Italia, incentivi alle rinnovabili e giornalisti con le traveggole [Servizio anti-bufala]

In un recente editoriale sul Corriere della Sera, Alberto Alesina e Francesco Giavazzi hanno aggiunto la loro voce a quella di altri commentatori – si pensi a Massimo Mucchetti – che periodicamente denunciano il peso eccessivo sulle bollette degli incentivi destinati al sostegno delle energie rinnovabili. (1) Questi allarmi vanno presi sul serio: per l’autorevolezza di chi li lancia e l’eco non irrilevante di cui godono nelle forze sociali


, a cominciare da Confindustria, e per il dato incontestabile che il costo dell’energia elettrica in Italia – soprattutto per le piccole e medie imprese – è più alto che nel resto d’Europa.

Per valutare la sostenibilità degli attuali incentivi, occorre in primo luogo rispondere a tre domande: quanto costano davvero, a cosa servono, come si comportano in questo campo gli altri grandi paesi europei.

Sul primo punto, vanno corrette alcune imprecisioni: non è vero, come hanno scritto Alesina e Giavazzi, che l’Italia spenda 11 miliardi di euro all’anno per sostenere il fotovoltaico. Le norme in vigore prevedono un tetto massimo di spesa per il solare elettrico di 6,7 miliardi. Anche aggiungendo gli incentivi previsti per tutte le altre fonti rinnovabili si resta comunque sotto i 10 miliardi: cifra certamente ingente, ma analoga a quella che si registra in Germania, dove con un mercato elettrico doppio del nostro l’importo totale degli incentivi è di 20 miliardi.

Cosa si è fatto in Italia con questi 10 miliardi di incentivi? Non poco. Oggi più di un kilowattora su quattro dei nostri consumi elettrici (il doppio di cinque anni fa) è “pulito”, cioè non dà luogo a un solo grammo di emissioni inquinanti. Nel dettaglio: su 320 TWh consumati in Italia nel 2012, di cui 280 prodotti a casa nostra, 18,3 sono venuti dal fotovoltaico, 13,1 dall’eolico, 43,5 dall’idroelettrico, 5,2 dal geotermico, circa 10 dalle biomasse. Un risultato prezioso per la salute dei cittadini, e un passo importante per centrare quei traguardi – 30 per cento di rinnovabili elettriche e 17 per cento di rinnovabili sull’energia totale entro il 2020 – per i quali ci siamo impegnati anche in sede europea.

CHI CI GUADAGNA?

Un altro argomento che spesso si ascolta contro gli incentivi è che avrebbero spianato la strada agli “stranieri”, in particolare ai cinesi che producono pannelli a basso costo.

Accusa curiosa, visto che l’alternativa alle rinnovabili sono il petrolio e il gas che importiamo quasi per intero. E accusa in parte infondata: in un impianto fotovoltaico il costo del pannello incide per il 30 per cento, tutto il resto è italiano. Per esempio è italianissima la sofisticata tecnologia racchiusa negli inverter, e guarda caso sono italiani pure gli inverter utilizzati nel più grande impianto fotovoltaico cinese (toscani) e nella centrale solare più grande del mondo che si sta realizzando negli Usa (emiliani).

Questa la situazione a oggi. Si sarebbe potuto fare meglio? Sicuramente sì. Chi scrive ha tentato inutilmente di convincere prima Silvio Berlusconi e Paolo Romani e poi Mario Monti e Corrado Passera che per tenere sotto controllo gli incentivi bisognava imitare l’esempio tedesco: procedure più semplici e un sistema che riduca automaticamente il contributo via via che migliorano le tecnologie e dunque si abbassano i costi. Si è scelta una strada quasi opposta, fatta di tetti rigidi che inevitabilmente hanno favorito qualche furbo di troppo e di appesantimenti burocratici – le aste, i registri – che stanno togliendo ossigeno a uno dei pochi comparti industriali in crescita malgrado la crisi.

Se si vuole un sistema energetico più moderno e meno oneroso è urgente rimediare a questi errori, come lo è agire su altri fronti ugualmente sensibili: efficienza energetica, più spinta alle rinnovabili termiche, adeguare la rete elettrica, promuovere l’autoconsumo nelle grandi utenze, proseguire nella liberalizzazione del mercato del gas. Inoltre, non sarebbe male risparmiare su altri incentivi, questi sì decisamente impropri: i 500 milioni regalati ogni anno all’autotrasporto, campione di inefficienza energetica, o il miliardo e mezzo destinato alle imprese energivore, che infatti pagano l’energia meno di tutti i loro concorrenti europei.

Insomma, l’Italia deve decidere se restare spettatrice della rivoluzione energetica in atto nel mondo o diventarne, come potrebbe, protagonista e farne un’arma contro il declino. La scelta non è più rinviabile e dipenderà molto da una decisa e globale messa a punto delle scelte, di quantità e di qualità, in materia di incentivi.

* Senatori uscenti del Partito democratico

(1) Nell’articolo Alesina e Giavazzi scrivono anche che “si è favorita una tecnologia che a distanza di pochi anni è già vecchia. Oggi l’energia solare si può catturare semplicemente usando una pittura sul tetto, con costi e impatto ambientale molto minori”. Basta documentarsi un po’ per sapere che per molti anni si continueranno a installare pannelli fotovoltaici. Le “pitture” sono soluzioni ancora largamente sperimentali, per il momento fuori mercato a causa dei costi troppo elevati e per problemi irrisolti di impatto ambientale.

Francesco Ferrante

Vicepresidente Kyoto Club

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