiente e l’essenza del quesito

Siamo oramai a pochi giorni dal referendum del 17 aprile prossimo sulle trivellazioni in mare entro le 12 miglia nautiche dalla costa e la grande latitanza dei media nazionali, a cominciare dalla televisione di stato, rende necessario aumentare gli sforzi diffusi di buona divulgazione sugli elementi alla base del quesito referendario, il quale riguarda la norma che permette il prolungamento della durata delle concessioni già in essere fino all’esaurimento del giacimento. 


Si tratta di un pacchetto di regole che disciplinano l’estrazione di gas ed idrocarburi in aree vicine alla costa, recentemente modificate in alcuni aspetti dalla legge n.208 del 2015, meglio conosciuta come Legge di Stabilità. In particolare il comma 239 dell’articolo 1 della legge di stabilità stabilisce il divieto di estrazione in tutte le zone di mare poste entro dodici miglia dalla linea di costa andando così a modificare in maniera restrittiva il precedente quadro normativo che prevedeva invece, entro certe condizioni, lo sfruttamento di giacimenti anche entro tale fascia. Lo stesso comma introduce anche una norma transitoria relativamente alle concessioni già in essere, stabilendo che queste vengano automaticamente estese fino all’esaurimento del giacimento. Al successivo comma 240 poi, in riferimento allo sfruttamento dei giacimenti in mare, vengono fissate invece durate di 6 anni per la ricerca e di 30 anni per lo sfruttamento con possibilità di proroga.
In questo modo si è venuto a determinare un regime giuridico dedicato proprio alle aree di mare entro le 12 miglia che, se da un lato sono oggi escluse da ogni nuova attività di estrazione di gas ed idrocarburi, dall’altro vedono invece le concessioni esistenti prolungabili fino ad una data indefinita, corrispondente tendenzialmente con l’esaurimento del giacimento. Come facilmente intuibile è stato proprio quest’ultimo aspetto ad aver sollevato le maggiori critiche dei movimenti ambientalisti e delle energie rinnovabili, preoccupati dell’impatto delle trivellazioni in mare sul fragilissimo ecosistema costiero e marino, correlato all’assenza di vincoli temporali certi per le concessioni esistenti. Ed è proprio qui che si concentra il quesito referendario del 17 aprile prossimo, che chiederà proprio l’abolizione del comma 139 della legge di stabilità nella parte in cui estende la durata delle concessioni entro le 12 miglia. In sintesi quindi, gli italiani dovranno decidere se radiare dal testo la frase«per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale».
Un percorso davvero accidentato quello che ha portato al referendum del 17 aprile, articolato originariamente in si quesiti, cinque dei quali neutralizzati da aggiustamenti parlamentari attraverso l’approvazione di nuove regole. Interessante rilevare anche la genesi del quesito referendario rimasto in piedi, il quale è stato dichiarato ammissibile, non già da una raccolta di firme come solitamente accade, ma, per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana, dalla stessa Corte Costituzionale lo scorso gennaio su richiesta dei consigli regionali di nove regioni italiane come Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto in conformità al fatto che le previsioni della Costituzione che richiedono l’approvazione della richiesta da parte di almeno 5 consigli regionali.
Molto importante in questo sforzo di buona divulgazione del quesito referendario la encomiabile opera di Legambiente, la quale, nel sostegno alle ragioni del sì alla abrogazione del comma 139, ha predisposto una mappa riassuntiva delle piattaforme e dei permessi nei mari italiani. La grande associazione ambientalista infatti, ha pubblicato sul proprio sito la “La mappa delle piattaforme e dei permessi di ricerca entro le 12 miglia marine in Italia”. Si tratta di un documento di straordinaria efficacia divulgativa, che illustra anche in forma grafica la distribuzione e l’entità dei permessi di estrazione e di ricerca di gas ed idrocarburi nella fascia costiera entro le 12 miglia.
Secondo lo studio di Legambiente sono complessivamente 35 le concessioni esistenti in Italia nella fascia di mare compresa tra la linea di costa e le 12 miglia marine, di cui 3 sono inattive, 1 sospesa e 5 non più produttive. Delle restanti 26 concessioni ancora attive, 9 delle quali sono scadute o in via di scadenza e le restanti 17 scadranno tra il 2017 e il 2027.
In caso di vittoria del si al referendum quindi, le concessioni già scadute non potranno essere prorogate, mentre quelle ancora non scadute resteranno pienamente valide fino alla scadenza naturale della connessione stessa. In caso di vittoria del no invece sia le concessioni scadute di recente che quelle ancora non scadute potranno essere prorogate fino all’esaurimento del giacimento.
Le 26 concessioni attive sono attualmente articolate su un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi, con una distribuzione che coinvolge in particolare l’alto Adriatico (47 piattaforme)il medio Adriatico (22 piattaforme)lo Ionio (5 piattaforme) ed il Canale di Sicilia (5 piattaforme).

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Le stime di Legambiente indicano che le piattaforme interessate dal referendum abbiano una produzione corrispondente attualmente a circa il 27% del gas e il 9% del greggio estratti in Italia. Tuttavia, parametrando tali produzioni al fabbisogno nazionale totale corrente, il contributo di tali impianti è davvero marginale e dell’ordine del 3% per il gas ed addirittura dello 0,95% per il petrolio. Sulla base di questo quadro di riferimento, secondo Legambiente la presenza di trivellazioni in mare nella fascia delle 12 miglia espone l’ecosistema marino e terrestre delle nostre coste ad elevati rischi ambientali, allontanando il paese dagli obiettivi di riduzione delle fonti fossili, al centro anche del dibattito alla recente COP21 di Parigi. La fase di estrazione può infatti comportare il rilascio di oli, greggio, metalli pesanti o altre sostanze inquinanti i cui effetti verrebbero enormemente amplificati dalla natura dei nostri mari, tendenzialmente “chiusa”, caratteristica particolarmente rilevante proprio nel mare Adriatico, maggiormente coinvolto. Un fattore di rischio temporalmente prolungato quindi, per l’ambiente costiero italiano con potenziali ricadute anche sul turismo e sulla pesca.

Sauro Secci

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