La crisi ambientale come specchio del tempo: del nero caprone espiatorio

Che cosa rende possibile ad un Governo democratico distruggere il diritto e retrocedere da tutti i sentieri da decenni percorsi in direzione di una maggiore autosufficienza e sostenibilità nell’uso delle risorse?


Cosa lo incoraggia e conforta nel definire possibile ridurre drasticamente tariffe regolate, suggerite da Direttive Europee e istituite da atti legislativi e normativi a fronte di investimenti effettuati in opere di interesse pubblico, “urgenti ed indifferibili” (come recita la legge)? Cosa nel colpire drasticamente la possibilità di realizzare nuovi impianti alimentati da fonti rinnovabili (ma anche in cogenerazione ad alto rendimento) a servizio di autoconsumi e senza incentivi?

Normalmente si fa riferimento, nel cercare spiegazioni, a “manine” e all’azione di lobby ed interessi. Certamente ci sono.Ma c’è molto di più, non gioverebbe a spiegare un atto così aggressivo e foriero di danni (intanto erariali, stimati da alcuni in 400 ml/anno; poi alla fiducia nella possibilità di realizzare opere pubbliche a tariffa con capitali privati, dall’autostrada al depuratore; infine allo stesso Tesoro quando i previsti ricorsi giungeranno in porto) con il semplice interesse di qualcuno.

Una decisione pubblica è sempre un evento complesso che origina da un’arena nella quale alcuni attori e argomenti hanno avuto accesso, mentre altri sono stati svalutati o silenziati. Essa riproduce e celebra dei valori e riconosce una società. Dunque definisce dei problemi, delle identità, seleziona la memoria in condizioni di scarsità di tempo, attenzione e chiarezza. Un famoso politologo americano, il premio Nobel James March, diceva che una decisione è un “rituale sacro”.

Ma perché le fonti rinnovabili solari, per la precisione gli impianti più grandi ed efficienti (e quelli che costano meno in rapporto alla produzione) sono finiti per essere diventati un “capro nero”?Poche decisioni mettono in evidenza la verità di questa affermazione come questa. Tra le istituzioni attivate in questa arena abbiamo dovuto registrare una sovraesposizione della Presidenza del Consiglio e una assoluta scomparsa del Ministero dell’Ambiente; gli unici argomenti che hanno avuto legittimità di accesso sono relativi alla sostenibilità contabile a breve termine, la competitività di alcune categorie di imprese (identificate come essenziali per la “crescita” economica per via di competizione esterna, secondo un classico topos mercantilista), la punizione di eccessi del passato.Il “rituale” più pertinente questa decisione è quello dell’uccisione del capro nero sull’altare davanti al popolo riunito.

Il 27 marzo alcuni intellettuali italiani, riconducibili all’associazione “Libertà e giustizia”, hanno firmato un appello che stigmatizzava nel giovane Governo Renzi, la sua tendenza alla semplificazione, alla velocizzazione, alla ricerca della libertà. Il 3 aprile avevo scritto un post su questo tema nel quale mi sembrava di leggere un tentativo di superare l’impotenza manifesta della decisionalità politica (catturata, come è, nel gioco dei “vincoli esterni” e delle agenzie indipendenti dalla democrazia nazionale) attraverso uno scatto simbolico.

La decisione (un poco come nel craxismo e nel berlusconismo, in questo strettamente legati) sembra essere assunta come valore in se stesso per quanto meno è radicata in una discussione condotta in pubblico (e dunque visibilmente legata al gioco degli attori collettivi, alle pressioni delle parti sociali, allo scontro degli argomenti). In altre parole quanto più questa decisione sembrerà “libera”, quanto più sembrerà “potente” .Di qui il decidere in un attimo, senza avere o ricercare adeguate informazioni, senza un’articolazione solida del tema, senza una comprensione delle diverse implicazioni. C’è una continuità in questo con l’idea, nella quale il pensiero liberale si è cullato a lungo, che sia solo questione di esercitare qualche sapere tecnico sacerdotale.

Come scrivevo non è così, c’è una sterminata letteratura (soprattutto, è ironico, di parte liberale) su questo tema: discutere, incontrare e anche scontrarsi con le diverse soggettività, con i diversi interessi, serve a migliorare/aumentare le informazioni, articolare e focalizzare il tema, comprendere. In questo (anche) è l’intelligenza della democrazia.

Senza andare troppo lontano (e si potrebbe) questo riannodare tendenze lunghe in una forma (il tempo dirà se originale) di populismo decisionista alla ricerca di un contatto diretto con le emozioni degli italiani, rende vincente una politica che indirizza l’ira, e spiega il dolore con la presenza di “colpevoli”. Tutta l’azione politica degli ultimi anni, ed ogni storia di successo politico, non certo solo quella di Renzi, è fondata sulla capacità di identificare, indicare e colpire ritualmente un colpevole. Di raccontare che questi è l’ostacolo verso la soluzione del nostro dolore. Orientare la folla solitaria su alcuni bersagli d’ira è essenziale, letteralmente questione di sopravvivenza, nelle condizioni contemporanee per manifestare insieme la propria capacità decisionale e la propria reputazione.

E’ l’effetto di tante tendenze lunghe (si potrebbe telegraficamente indicare l’individualismo trionfante, la svalutazione del futuro e la proiezione di sé solo sul presente, la fine della politica) e del trionfo della paura individuale. Quindi dell’ira cieca.

L’oggetto decisionale di cui parliamo si forma dunque all’incrocio di tre piani:

1. Il consolidamento nella sfera pubblica mediatica di alcune “retoriche dominanti”;

2. L’esistenza di alcuni nodi di interesse consolidati molto forti, parzialmente invisibili e organizzativamente molto attivi;

3. La volontà di fare un uso strumentale, ma sistematico, di queste correnti per far “saltare fuori dall’acqua” il pesce del consenso.

Questi piani si esercitano su una transizione che ha essenzialmente alcune caratteristiche; le fonti rinnovabili sono:

a)   Molto più distribuite (a causa della bassa concentrazione di potenza);

b)   Più facilmente accessibili per i piccoli operatori economici ed i cittadini;

c)   Al momento molto più costose, e quindi incentivate tramite tariffe regolate.


Il primo piano si forma negli anni, ed è l’ambiente della decisione. Le quattro “retoriche portanti” cui abbiamo fatto cenno sono potenzialmente confliggenti anche tra di loro e rappresentative in effetti di diversi insiemi di beni comuni ed interessi:o  La tutela della salute e dell’ambiente (quindi la lotta all’inquinamento),o La ricerca della riduzione della dipendenza dal ciclo dei fossili e dell’autonomia energetica (tema che può essere letto in chiave pragmatica o radicalizzato sino alle teorie della “decrescita”),o la salvaguardia della tradizione e della cultura materiale (quindi la tutela del paesaggio come bene primario),o più di recente, la difesa degli equilibri del ciclo alimentare e quindi del prezzo e della distribuzione dei beni primari (che si declina nella salvaguardia dei terreni agricoli e della loro capacità produttiva).

Questi blocchi discorsivi sono collegati con “attori sociali” in qualche misura diversi, e talvolta competitivi:

I. L’ambientalismo tradizionale, attento al tema storico della lotta all’inquinamento industriale (ad es. quello derivante dall’industria energetica);

II. La confluenza di radicalismo di sinistra, di destra e cattolico intorno alla bandiera del mutamento “ineludibile” del nostro modello di sviluppo ad alta densità energetica e consumo, ma anche alla lotta al capitale finanziario ed alla speculazione;

III. L’illustre e tradizionale componente culturale attenta alla conservazione del patrimonio materiale e simbolico delle nostre città e campagne;

IV. La confluenza delle associazioni e dei gruppi di pressione del mondo agricolo con le retoriche e le sensibilità “terzomondiste” saldate intorno all’allarme (ad es. FAO, 2005) circa il nesso tra la produzione energetica dalla terra e il prezzo delle materie prime connesse.

Gli argomenti tipici che sono mobilitati in queste arene possono essere ricondotti ad alcuni temi portanti distinti, che possono intersecarsi a formare argomenti complessi:o  Direttrice vocazionale. La modifica allo status quo, indotta dall’intervento, è giudicata incompatibile con il futuro atteso ed il significato del presente che il gruppo o la comunità riconosce come identificativo del suo sé;o  Direttrice equitativa. La distribuzione delle risorse indotta dall’intervento o da esso mobilitato non è giudicata equa per tutti (è il tema della “speculazione”) o  Direttrice sottrattiva. Il progetto consuma risorse (anche simboliche o segniche) e/o le sottrae alla comunità o agli attori sociali

Argomenti che esprimono comunque una logica interna che parla di:

1.  Perdita di identità

2.  Di vitalità

3.  Mancanza di giustizia distributiva


Considerando tutto ciò le “retoriche portanti” del dibattito che negli ultimi anni, in tutta Europa e anche negli USA, sono state attive intorno alla transizione energetica, sono riassumibili nei seguenti quattro assi:

a)   La “Linea Report”

b)   La “Linea Petrini”

c)   La “Linea Italia Nostra”

d)  La Linea “Assoelettrica”.

La prima esprime tipicamente un “set” di obiezioni esemplificate nella comunicazione della trasmissione “Report” (vicina al secondo attore idealtipico):

1. Le fonti rinnovabili, ed il fotovoltaico a terra (come l’eolico) in specie, sono state “catturate” e snaturate dal grande capitale finanziario. Sono diventate “speculative” (dunque non solo eque).

2. Il processo di sviluppo è contaminato da operatori senza scrupoli e criminali.

3. L’unica risposta possibile sono i piccoli impianti, distribuiti, fatti direttamente dai cittadini.



La seconda è più sofisticata ed è la posizione espressa con chiarezza e coerenza da Carlo Petrini in numerosi e ripetuti interventi, ma condivisa da molta parte del mondo delle associazioni di settore (es. Coldiretti). Qui siamo sul quarto attore idealtipico con alcune richieste di alleanza al terzo a metà tra l’area di senso dell’identità e della vitalità.

  1. Il fotovoltaico sottrae, quando è a terra in grandi impianti, suolo agli usi agricoli “normali”. Nel fare ciò contribuisce (certo non da solo, né come primario colpevole) a ridurre l’indipendenza alimentare;
  2. Inoltre snatura le nostre campagne e altera il paesaggio agricolo.

La terza sensibilità è molto presente dentro la pubblica amministrazione e lo troviamo sempre seduto al tavolo della decisione per il singolo impianto. E’ espresso con massima coerenza dalle Sovrintendenze ma anche dagli Assessorati all’Ambiente e da Associazioni storiche come Italia Nostra. Si tratta di un argomento interamente dentro l’area di senso dell’Identità, vista però in una chiave statica e difensiva.

  1. Il fotovoltaico e ancor più l’eolico altera, per la sua distribuzione territoriale, i nostri paesaggi in modo massivo ed irreversibile.
  2. Contribuisce, insieme allo sprawl edilizio ed al proliferare delle infrastrutture (anche energetiche), a danneggiare il paesaggio tradizionale la cui fruizione e permanenza deve essere salvaguardata e tramandata alle future generazioni.

La quarta è venuta in primissimo piano negli ultimi tempi, polarizzando il dibattito, ed è condivisa da ampi settori dell’establishment economico del paese; di recente è quindi transitata con grande clamore dai circoli specialistici, nei quali è sempre stata praticata, verso il grande pubblico. Si tratta di una obiezione di tipo sottrattivo (ed in parte di inutilità).

  1. Il costo della incentivazione delle FER (soprattutto ora che siamo quasi al 40 % sull’energia prodotta e il fotovoltaico è dalle parti dei 18.000 MW incentivati) comincia a diventare insostenibile.
  2. Occorre, quindi, contenerne il costo (il modo più semplice è non farne).

Il punto è che questo intreccio di argomenti ed attori sociali (non privo di una sua legittima forza) riesce a determinare un input decisionale totalmente paralizzante sull’intero movimento di decarbonizzazione e transizione energetica, colpendone con forza esemplare la forza più avanzata, proprio perché incrocia, ad un certo punto, non tanto gli interessi (che erano sempre presenti, anche se solo da qualche anno vedono essere questione di vita-e-morte e dunque passano “dall’atteggiamento cavallo bianco” a quello “word”, come scriveva Scheer) quanto una volontà politica chiara e affilata.

Incrocia, cioè, la volontà di un imprenditore politico intelligente e determinato come Matteo Renzi, capace di trovare una via di successo nello schema del “populismo decisionista” che appare come l’unico profilo idealtipico di successo della contemporaneità. Un decisionismo che è sempre in cerca di nuove vittime sulle quali lasciar sfogare quelle pulsioni profonde senza ascoltare le quali si può solo venire travolti. Ma che come una tigre una volta cavalcate non consentono di scendere.

Il Presidente del Consiglio sembra contemporaneamente un Marat ed un Napoleone. Peccato le rinnovabili sembrino il candidato a essere Danton.

Alessandro Vissalli

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