La rivoluzione dell’orto: l’orto ha una ragione

Tra gli interessanti articoli tratti dalla rivista di Ecofuturo, Ecofuturo Magazine, il bimestrale delle innovazioni di Ecofuturo, è il turno oggi di un articolo di Andrea Battiata, agronomo che, con il suo “Orto Bioattivo”, sta proponendo la grande rivoluzione degli orti in una forma che va oltre il biodinamico.

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Riappropriarsi dell’agricoltura e del cibo, attraverso gli orti è un atto rivoluzionario che fa bene a se e all’ambiente. Coltivare un orto è un gesto di riappropriazione del proprio essere. Perché il cibo non è soltanto una forma di energia, ma anche e soprattutto una forma di potere. E incoraggiare le persone a riprendere possesso del proprio cibo, significa permettere loro di riprendere il potere della salute nelle proprie mani e sottrarlo a chi lo detiene da quando è iniziata l’urbanizzazione. Tanti hanno dimenticato come coltivare il cibo per nutrirsi e l’unico campo che conoscono in cui pensano che crescano gli alimenti si chiama “supermercato”.

L’Agricoltura del 20° secolo ha messo in pratica tecniche di coltivazione usando la Terra contro natura, e alla fine ha ottenuto cibo povero di nutrienti, inquinamento della terra e delle acque, aumento dell’erosione dei terreni e desertificazione, portando alla miseria milioni di agricoltori. Studiando i cicli bioenergetici della fertilità naturale dei boschi, della formazione dell’humus, della vita microbiologica del terreno e della loro simbiosi con le piante, i processi pedogenetici e la disponibilità dei minerali per le piante, così come la totale non lavorazione del terreno e la sua rigenerazione naturale, ci siamo dati il compito di promuove l’autoproduzione di cibo ad alto valore nutritivo con metodi semplici e intuitivi.

Sistema rigenerativo

L’obiettivo è cambiare il sistema alimentare urbano a cominciare dalla coltivazione di orti con agricoltura rigenerativa, per dare cibo nutraceutico – Bioattivo e sostenere la vitalità dei suoli – in modi che forse a qualcuno (chi detiene il “potere” che viene dalla produzione e dalla distribuzione degli alimenti) potrebbe e dovrebbe fare paura. In agricoltura industriale, l’intento di eliminare gli agenti patogeni ha incoraggiato un approccio tipo bazooka al microbioma del terreno con l’uso diffuso di biocidi e fungicidi. Ma il ruolo del microbioma è troppo vario e complesso. Siamo in piedi su un tesoro di microbi benefici, ognuno dei quali contribuisce ad aumentare le rese e la qualità delle piante coltivate: capire come queste diverse comunità aiutano le piante a resistere a situazioni avverse e a crescere esprimendo tutto il loro potenziale di vita, aprirà nuove porte allo sviluppo di pratiche agricole sostenibili, attivando funghi e batteri che esistono praticamente in qualsiasi terreno.

Comunicazione goccia a goccia

Occorre una strategia di comunicazione lenta e capillare, dando il buon esempio come contadini urbani, per mobilitare quanta più gente possibile affinché si riappropri della terra coltivabile disponi­bile nelle città per produrre cibo di alta qualità in modo semplice e naturale. La quantità di suolo agricolo destinato alla produzione del cibo sarà sempre meno capace di rispondere alle esigenze della popolazione (si calcola che entro fine secolo avremo bisogno del 53% di terra in più per rispondere alla crescita de­mografica). Ecco perché è importante lavorare sulle zone urbanizzate. È un messaggio il cui peso cresce esponen­zialmente con la povertà del luogo in cui viene accolto: un orto in una città ricca ha valore se è “sociale”, aperto a tutti e in quanto tale può migliorare la qualità del cibo dei cittadini («il cibo buono, pieno di nutrienti, è un diritto, non un privilegio»). Mentre in uno slum africa­no, brasiliano, indiano o cinese può di­ventare un salva-vita per tante famiglie.

L’esercito dei seguaci continua a crescere. Perché quando si è iniziato con l’Ortobioattivo qualche anno fa si andava ad aiutare chi stava faticosamente riavvicinandosi all’autoproduzione (chi coltivando il proprio orto, chi occupando un lembo abbandonato di terra), mentre ora si promuovono progetti di autoproduzione e di riappropriazione alimentare. E chi realizza ciò, a sua volta, diventa un testimonial della causa.

Cos’ha a che fare tutto questo con la fine del petrolio? Tantissimo. Perché l’azione degli Ortibioattivi è prima di tutto un insieme di progetti – di comunicazione, sviluppo, realizzazione – che ha come scopo migliorare la qualità della vita: in modo pragmatico e immediato, ma anche con un occhio di riguardo verso la creazione di città resilienti. Riappropriarsi degli spazi verdi o trasformare il proprio piccolo fazzoletto di terra in un orto significa regalarsi non solo un’azione importante, ma anche una bellezza che conta tanto di più proprio per il suo ruolo sociale e politico.

Quando, la mattina, salgo la collina di Bellosguardo a Firenze, dove c’è il più grande orto bioattivo d’Italia e vedo crescere zucchine, pomodori e melanzane, penso che è questa la città che amo: dove, di fianco ai palazzi, si lavora perché i nostri figli si riapproprino di un saper fare che la mia generazione aveva dimenticato. Del resto, Firenze è sempre stata all’avanguardia nella cultura agronomica: dai Georgofili, a Cosimo Ridolfi, dall’Orto dei Semplici, alla Società Toscana di Orticoltura. Negli ultimi anni si è davvero fatto molto per dare voce e spazio alle persone che, sempre più numerose, sentono il desiderio di tornare a coltivare, pur senza rinunciare alla vita urbana. Mi sembra quindi importante spiegare come sia possibile cambiare il sistema in tema di cibo, un passo dopo l’altro, con molto garbo ma anche tanta determinazione.

Capitale esiliante

Oggi abbiamo sostituito il lavoro e l’osservazione dei meccanismi della natura con capitale, macchine e sostanze chimiche al posto degli uomini che lavorano in mezzo alla naturale salute e fertilità della terra.

I prodotti della natura sono stati resi, all’apparenza, prodotti dell’industria, tutti uguali, asettici e anonimi, cosicché chi mangia vive esiliato dalla realtà biologica naturale.

Ne risulta un vulnus senza precedenti nell’esperienza umana, in cui chi mangia può pensare al mangiare come mera transazione commerciale tra lui e un qualunque fornitore e poi come uno scambio esclusivamente di fame nervosa tra se stesso e il proprio cibo-rifugio.

Gli agricoltori sono stati travolti dalla logica industriale del cibo in cui l’interesse principale non è la qualità del lavoro e la bontà del cibo che si produce, ma i volumi prodotti e il prezzo che se ne può ricavare, giacché l’interlocutore non è più il consumatore finale che ti guarda in faccia speranzoso ma una mera asta al ribasso on-line in cui l’unica faccia che hai davanti è lo schermo scintillante del computer zeppo di cifre che ballano sulle aspettative di vita dei coltivatori stessi.

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Andrea Battiata
Agronomo e Contadino Urbano

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