Il fiGo d’India: in terra di Sicilia un capolavoro della natura dall’alto valore economico

Nuove applicazioni come nel campo del restauro, della moda oltre che della nutraceutica, sono ora nel mercato a valorizzare una antica tradizione non solo agroalimentare.

    {tweetme} #chimicaverde “Il fiGo d’India:  in terra di Sicilia un capolavoro della natura dall’alto valore economico” {/tweetme}  

L’Italia ne è il primo Paese produttore Europeo (terzo al mondo dopo Messico e USA) con più di  149.000 tonnellate annue; il Ficodindia (Opuntia ficus-indica) è quell’arbusto con quelle che impropriamente chiamano foglie, un pò spinose, dalla superficie cerosa ma che sono più propriamente le “pale” o scientificamente “gladioli” e che costituiscono la vera struttura portante della pianta. Sempre da ignoranti lo chiamiamo impropriamente cactus ed è parte dei nostri sogni vacanzieri e oggetto dei saluti fotografici fai da te. Nonostante sia presente in forma spontanea nel Centro Sud, in Sicilia è concentrata una coltura specializzata che costituisce il 90% della produzione italiane, ovvero 7 a 8 mila ettari di cui più buona parte  a conduzione biologica. La produzione è localizzata in aree ben distinte delle provincie siciliane di sud-est, Catania, Caltanissetta e Agrigento e di San cono e Etna è pure DOP.  Nella zona di San Cono questa coltivazione si presenta  agli occhi del visitatore come  un intreccio di colli che sembrano ben pettinati, come una vigna.

Panoramica su filari di fico d’india nella zona di San Cono in Sicilia

Sono tre le varietà italiane di fico d’India:

  • la Gialla, detta “Sulfarina” o “Nostrale”;
  • la Rossa o “Sanguigna”;
  • la Bianca chiamata anche “Muscaredda” o “Sciannarina”.

La prima è la più diffusa e costituisce circa l’80-90% degli impianti specializzati; il frutto maturo sfoggia una bella buccia gialla con screziature verdi e la polpa ha un intenso colore giallo-arancio; ma sono soprattutto tutte varietà resilienti alle condizioni climatiche aride e calde  che sono un effetto  dei cambiamenti climatici in itinere e costituiscono una alternativa per l’economia agricola della regione.  Questa specie, là dove si radica spontaneamente, limita l’erosione del suolo, durante il periodo di pioggia la pianta forma velocemente nuove radici che possono sfruttare al massimo l’umidità presente: esperimenti condotti in Brasile e Tunisia hanno dimostrato che l’introduzione del fico d’india, anche come siepe, contribuisce in maniera efficace alla conservazione del suolo e dell’acqua. 

Finito l’elogio? nossignore: la mucillagine contenuta nei frutti e soprattutto nelle cellule mucillaginose interno alle pale, è un “idrocolloide” – dicono gli specialisti – composto principalmente di zuccheri (polisaccaridi) ad alto peso molecolare, dalle interessanti proprietà cosmetiche, alimentari e non solo. Come ci ricorda Loretta Bacchetta ricercatrice di ENEA SSPT-BIOAG Laboratorio Bioprocessi e Bioprodotti  (https://bioagro.sostenibilita.enea.it/structure/probio), il mercato per prodotti come la mucillagine o le farine di fico d’india ha subito un notevole incremento negli ultimi anni seguendo il trend economico della nutraceutica. Le molecole bioattive funzionali hanno dimostrato effetti positivi sull’organismo umano. Diversi studi in esperimenti con topi e su volontari, hanno infine dimostrato un effetto anti obesità, ipoglicemico e antidiabetico protettivo e preventivo anti-tumorale.

L’industria cosmetica regionale siciliana è anche ricca di soluzioni e proposte  di qualità per la cura della pelle a base di estratti di fico d’india come la linea di creme solari e doposole della società “cosmesi siciliana “di Trapani (https://cosmesisiciliana.com) o la crema viso proposta dal laboratorio artigiano “Etnacosmesi”  https://www.etnacosmesi.com, di Belpasso, cuore del Dop dell’Etna entrambi certificati Bio. Giuffrida Anna Vera, titolare di Etna cosmetici, ci spiega:” è dal 2001 che stiamo rivalutando le antiche tradizioni legate al nostro territorio: i contadini del luogo per es. usavano da sempre un estratto della pala del ficodindia per cicatrizzare le ferite. Questa contiene mucillagini e polissacaridi dalle proprietà emollienti, idratanti e rigeneranti” Nella linea Relavis, il laboratorio ha unito un al succo di “pala” di ficodindia, l’acido Jaluronico, un toccasana innovativo per il mantenimento della elasticità della pelle” Chiediamo: perchè il ficodindia -che qui si scrive tuttoattaccato –  e non l’aloe?  “il ficodindia – ci risponde – in cosmetica viene inteso erroneamente come il fratello povero dell’aloe ma non ha nulla da invidiargli, anzi… “ Il ficodindia tuttoattaccato, è sempre stato coltivato  principalmente per il frutto. La riscoperta delle sue proprietà, in parte insite nella tradizione del popolo siciliano, oggi avviene con il supporto della ricerca dalla R maiuscola e acquistano nuova linfa vitale e prospettive.

La nuova linea di prodotti a base di ficodindia di Etna Cosmetici presentata alla sagra del ficodindia dop etneo nel 2019

La mucillagine che è presente nei cladodi, per esempio è studiata oggi per altre applicazioni che sono a pieno considerabili parte della Bioeconomia, come lo sviluppo di biofilm o come addensante alimentare ma un gruppo di ricercatori dell’Università di Guadalajara, in Messico, ha recentemente combinato le foglie di fico d’India/cactus con altri elementi naturali, ricavandone una plastica biodegradabile.

L’azienda Bioinagro fondata dall’agronomo Vincenzo Monreale con sede a Licata  (www.bioinagro.it) sta lavorando molto intensamente per la raffinazione della mucillagine ottenendo risultati davvero incoraggianti come un inusitato livello di trasparenza e qualità della stessa, che la rendano ancora più appetibile per i settori della biocosmesi, nutraceutica e farmacologia.

Tra le cose più accattivanti per l’immaginario collettivo anche l’utilizzo della “buccia”, la membrana cerosa esterna della pelle che disidratata è diventata un composto utilizzato per la produzione di una ecopelle innovativa e funzionale che consente di ridurre l’impiego di materiale sintetico come il poliuretano, presente assieme al pvc nelle ecopelli di tutto il mondo e soprattutto l’uso di solventi: un vero “eco” materiale insomma con elevate proprietà e richiami alla sostenibilità. Il prodotto con il brand Desserto (www.desserto.com.mx) è  già  stato presentato agli operatori italiani del settore Moda nel corso della scorsa esposizione di Linea Pelle di Milano (tenutasi prima del lock down del coroanvirus), con un ottimo riscontro da parte di media e potenziali clienti.

I nuovi tessuti Desserto™ realizzati utilizzando la “pelle” disidratata del fico d’india, progettati e realizzati  in Messico

Non va poi dimenticato che annualmente la coltivazione di fico d’india comporta la potatura delle pale per il miglioramento delle coltivazioni di frutto.  Questi scarti sono preziosi dal punto di vista energetico per la produzione di biogas. I risultati di uno studio hanno dimostrato che la produzione di biogas da dalle pale di fico d’india è di circa 612 milioni di metri/cubi quantitativo che sarebbe in  grado di soddisfare circa il 14% dell’attuale domanda locale di biogas nella regione. Una energia verde attualmente  poco o niente sfruttata e non si capisce il perché della mancanza di investitori.

Tuttavia un altra applicazione sembra particolarmente interessante e innovativa, indirizzata al settore dei restauri dei capolavori d’arte sparsi in abbondanza su tutto il territorio italiano: 

Infatti nell’ambito del progetto di cooperazione bilaterale Italia-Messico finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), di cui per  l’Italia è stato coinvolto l’ente pubblico di ricerca  ENEA in collaborazione con El Colegio de Michoacàn, sono stati re-introdotti i derivati dalla mucillagine del fico d’india che recupera un’antica tradizione preispanica messicana. Essa prevedeva l’utilizzo della mucillagine di fico d’India come additivo nelle malte a base di calce adoperate sia per la costruzione di edifici che per il loro restauro.

Le malte di calce, sono anche una tradizione dell’artichittura del Sud Italia; sono una mistura di calce, usata come legante, in un aggregato come la sabbia e l’acqua: un esempio del loro uso lo troviamo in Palestina e in Turchia , datato 12000AC, e successivamente nell’antica Grecia e nell’impero romano. Nella seconda metà del XIX secolo, l’avvento del cemento ha portato ad un consistente diminuzione dell’uso delle malte di calce per quei vantaggi come tempi di presa più rapidi e alta resistenza meccanica che lo hanno reso popolare, rilegando ben presto in un angolo le antiche tradiziopni. Solo negli ultimi decenni si è  però ripreso l’utilizzo della malta di calce nel campo del restauro di edifici storici in quanto si è scoperto che il cemento era incompatibile con molte pietre naturali e mattoni.

Dipinto murario nella Cupola della chiesa di San Costanzo a Ronciglione (VT) per gentile concessione della restauratrice e ricercatrice Fernanda Falcon

Ma da questi nuovi studi è anche emerso che mucillagine di fico d’India non altera il cromatismo delle malte bianche ed il prodotto liofilizzato e reidratato (chiamato “Nopalgel”) ha mostrato anche effetti biocidi, in combinazione con un estratto di Capsicum annum, la cui bacca è più popolarmente conosciuta come l’ottimo e usatissimo peperone. L’ utilizzo della mucillagine di fico d’india siciliano è quindi particolarmente indicata per la tutela  dei beni culturali di cui l’Italia vanta il primato planetario per quantità e pregio e rappresenta una risorsa che soddisfa le esigenze, sempre più attuali,  circa la sostituzione di prodotti di sintesi con altri prodotti più innocui, più compatibili, più sostenibili ed in un ultima analisi anche economici.

Marco Benedetti
m.benedetticonsulting@gmail.com

Articoli correlati