Mascherine usa e getta compostabili: No!!

Il Centro di Ricerca Rifiuti Zero di Capannori è nel nostro cuore per le tante rotture di schemi di questi anni, però l’iniziativa sulle mascherina usa e getta può far danni, non solo culturali e per questo dobbiamo prendere le distanze.

Dopo i brick usa e getta per l’Estathé in materiale compostabile, dopo le cialde del caffè usa e getta purché compostabili, non poteva mancare da parte del Centro di Ricerca Rifiuti Zero di Capannori una proposta “avanguardista” per venire in soccorso al consumismo usa e getta anche delle mascherine anti COVID. Infatti dopo aver proposto soluzioni per non ridurre i rifiuti dovuti al consumo di bevande usa e getta in brick dal sapore di tè, dopo aver rinnegato l’ancestrale abitudine a non fare rifiuti usando la moka ogni mattina al nostro risveglio supportando il consumo di cialde di caffè compostabili, il presidente di Zero Waste Italy, sostenuto dal suo centro ricerche, propone oggi un nuovo refrain compostabile di mascherine monouso compostabili, anziché promuovere quelle lavabili e riusabili.

“Se non puoi buttarlo, non è rifiuti zero “: questo sembrerebbe il nuovo motto della scuola di Capannori.. non possiamo che essere perplessi!

Davvero si può pensare che i rifiuti compostabili usa e getta tenderanno piano piano a sparire, ad evaporare magicamente e a librarsi nell’aere e, se tutto va bene nel giro di pochi anni, saranno ridotti a piccole particelle sub atomiche? Vogliamo davvero credere a un nuovo mondo in “nulla si crea nulla, nulla si distrugge, ma tutto, con i dovuti tempi, si butta perché compostabile”. E noi che invece pensavamo giusto farsi un caffè con la moka o un tè senza intaccare l’ecosistema!

Ma sul tema dei rifiuti infettivi di cui trattiamo oggi, c’è qualcosa di più strampalato: non solo sembra si voglia ignorare che si possono produrre mascherine di cotone lavabili e riusabili, ma si promuove l’uso di mascherine usa e getta compostabili. Ma sarà sicuro e definitivo il trattamento negli impianti di compostaggio o biogas? Già riecheggiano gli “accidenti” di profani lavoratori di questi impianti, ci giunge forte la loro eco che precede il momento in cui tali rifiuti varcano la soglia dell’utenza contagiosa, e le loro parole arrivano fino ai laboratori del centro ricerche:

“gentili signori, ma per noi siamo sicuri che non vi siano rischi? noi li raccogliamo i rifiuti per strada, li trasportiamo e li vediamo mentre cadono nelle fosse di ricezione negli impianti in cui lavoriamo, in cui vengono tritati, ridotti in poltiglie e nelle macchine degli impianti che li trattano a freddo, i flussi di questi rifiuti ci passano tra le mani, sotto gli occhi … sapete cosa sono gli impianti di trattamento dei rifiuti lì nel vostro centro ricerche ? Sapete davvero come si può venire a contatto con il virus ? “

A noi restano le risultanze scientifiche Per esempio il “Journal of Hospital Infection” sulla permanenza dei virus sui nostri oggetti di uso comune

I Virus persistono sulle superfici e in condizioni ambientali normali (20°-30°)C fino a 9 giorni da un minimo, nel caso di attecchimento su substrato metallico in acciaio, di 2 giorni.

Considerando che le temperature in gioco nei trattamenti dei rifiuti organici nelle prime fasi non prevedono il superamento di queste temperature e che queste temperature si raggiungono solo dopo circa 30 giorni di trattamento con la fase termofila (superamento dei 50 °C) , sappiamo, dalla scienza e dall’ingegneria, che la fase del processo industriale termofila garantisce le alte temperature per la sanificazione delle biomasse introdotte a trattamento (tanto aerobico quanto anaerobico) e con essa la morte di virus, germi e batteri letali come la salmonella, nonché tutti gli altri ceppi, compreso quelli del coronavirus.

Se dunque la matematica vale ancora, per circa 8 giorni il virus arrivato all’impianto può trovare il modo di proliferare e contaminare ogni ambiente contagiando ogni essere vivente che incontra nella sua strada e perché no proliferare in essi trasferendosi altrove.

Insomma: il rischio che il virus, starnutito o respirato su di una mascherina compostabile da utilizzatori della stessa o da soggetti terzi incontrati per strada, arrivi sano intatto e felice di poter lavorare per annientare qualche altra vita umana è alto, per niente trascurabile, e persiste per diversi giorni dall’ingresso negli impianti di trattamento dei rifiuti organici.

Redazione Ecquologia

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