Poliestere vs cotone: un campo di battaglia dei poveri vs speculatori con 7.7 miliardi di spettatori paganti

Ancora un interessante articolo di approfondimento di Marco Benedetti, grande esperto di sostenibilità e di economia circolare, dove lo stesso fa una approfondita analisi comparativa su una delle esigenze basilari dell’uomo come quella di vestirsi, tra fibre di cotone e di poliestere.

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Chi ci guadagna sono ancora una volta solo gli speculatori accorti, quelli che sanno leggere la storia da dentro le stanze del potere e tra le righe tremolanti degli schermi al plasma delle borse.

La battaglia per conquistarsi un palcoscenico da 7,7 miliardi esseri umani guarda poco a dove si svolge, con chi svolge e chi ne subirà le conseguenze peggiori.

Tutti ci vestiamo perché ne abbiamo bisogno, sia per il nostro codice morale che per praticità, per essere parte del consesso umano, ma abbiamo scarsa percezione dell’impronta che lasciamo, anche quando ci vestiamo, arrediamo casa, viviamo cioè il quotidiano.

Quando parliamo di tessili, la fibra di cotone e la fibra di poliestere sono le più adatte per una riflessione perché più popolari: l’una percepita ancora come la più naturale tra i materiali da indossare (lo dicono le ricerche), l’altra la più tecnologicamente avanzata. L’una rappresenta il mondo analogico l’altro il mondo digitale: ma entrambe sono un problema per il Pianeta per le quantità di cui oggi l’umanità fa uso. Avanzano – a fatica – le alternative più sostenibili ma se l’uno rappresenta si e no lo 0,7% del prodotto annuale (cotone biologico), l’altro si sta facendo avanti con colpi di teatro e il teatro può rappresentare la realtà ma è anche finzione (poliestere rigenerato, da post consumo).

Questi i numeri sul campo:

PRODUZIONE MONDIALE (fonte:www.statista.com):

  • cotone: 22,7 milioni di T (il rayon è l’altra fibra derivata da vegetale più usata – 7% mercato globale);
  • poliestere: 53 milioni di T (il 72% di tutte le fibre chimiche termoplastiche).

ANNO DI NASCITA:

  • Cotone: 6200 A.C.( all’alba dell’umanità fa qualcuno nell’attuale Perù ha prodotto un tessuto di cotone blu);
  • Poliestere: nel 1943 (2 scienziati inglesi sintetizzato il polyester i cui brevetti furono comprati dalla madre di tutte le industrie chimiche tessile l’americana Du Pont che lo ha lanciato (e in alcuni casi imposto grazie alla politica dei prezzi sostenuta dal governo mondiale dell’innovazione, gli Stati Uniti).

MAGGIORI PRODUTTORI PLANETARI:

  • Cotone: Cina (90% usato per produrre tessuti)
  • Poliestere: Cina (60% usato per produrre tessuti)

PREZZO DI MERCATO AD OGGI: (approx dovuto all’andamento delle quotazioni della borsa):

  • Fibra di Cotone (per filatura): 1,91 USD/kg
  • Fibra di Poliestere (per filatura): 1,14 USD/kg (40% meno costosa del cotone)

GESTIONE RISORSE:

  • Cotone voto: 4 per necessità
  • Poliestere voto: 6 per incoraggiamento

Secondo quando sopra riportato, ad ogni singolo anno ogni essere umano, considerato anche gli emarginati come i super ricchi del Pianeta, viene offerta l’opportunità di usare un equivalente di:

  1. a) 1 kg pro capite di fibra di cotone per confezionare T-shirt, jeans, tovaglieria, arredo casa ecc, di 100% cotone + B) 3 kg di 100% fibra di poliestere, per l’outdoor e l’active wear come t-shirt o calzature piuttosto che zainetti o capellini. Parlando di cotone, anche considerando una bassa resa nel processo tessile fino – 50% rispetto al kg di partenza vuol dire che a) certifica una drammatica efficienza nel ciclo di lavorazione tessile – composto da almeno 10 passaggi tra meccanici e chimici – tenendo anche presente che la fibra buona che si avvia al ciclo tessile costituisce solo il 30-35% del peso raccolto nel campo;
  2. b) che il ciclo tessile della fibra di poliestere è più efficiente nella resa tra kg di materia prima che entra nel ciclo tessile e quello che ne esce; il 60% della produzione mondiale di poliestere – dicono le statistiche – è dedicata alla produzione di filati continui cioè non composti da piccole fibre ma da un aggregato di filamenti molto più sottili del filo da pesca, lungo migliaia di kg che semplificano il processo tessile e producono meno scarti.

In altre parole: ogni essere umano avrebbe annualmente a disposizione fibra sufficiente per rifarsi un super-guardaroba. Una t-shirt pesa infatti in media 130 gr; ognuno di noi dovrebbe buttarne almeno un paio l’anno per far spazio nel guardaroba a nuove 7 unità. Se però qualcuno compra molto, un altro ovviamente non compra affatto. E poiché chi è povero non compra neppure tutti gli anni vuol dire che l’altro – spesso dall’altra parte del globo – ogni anno compra l’equivalente di 1 t-shirt a settimana e probabilmente ne butterà via altrettante. Anche perché andrebbero aggiunti anche i 3 kg di capi in poliestere per i quali l’imbarazzo sarà solo scegliere il brand di moda.

Il poliestere più usato e noto è oggi il PET, polietilene tereftalato – cioè con ftalati che sono i famosi plasticizzanti di (molto) dubbia interazione con la salute – quello delle bottiglie di acqua per intendersi.

Oggi la tendenza/necessità ecologista dei brands promuove il PET da post consumo: dopo esserti bevuta l’acqua, la bottiglia in pratica te la indossi; lo chiamano poliestere rigenerato o riciclato (sigla: PR e lo standard è GRS); prima di diventare trendy, questo filato veniva prodotto lo stesso ma si chiamava poliestere semi-vergine, con l’enfasi sul vergine (chiamarlo da post-consumo era considerato sotto-prodotto e costava meno, al contrario di oggi).

Tuttavia il tessile quando buttato nel cassonetto non è considerato una sotto-materia-prima riutilizzabile, ma un rifiuto; da qui la stranezza: la bottiglia usata diventa un sottoprodotto, il tessuto fatto con le bottiglie no. Occorrerebbe spiegarlo anche alla EU ma questa è un’altra storia (sob!!)

Stesso discorso oggi fa tendenza per la Tshirt di cotone rigenerato (in genere da scarti di confezionatura del vergine; nel processo di rigenerazione parte però subito svantaggiato – non essendo stata una bottiglia prima e quindi costituisce subito un rifiuto; lavorabile, ma pur sempre un rifiuto da manovrare con cautela solo da esperti raccoglitori di rifiuti (forse perchè le t.shirt si buttano via quando sono sporche ovviamente).

ENERGIA

  • Cotone: 3
  • Poliestere: -2

Quindi il primo punto di amico dell’ambiente” andrebbe assegnato al poliestere: gli amanti “dell’importante è che sia di un marchio famoso” ne andranno fieri: il pet è dominante nella moda. Questa convinzione viene rafforzata da dichiarazioni (di parte) dalle associazioni dei produttori di fibra sintetica; essi ci dovrebbero convincere che la fibra sintetica è anche più “green” nel dopo l’uso, perché ci vuole meno energia a lavare cosi’ come ad asciugare – sostiene Federchimica Italia – anche se a me pare che la lavatrice si usi lo stesso (con forse, un risibile calo di temperatura di lavaggio) e seppur il sole sia già gratis e asciuga discretamente bene da sempre – ovvio: meno nelle aree vicine al circolo polare artico dove però la popolazione non è molto alta e si usa l’asciugatrice domestica consumando energia a pagamento. Comunque sono i cosiddetti punti di vista che fanno la differenza nel marketing.

Tuttavia la sorpresa sarebbe notevole, se non fosse che alcune ricerche e analisi LCA ci dicono che la produzione di poliestere risulta 63% + energivora del cotone quando si analizza tutto il ciclo a partire dalla ricerca del petrolio, estrazione e sintesi fino alla fibra. Quindi far leva sul fatto che il cittadino non è un tuttologo, facendo passare potenziali vantaggi di impronta ambientale dal momento in cui esso ha il bene in mano in avanti, mi pare uno sport che sarebbe eticamente deprecabile, salvato dalla mancanza di norme che la politica si guarda bene da non emettere.

ACQUA

  • Cotone: + 2 per incoraggiamento
  • Poliestere: -2 per disillusione

I report tecnico-scientifici ci confermano che la coltivazione del cotone è assai poco naturale purtroppo: viene coltivato nel 5% delle superficie agricole del Pianeta ma consuma il 25% di tutti i pesticci prodotti. Anche quando è geneticamente modificato la sua coltivazione resta assetata di acqua; le manipolazioni genetiche sono per lo più studiate per resistere agli erbicidi e tra gli effetti collaterali che si porta dietro ci sono anche gli indebitamenti quando siccità e insetti distruggono i raccolti nelle aree povere delle coltivazioni cotoniere come India e Africa – ndr basta ricordare i casi suicidi di massa in India negli anni passati). Il cotone trattato per il ciclo tessile diventa ancora più una bella spugna naturale: in un report il Guardian (famoso quotidiano britannico) conferma che la fibra tessile di cotone assorbe acqua (ndr: fino a 3 volte il peso) e anche il ciclo tessile e quando presenta il conto si tratta di ben 10-11.000 litri per kg di tessuto prodotto: ovvero 1.509 litri/kg per ogni nostra T-shirt – 2 anni di acqua da bere per un abitante delle nostre città; a questa quantità credo vada aggiunta anche a quantità di acqua usata per allagare i campi di cotone di cui ne evapora fino al 70%), acqua altrimenti usabile per dissetare piante alimentari e umani. il cotone purtroppo cresce meglio soprattutto in zone semi-desertiche dove l’acqua, se c’è, è sottoterra e dove però ci finiscono anche nitrati e pesticidi con conseguenza gravi sulla popolazione che la beve (nel 2002 sono stato ad Indore – India a studiare la coltivazione di cotone Bt e l’alternativa agricola bio e sono testimone diretto dei danni subiti dalla popolazione soprattutto bambini). Ma ora ecco la vera sorpresa: l’organizzazione che monitora l’impronta ambientale del consumo di acqua (waterfootprint.org) in una ricerca comparativa sul consumo di acqua tra ciclo del poliestere e quello del rayon (viscosa, assimilabile al cotone nel ciclo tessile) scrive che l’impronta di acqua del poliestere è 71 mt3 (71.000 litri x 1 kg di fibra). Quindi circa 7 volte di più del ciclo cotoniero, anche se un’altra ricerca ci dice che, nel solo ciclo tessile, il gap è più contenuto, seppur tra campioni di consumo d’acqua: – 0,1% .

Non dubito certo del “water foot print” certificato normalmente almeno da 1 università, ma mette in crisi le mie – e non solo miei – errate convinzioni sul poliestere che supponevo fosse meno assettato (vedi documento di dettaglio).

IMPRONTA CARBONIO “CO2”

  • Cotone: 4
  • Poliestere: 2

Da una ricerca sul confronto nei lavaggi tra tessuti di cotone (vedi link), di poliestere e in mista, spunta anche un dato sul ciclo di vita (impronta di carbonio) che scrive: le emissioni di C02 nel ciclo di trasformazione del cotone sono in totale 4,7 kg per kg di fibra prodotta ma a cui va tolto l’assorbimento di CO2 per la fotosintesi della pianta (circa 1,65 kg). Il risultato netto è così di 3 kg per 1 kg di tessuto prodotto, che vuol dire che per ogni t-shirt che lasciamo nell’armadio perchè fuori moda, stiamo giustificando 230 gr di CO2 in atmosfera buttati inutilmente. Per il poliestere: l’ente certificatore danese governativo Nordik Ecolabel, presenta una tabella dove si sancisce che l’impronta di carbonio del poliestere è di 6,5 kg di CO2/kg di pet prodotto: il doppio del cotone.

MICROPLASTICHE

  • Cotone: 5
  • Poliestere: 2

Una ricerca dell’Università di Tempere in Finlandia del 2000 (vedi link), sostiene che se non ci sono differenze sostanziali tra consumi energetici e di acqua tra processo cotoniero e poliestere, è assai diverso nel caso dei lavaggi (lavatrice): qui la perdita di fibre in tessuti cotonieri è del 20% e in quelli del poliestere del 2-3%. Le perdite avvengono soprattutto nei primi 2 lavaggi; mentre è abbastanza scontato la fibra di cotone è più difficile da capire quella del poliestere. Ecco il perchè: 1 la fibra di cotone è composta come un mini albero da cellulosa e lignina seccata dopo il raccolto. Si spezza facilmente nei processi di gimnatura (eliminazione parti non fibrose e semi) e cardatura, occorre attenzione. La fibra rigenerata è ancora più fragile. 2 la fibra di poliestere invece passa attraverso un processo di estrusione a caldo che scioglie i granuli di plastica (chips) e che solo all’apparenza o al tatto sembra liscia ma che al microscopio appare più o meno ricca di sbavature, microsaldature con altre fibre, irregolarità del dimetro con dei ristringenti che rendono quella fibrilla più friabile delle sorelle. Il poliestere rigenerato peggiora la situazione. Nel crescente problema del marine-littering cioè dei residue di materiale plastico negli oceani occorre chiarificare che neppure le fibrille di cotone si biodegradano nel mare (non si vedono forse galleggiare i rami sul mare? Sono fatti dalla stessa materia più fine e forse più debole ma i batteri in mare non la toccano solo…perchè non ci sono. Per dovere di cronaca ricordo che prima di arrivare al mare tutto passa dai fiumi che attraversano le città oltreché dalle aree industriali e pertanto anche dalle nostre lavatrici. Questo apre un nuovo scenario: l’impatto post consumo dovuto alla nostra attività e scarsa consapevolezza; perchè nessun brand o negozio o legge te lo dice o scrive con chiarezza.

ALTERNATIVE PIU’ SOSTENIBILI

Cotone biologico: 7

Poliestere rigenerato: 5

Cotone biologico. Il maggior vantaggio per l’ambiente si ha nelle fasi di coltivazione della pianta di cotone. E’ coltivato poco meno dello 0.,5% dei terreni coltivati a cotone del Pianeta . Oggi circa 472.999 ettari sono certificati con una produzione di circa 117.000 tonnellate e altri 214.000 ettari sono in fase di conversione che mediamente richiede 3 anni per poter essere de-contaminato. La sua eco-compatibilità inizia dal consumo di acqua. Essa viene accuratamente regolamentata magari con impianti a goccia; così come la produzione di fertilizzanti naturali come l’olio castor coltivato nei terreni marginali. Inoltre le organizzazione che portano avanti progetti di coltivazione di biocotone nel Mondo come la fondazione svizzera Remei con il progetto Biore (www.remei.ch) in India e Tanzania o Arasy (www.arasy.com.py) in Paraguay, abbinano al lavoro sull’ambiente anche un contenuto sociale come per es. il sostentamento delle comunità di coltivatori sul territorio con programmi di istruzione dei figli ma anche garantendo un prezzo di acquisto più elevato rispetto a quelli regolati dalla borsa merci di Chicago o similari. Occorre tenere presente che ci sono alcune grandi economie come quella Usa o quella Cinese che acquistano o vendono grandi partite in stock regolandone il prezzo di mercato o giocando con la speculazione. In Usa la coltivazione di cotone è ampiamente sponsorizzata da finanziamenti pubblici alterando il valore della concorrenza sopratutto nei confronti dei paesi poveri dell’Africa o Asia che coltivano cotone. Il cotone biologico non contiene residui di pesticidi o erbicidi di sintesi nella sua struttura (con miglioramento dell’impatto sulla salute) solo perché non vengono più usati. E ovviamente l’impatto sull’ambiente è ridotto al minimo. In genere chi nel processo tessile usa cotone biologico prosegue mantenendo elevata l’attenzione su tutti i processi tessili e prodotti chimici usati fino ad ottenere una certificazione monitorata da organismi europei.

  • Cotone rigenerato: E’ una frontiera ambientale e tecnologica di grande interesse perché consente il ri-processamento delle fibre provenienti da prodotti da post consumo. La fibra riprocessata è del tutto simile a quella vergine. Se è vero che un capo di abbigliamento si indossa mediamente 4 volte prima di gettarlo, allora la rigenerazione consentirebbe una forte diminuzione dello spreco annuale di risorse agricole che potrebbe concentrarsi invece nella produzione di cibo e compensare così le necessita dovuta alla crescita demografica.
  • Poliestere rigenerato: Il problema delle microplastiche non cambierà anzi forse si aggraverà se non monitorata attentamente, a causa del decadimento strutturare del polimero nei passaggi di riciclo o nella sua rigenerazione (fusione e ricostruzione della fibra) indebolendolo e richiedendo l’uso di nuovo materiale vergine. Il problema grave semmai è comunque culturale: la maggior parte dello scarto di poliestere é derivato dalle bottiglie d’acqua di pet, il cui abuso è ormai noto e drammaticamente attuale in tutto il Pianeta. Il problema della rigenerazione del polimero di poliestere non deve cioè diventare una scusa per continuare a produrre beni monouso in quantità non ragionevoli. Rispetto alla produzione di pet vergine, la rigenerazione del polimero consente comunque una riduzione del consumo di risorse a partire dalla energia per la sua riproduzione e riuso a parità di quantità prodotta, ma molti brand ignorano questo e puntano sull’effetto trend per non offrire vantaggi economici ma solo di immagine. I tessuti di poliestere sono di facile lavorazione, produzione e venduti quindi a prezzi economici. Il mercato dell’abbigliamento legato a fattori moda (anche nel caso di abbigliamento tecnico sportivo) non considera però i costi dello smaltimento che restano a carico delle famiglie con dubbie percentuali sull’effettiva recupero di un bene tanto poco costoso oggetto di facile speculazione anche illecite. Le quantità di microplastiche presenti negli oceani sono in aumento. Nel 2017 l’ONU ha dichiarato che ci sono 51mila miliardi di particelle di microplastica nei mari, 500 volte più numerose di tutte le stelle della nostra galassia.

Filato di poliestere rigenerato

Fibra poliestere rigenerata da bottiglie in PET

PENSARE POSITIVO

L’industria: 4

Il cittadino: 6

Circular Plastics Alliance – alleanza tra industrie e big brands. Il Vicepresidente mr Jyrki Katainen, responsabile dell’area lavoro crescita ,investimenti e competitività afferma nel “Monitoring progress made towards more plastics recycling and more uptake of recycled plastics in Europe”, che: “European industry has already clearly committed to more “sustainable plastics” with the pledges that they have submitted to the Commission. Tradotto: la politica della EU ha dato una spinta all’industria per cambiare – e continua: Business understands this is an opportunity to innovate and to become global frontrunners in new technology and materials, in line with circular economy logic”; che significa: nel mondo del business e nella logica dell’economia circolare, la sostenibilità è anche una opportunità per fare nuovi affari”. Non sarebbe niente di male se poi non dicessero ai consumatori solo le cose che piace loro sentirsi dire: bello, performante, comodo, sicuro e green. Quando questo non viene presentato con un dato di confronto tutto è green, tutto è sostenibile: rispetto a quale parametro? L’industria sappiamo che scarsamente seguirà il parametro “Greta Thunberg”. Applaudire non costa molto infatti.

In queste dichiarazioni di effetto non si trovano dati concreti (probabilmente blindati nelle cassaforti); senza questi, non ci sarà molto terreno su cui camminare verso un futuro sostenibile; i dati dell’impronta ambientale secondo lo standard cradle-to-cradle dovranno essere leggibili in chiaro per tutti imballaggi, social media ecc: Essi infatti forniscono alla fine 1 solo numero e un altro di paragone che deve essere stabilito per legge cioè l’impronta ambientale dall’inizio del concepimento della vita del prodotto, fino a cosa verrà fatto delle materie prime, per restituire ai nostri figli una speranza di sostenibilità, e che dovremmo far diventare il faro dei nostri comportamenti.

Nel caso cotone vs poliestere dunque non ci sono sconfitte plateali: certamente si può fare meglio ma al momento perdiamo un po’ tutti.

Marco Benedetti
Email: m.benedetticonsulting@gmail.com 

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