Crisi ambientali e migrazione: un nuovo approfondimento

La lunghissima crisi economica e di modello di sviluppo che sta attanagliando da anni le società occidentali, rendendoci sicuramente più insicuri e vulnerabili, ha pericolosamente amplificato anche le nostre paure verso lo straniero. Un fenomeno spesso ingigantito dal perverso ruolo dei media, tendente a presentare spesso i flussi migratori verso l’Europa registrati negli ultimi anni sono stati vissuti come “invasioni”.

Come ho già avuto modo di approfondire in altri post (vedi “Cambiamenti climatici e profughi ambientali: 50 milioni entro 10 anni secondo due nuovi studi“), è fondamentale contestualizzare questi fenomeni in una più ampia prospettiva, per capire che quella parte di fenomeni che arrivano ad interessare l’occidente, risulta davvero marginale e che flussi ben più intensi riguardano paesi extra-europei ed in misura maggiore migrazioni interne a singole nazioni. Ed è proprio una parte importante di queste migrazioni che risultano fortemente correlate con crisi e catastrofi ambientali, in una accezione del termine comprensiva dei cambiamenti climatici e della azioni antropiche. Proprio per approfondire questi aspetti, è da poco uscita una interessante pubblicazione redatta dalla “Associazione A Sud” in collaborazione con il CDCA (Centro Documentazione Conflitti Ambientali), dal titolo “Crisi ambientale e migrazioni forzate – L’ondata silenziosa oltre la fortezza Europa”.
Si tratta di un lungo itinerario tra le statistiche della grandi migrazioni sempre più diffuse sul nostro pianeta, che ne analizza le rispettive cause e il contesto giuridico che sarebbe necessario per regolamentare tali fenomeni.

Come già accennato nel documento si analizzano i dati UNHCR relativi al biennio 2014-2015, dimostrando, attraverso i numeri, quanto errata possa essere la percezione dei flussi migratori in occidente, con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati stima in circa 15 milioni il numero di rifugiati nel mondo, con la maggior parte di essi che ha trovato accoglienza in paesi extra-europei. Infatti l’intera Europa ha accolto poco più di 3 milioni di persone di cui circa 93 mila in Italia, con il nostro paese che è visto essenzialmente come punto di approdo in Europa, dal momento che concretamente, solo una minima percentuale si ferma nel nostro Paese. In Europa sono solo due i paesi, Svezia e Malta, nei quali la percentuale dei rifugiati supera l’1% della popolazione.

Nel rapporto si evidenzia come, mentre il fenomeno dei migrati rientranti sotto lo stato giuridico di rifugiati è attentamente monitorato e coperto dai media, altrettanto non si può dire per gli sfollati, milioni di persone costrette ad abbandonare i propri luoghi di residenza per le cause più disparate. Proprio questa ultima categoria di profughi è stimata la pubblicazione di A Sud e CDCA fa riferimento ai dati del Global Report on Internal Displacement che stima in quasi 41 milioni il numero di sfollati interni, persone che si vedono costrette a migrare all’interno dei confini del proprio stato di appartenenza. E’ proprio in questo contesto che le crisi ambientali assumono un peso estremamente rilevante. Secondo stime dell’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC), nel solo 2014 circa 19,3 milioni di persone sono state costrette a spostarsi per effetto di crisi ambientali e disastri naturali, con 17,5 milioni di queste, costretti alla migrazione da disastri meteorologici (alluvioni, mareggiate, tempeste, etc.) mentre sono 1,7 milioni le persone hanno dovuto migrare per fenomeni geofisici (terremoti, vulcani, etc.). Nell’arco temporale di sette anni tra il 2008 e il 2014 sono stati quasi 185 milioni i migranti per cause ambientali.
Approfondendo ancora i dati del IDMC riferiti al 2014, in testa alle causa ambientali innescanti migrazioni, figurano le precipitazioni (tempeste, piogge intense) con il 48% dei casi costretti ad abbandonare i loro luoghi di residenza. Sempre connesse alle piogge sono anche le alluvioni che rappresentano la seconda causa di migrazione ambientale con il 43% dei casi. I terremoti costringono alla migrazione circa 1,5 milioni di persone. Una evidenza rinforzata ogni giorno da nuovi studi scientifici quella che mette in correlazione il riscaldamento globale con l’aumento della frequenza di fenomeni meteorologici di dimensione catastrofica, con fenomeni come siccità prolungata, desertificazione, precipitazioni intense, esondazioni ed anomalie termiche, che mostrano una forte sensibilità con il costante incremento della temperatura media del pianeta.

Non certo casuale al riguardo il risultato principale del COP21 di Parigi del contenimento sotto i 2°C dell’incremento della temperatura globale rispetto all’era pre-industriale, con un vincolo che si prefigura come molto stretto, rendendo difficile stimare gli effetti che si potranno determinare nel medio e lungo termine, ad iniziare dall’innalzamento del livello dei mari conseguente alla scioglimento dei ghiacci artici, che potrebbe mettere a rischio gran parte delle popolazioni costiere (vedi post “Allarme scioglimento dei ghiacci in Antartide e Groenlandia: inequivocabili i dati di CrysoSat 2“). Oltre a ciò, profonde modificazioni climatiche potrebbero rendere non più adatti alla vita umana ampie aree territoriali, oggi densamente abitate, con una serie di scenari possibili che innescherebbero fenomeni migratori di gran lunga superiori a quelli sino ad oggi registrati.


Un ventaglio molto ampio quello dei determinati dovuti alle azioni antropiche sulle migrazioni, non certo limitati ai soli cambiamenti climatici ma estesi per esempio alla costruzione di grandi dighe (vedi post “Grandi dighe: troppe compromettono gli ecosistemi“), un esempio eloquente di opere dell’uomo capaci di modificare radicalmente gli ecosistemi di riferimento, divenendo potenziali causa di eradicazione dai territori delle popolazioni. Una urbanizzazione incontrollata delle città sempre pesantemente invasiva di suolo, lo sfruttamento delle risorse fossili come il petrolio ed anche una agricoltura incapace di offrire condizioni di vita dignità alle comunità contadine, sono chiari esempi che vanno nella direzione delle migrazioni, con fenomeni che, seppure più lenti e distribuiti nel tempo, rispetto alle migrazioni dovute a calamità naturali, hanno decisamente una grande portata.

Sauro Secci

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