Ripartire dai piccoli borghi: necessità, opportunità e pericoli

La pandemia, il distanziamento sociale, il lockdown e la conseguente crisi economica hanno drammaticamente evidenziato come il modello delle città costruite sulla concentrazione di persone consumatori e del capitale in mano a pochi individui, sia fallimentare.

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La città moderna espressione del capitalismo che per esistere distrugge e sfrutta l’ambiente fino al limite del possibile, le nostre città figlie di una visione modernista e industrialista hanno mancato l’appuntamento con la storia.

Questa crisi sanitaria ha evidenziato disuguaglianze sociali ed emergenze ambientali a cui le città non hanno saputo rispondere costruite come cattedrali nel deserto della coscienza sociale e consapevolezza ambientale.

L’emergenza pandemica è forse l’ultima chiamata per indurci a cambiare visione e struttura economica. È evidente che siamo davanti ad un futuro che obbliga tutti noi ad abbandonare vecchi schemi e di immaginare nuovi paradigmi, azzardando potremmo affermare che la visione del mondo con la quale ci siamo accompagnati fino ad adesso è superata. Costretti da questa crisi abbiamo l’opportunità di appropriarci una visione di futuro diversa. Un aspetto che personalmente ritengo centrale è la possibilità di volgere lo sguardo altrove al di fuori delle nostre concentrazioni urbane, e di posarlo ad osservare le comunità rurali, i piccoli borghi, le terre diffuse, luoghi ove insistono ancora legami profondi tra individuo e natura e tra persone e persone che formano vere comunità fondate sul comune sentire di appartenere a quel determinato territorio ed al legame che questo costituisce.

L’esperienza della pandemia globale potrà se noi lo vorremmo, essere una spinta a riflettere sulla necessità di riappropriarsi tutti quanti di una “ coscienza del limite che è tipica della cultura rurale che con la terra e per la terra vive a stretto contatto. “Via dalle città nei nostri borghi c’è il nostro futuro”; è il concetto di ripartenza che , senza immaginare un nuovo modello di rapporto tra montagna-campagna-città, rischia di ridurre le campagne a dormitorio.

Il momento ci impone di avanzare non replicare. Far incontrare la città con le aree rurali vuol dire innanzitutto adoperare una visione che riparta dalla comunità, che sia un quartiere od un borgo. Il senso di appartenere ad un luogo e prendersene cura cementa le comunità, si può immaginare che la “ coscienza del limite” curi le nostre città facendo nascere un pensiero forte rispetto al contenimento dell'urbanizzazione al recupero dell’esistente e alla conseguente destinazione( luoghi d’incontro, servizi di prossimità, cultura) , alla concentrazione di polveri sottili e agenti inquinanti con l’ambizione di rendere gli agglomerati urbani luoghi di autocura energetica e sociale.

Allo stesso tempo è fondamentale che i piccoli borghi e le comunità rurali siano dotati di presidi sociali, sanitari e servizi primari , veri e propri strumenti gestione e cura del territorio e delle comunità che vi insistono. Per impedire che le terre diffuse diventino dormitori, luoghi di spersonalizzazione e inquinamento è necessaria una riflessione anche sulla tipologia politico amministrativa che oggi vede la città predominare le scelte, mettere in campo un riequilibrio e attivare una concertazione
montagna- campagna- città è un’azione ineludibile.

A parer mio queste sono le premesse necessarie a far si che l’idea di ripartenza guardando i piccoli borghi non si risolva in un allargamento delle città e
paradossalmente nel rafforzamento della visione cittàcentrica sepolta da questa crisi sanitaria economica e sociale.

Leonardo Simoni

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